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mercoledì 31 maggio 2017

Strepitosamente non lineare

NAMELESS – SENZA NOME
di Grant Morrison e Chris Burnham


Non così horror, magari, da sovvertire i canoni del genere, ma parecchio splatter e cruento, sì, e pure con intensità, strizzate d’occhio e fantasia. A livello visivo, ma pure intimo. Ancora meglio, quindi! E parimenti terrificante… Senza badare a sgradevolezze quali il politically correct.
Anche se quello che ho amato di più io sono i riferimenti esoterici – parecchio mixati – che vanno dalle Sefiroth alla mitologia Maya, passando per il linguaggio Enochiano di John Dee, con amene commistioni fantascientifiche e suggestioni dal sapore lovecraftiano, che mi hanno ricordato i fasti di The Invisibles...
C’è di tutto, in effetti, ma condensato. E il lettore si sente sopraffatto, travolto e cannibalizzato, sollazzandosi nel sottotesto magico, che una cosa dice e a mille allude, incuriosendo sempre di più... La trama, peraltro, è particolarmente stratificata, carica di input e di inversioni, di spunti e di dramma, mentre Morrison ci va giù pesante, compiacendosi della sua sadica immensità. Perché non possiamo negare che il ragazzo sia un demiurgo fuori dal comune, che ci rovescia addosso dei gran ribaltoni, ma che alla fine riesce, miracolosamente, a tirare le fila di tutto.
Che forse è meno complicato di come ci pareva all’inizio.
Oppure lo è di più.
E’ un difetto?
No. Una variante.
Lisergica e labirintica.
Strepitosamente non lineare, come piace a me.
E volutamente provocatoria.
I disegni, a proposito, aiutano, incrementando la sensazione di straniamento e disagio (non fermatevi alla copertina, sbirciate dentro): chiari, stupefacenti, meticolosi e accurati, non lesinano sui dettagli, e rendono l’atmosfera ancora più malata, come se ce la mostrassero a rallentatore sotto un microscopio, per giunta con colori brillanti, dalla luminosità quasi soprannaturale… 
Alla fine ti senti splendidamente infettato.
Non a livello fisico.
Nel tuo pensiero.

martedì 30 maggio 2017

Un romanzo nel romanzo

I CAPELLI DI HAROLD ROUX
di Thomas Williams


Che poi sono un parrucchino, orribilmente rosso e orribilmente posticcio.
Anche se Harold ha poco più di vent’anni.
E non esiste. Perché è il personaggio di un romanzo non ancora finito.
Di cui nemmeno è il protagonista.
Il protagonista è il suo amico Allard Benson, più fortunato, ma meno poetico, diviso tra due amori, che inevitabilmente tradisce.
E il protagonista è Aaron Benham, lo scrittore… E non è un caso che le iniziali dei due coincidano.
Un romanzo nel romanzo, tra passato, futuro e rimpianto, che sguazza nelle digressioni e diviene significante nelle sue corrispondenze tra vita vera e vita narrata, sorprendendo per l’ironia e per la prosa, ma altresì per il sentimento struggente e la capacità di analisi.
E può non sembrare interessante all’inizio, quando la bellezza della scrittura viene parzialmente soffocata dalla prolissità dello stile… Ma si tratta solo di addentrarsi nella trama, che si fa più incalzante man mano prende forma, e di entrare nell’ottica come nel cuore dei personaggi...
E se ci sono momenti in cui pare che a farla da padrone sia il gioco metanarrativo, poi ci si rende conto che si va oltre… In modo sottile, ma potente, sino a che, anche una volta terminato, il libro continua a dialogare con noi, tessendo trame dentro le quali si incistano storie.  Che coinvolgono, ma senza dimenticare di essere una rielaborazione della nostra esistenza. Che a sua volta in questo modo si chiarifica, sino a risplendere. 
E arriviamo a delle verità, dunque. Su noi stessi e sul processo creativo. Sull’amicizia e sull’amore. Sulle speranze che si infrangono e sull’ineluttabilità del nostro modo di essere.
Un libro profondo e affascinante, più impegnativo di quel che può apparire in superficie, ma anche molto più bello.

lunedì 29 maggio 2017

Il fardello della colpa

I MAGNIFICI SETTE
di John Sturges
(1960)


Che poi, in realtà, è un remake pure questo, precisamente de “I Sette Samurai” di Akira Kurosawa, però americanizzato in salsa western.
Adesso, tuttavia, la voglia è quella di paragonarlo al rifacimento del 2016 (vedi post del 26.5.2017).
Ebbene, questo del ‘60, a mio parere, vince per tematiche e atmosfera (meno truce, ma più realistico e meno leccato), seppure per azione, ritmo e adrenalina preferisca il film di Fuqua.
Qui, però, si sentono di più il fardello della colpa, la consapevolezza della morte imminente e della dannazione, l’ambivalenza dei protagonisti – che soprattutto per questo sono magnifici – e dell’ambiguità con cui vengono considerati dagli abitanti del villaggio, nonostante quel che hanno fatto per loro (contenti che siano venuti, ma più contenti che se ne vadano) e in più il tema dell’eroismo della fatica e della responsabilità dei lavoratori, cui finalmente vengono restituite libertà e dignità, ma che, tuttavia, come Bernardo/Charles Bronson ci insegna, già prima erano da ammirare.
Il villaggio dei messicani è più compatto di quello minerario, eppure qui si staglia l’ombra del tradimento, viene dato rilievo ai bambini (meravigliosi), con le risate e la tenerezza che ne derivano, ma purtroppo ci sono anche parti pallose, eccessivamente sentimentali e stucchevoli, come quelle con il giovane Chico, desideroso di essere accolto nel gruppo dei pistoleri, e poi tra lui e la Fanciulla, alla quale con fatica perdoniamo lo stato di estasi in cui cade improvvisamente e senza motivo… Con qualche tocco, se analizzato con lo sguardo di oggi, perfino di umorismo involontario (con tutto che, per contro, ho apprezzato l’epilogo della loro storia, per via della motivazione ad esso sottesa e dovuta alle origini contadine di Chico, che come tali lo legittimano).
Per il resto, posso affermare che, se nella pellicola del 2016 il mio prediletto è Red Harvest, ossia l’Apache, qui è senza dubbio Bernardo/Charles Bronson, che adoro senza confini. Anche, però, Yul Brynner mi ha conquistata, con la sua innata eleganza, lo sguardo penetrante e il portamento statuario. 
E poi c’è Eli Wallach, nei panni del cattivo, Calvera. Mi piace, perché non è malvagio e basta: ha semmai uno spirito pratico, come lui stesso ammette. E non è privo, a suo modo, di tridimensionalità, con quel “perché” che gli muore sulle labbra.
Certo, per quanto ottimamente conservato, in alcuni passaggi il film accusa gli anni che ha e il fatto di essere figlio del suo tempo. 
Che resti un capolavoro, però, non credo sia in discussione.

venerdì 26 maggio 2017

Accontentarsi della vendetta

I MAGNIFICI 7
di Antoine Fuqua
(2016)


Remake della pellicola omonima del 1960, corrisponde, in realtà, ad un’esperienza parzialmente diversa, capace di ritagliarsi una personalità indipendente, tanto sotto il profilo emozionale quanto sul piano concettuale.
La trama, nelle sue linee guida, è la stessa, ma in luogo del villaggio dei messicani in miseria abbiamo una cittadina mineraria non priva di risorse, una maggior emancipazione – per fortuna – della figura femminile (praticamente, sia pure con ruoli distinti, una ce n‘è in entrambi i film), più ritmo, dinamismo e spettacolarità, oltre che una corrispondenza sottile, ma imperfetta, fra i protagonisti che sommariamente si traduce in buoni più buoni e un cattivo più cattivo, nonché, in generale,  in una maggiore drammatizzazione.
La scena iniziale, ad esempio, qui fa molto più male, esasperando la nostra rabbia, la nostra sofferenza, favorendo da subito l’immedesimazione. Tanto più che la bella in pericolo (questa volta opportunamente scollacciata), neo vedova di un ragazzo coraggioso e buono, è disposta, come si usa oggi, ad accontentarsi della vendetta, se non può avere la giustizia.
Una prospettiva meno idealistica, dunque, meno ingenua, ma solo a livello superficiale che diviene, alla fin fine, un’indulgenza al manicheismo e in una conseguente riduzione di spessore.
La rappresentazione del concetto di redenzione, ad esempio, e dell’ambivalenza di questi magnifici 7, fondamentali nell’originale, sono meno marcati, se non addirittura azzerati (Chisolm non è un pistolero, ma uno strumento della giustizia)  così come non risalta l’ambivalenza dei sentimenti del villaggio per i suoi novelli eroi. 
Invariate, invece, le battute topiche più importanti e la bella tematica della necessità per le vittime di riscattarsi e reagire.
In quanto al cast, è nel complesso meno carismatico – anche se, in linea di massima,  l’ho apprezzato,  specie alcune varianti –, e tuttavia modernamente (se non forzatamente) multietnico: cominciamo con la solita “nerizzazione” del protagonista con Denzel Washington – peraltro splendido – nel ruolo di Yul Brynner/Chris  (anche se, curiosamente, verrà sempre identificato come yankee e mai come uomo di colore, perché siamo così ipocriti che a noi il politically correct piace anche quando si trasforma in razzismo al contrario), efficace, affascinante, ma lontano dal magnetismo del suo predecessore; mentre Ethan Hawke/Robicheaux fa il sudista tormentato dai fantasmi di chi ha ucciso (in guerra, però, quindi è scusabile, a differenza di Lee/Robert Vaughn dell’originale… con tutto in alcune scelte ricorda invece il personaggio di Harry), Chris Pratt/Faraday che, ricalcando il Vin di Steve McQueen, è l’unico che sostituisce il ruvido cinismo ad una simpatica canaglieria, laddove invece Vincent D’Onofrio nel ruolo che fu di Charles Bronson è quello che ci perde di più, anche se la colpa è soprattutto di quella voce tremenda che gli hanno affibbiato nel doppiaggio italiano (ma come? In Daredevil era così stentorea e bella?). In compenso, come artista del coltello, l’orientale mi è piaciuto più di James Coburn – più spettacolarità, ma anche più sentimento, specie grazie al legame con Robicheaux –, il messicano più di Harry/Brad Dexter (anche se Harry ha un sostrato di complessità in più), e, soprattutto, il giovane pellerossa nichilista immensamente più del giovane Chico. 
Peraltro, tralasciando il parallelismo con l’originale, il film mi è piaciuto molto: mi ha esaltata e commossa, divertita e appassionata e mi sento di consigliarlo con entusiasmo alle nuove come alle vecchie generazioni. La battaglia, in ultimo, è strepitosa!!!
Ci ritroviamo lunedì con  I Magnifici Sette del 1960.

giovedì 25 maggio 2017

Vademecum della Otta Lettrice

LE OTTO REGOLE DI OTTA LETTRICE
(Per il piacere di delirare un po’…)
(elenco non esaustivo…)

Pierre-Auguste Renoir - Reading (La Lecture)

1) Non sprecare i minuti della tua vita: se ci sono tempi morti, impiegali leggendo;

Che è poi il motivo per cui ogni volta che, mentre guardiamo un film, MPM si allontana (ad esempio per prendere i popcorn) mi urla in via preventiva: “E non iniziare a leggere!!!”, altrimenti, quando torna, gli tocca aspettare che finisca la pagina. 

2) Mai uscire di casa senza almeno un libro;

Due sono meglio. Tre meglio ancora., così puoi scegliere in base all’umore. Pazienza se ti sfasci la schiena e gli amici si burlano di te perché hai la borsa come un macigno: quando meno te l’aspetti ti rallegrerai per la tua lungimiranza, che sarà inversamente proporzionale al peso della borsa.

3) Non comprare o adottare libri che non leggi;

Ma se non hai problemi di spazio, fa pure e sbizzarrisciti.  Quando ero sotto i diecimila volumi io lo facevo. Snif, bei tempi. Nel senso che era bello non dover stare troppo a selezionare…

4) Scegli ogni nuovo volume con amore, ma a volte accetta che il volume scelga te;

Così da cambiare i tuoi percorsi di lettura e variare tragitti ed esperienze. Diversamente rischi di arrancare sempre per le stesse strade e finire col disamorarti.

5) Se possibile, non leggere contemporaneamente due libri dello stesso autore;

E’ per evitare di confonderti. Ma è soggettivo. Magari tu ce la fai.

6) Se possibile, non leggere più di venticinque libri per volta;

Questo è il limite che mi sono imposta, per frenare l’ingordigia. E, in realtà, perché se ne impilo di più sul bracciolo del divano MPM sclera. O mi deride quando una pila casca… MPM cattivo.
7) Dai ad ogni libro una seconda possibilità: se non ti piace potrebbe essere colpa tua o del tuo attuale stato d’animo;

Ahimè, è vero. L’ho già constatato. Ovviamente la seconda possibilità, per essere davvero tale, implica una certa distanza di condizioni e tempi dalla prima.

8) Non prestare libri a soggetti che non sei disposto a perseguitare con costanza pur di riavere indietro la tua copia;

Non so perché con i libri funzioni così, ma sono tanti che poi “dimenticano” di restituire. Io tengo un Libro Nero in cui annoto tutti i debitori e ho imparato ad essere severa al riguardo. Se no, se voglio essere sicura di non doverci poi litigare, regalo direttamente una copia (non la mia, non sia mai!) al postulante inaffidabile.

mercoledì 24 maggio 2017

Un tripudio fantastico

LE MERAVIGLIOSE AVVENTURE DEL BARONE DI MUNCHHAUSEN
di Gottfried August Bürger


E’ un classico, ma non lo sembra. Non perché, parafrasando Calvino, abbia finito di dire quel che a da dire, quanto piuttosto perché… ecco, uno potrebbe non aspettarsi che sia così potente, folle e rutilante, se non altro perché non sempre viene definito come letteratura per ragazzi.
E quando i contenuti sono di tale portata immaginifica, spesso così vengono etichettati i classici (si vedano Alice Attraverso lo Specchio e compagnia bella).
Qua, per giunta, c’è una vena delirante particolarmente calcata che conduce al tripudio fantastico, ma anche al sorriso.
Il Barone di Munchhausen, infatti, è per così dire uno a cui piace spararle grosse, che più grosse non si può. E quindi ci diletta con una serie di racconti inverosimili sulle sue bizzarre imprese, il cui unico limite è…
No, scusate. Non c’è proprio, ed anzi si fa un baffo di qualsivoglia scienza ed esperienza o legge fisica, con risultati paradossali ma godibili (se usiamo noccioli di ciliegia per il nostro fucile e spariamo in testa ad un cervo, è quasi certo che gli crescerà un bell’albero in fronte).
Lui stesso ci risulta adorabile, nonostante i suoi accentuati difetti. E mentre parla ci sembra di vedercelo davanti, ammiccante e sornione, e ci vien voglia di offrirgli da bere, così che ci elargisca un’altra storia.
L’opera, dunque, è gradevole, fantasiosa, fluente (non sembra proprio scritta a fine 1700), solo… 
Ecco, benché mi sia comunque piaciuto leggerla ora, ricordo che quando ai tempi delle Medie sull’antologia incappavo nei brani che ne erano tratti mi faceva un effetto maggiore. Certo, adesso percepisco più cose agitarsi sotto l’apparente ingenuità della superficie (Emilio Bonfatti docet)…
Curiosità:
Se si cercano le avventure di Munchhausen senza il “meravigliose” l’autore risulta essere non Burger ma Rudolf Erich Raspe.
Il fatto è che Burger è stato il traduttore di Raspe, ne ha ripreso i racconti e li ha ampliati.
Personalmente io ho letto l’edizione BCDeditore, che spiega la genesi dell’opera e ci fornisce un po’ di notizie interessanti.

martedì 23 maggio 2017

La forza e la totalità

STORIA DELLA BAMBINA PERDUTA
di Elena Ferrante


Ci ho provato a centellinarlo, perché questo è l'ultimo romanzo della tetralogia.
E per un po' sono stata brava, imponendomi attese e intervalli, e ho impiegato un mese per arrivare a pagina cento, dedicandomi agli altri libri (21) iniziati nel frattempo.
Ma poi... Non ho più resistito e in una notte sono arrivata alla fine.
E ora invidio a morte chi è all'inizio o più indietro ancora, chi addirittura non ha nemmeno acquistato il primo volume e può vivere ogni cosa da capo. 
Mi mancherà Lenù, e ancora di più Lila, che non cessa mai di ardeere e di bruciare. 
Mi mancherà Napoli, e mi mancherà il Rione... mi mancherà l'analisi profonda e feroce dei tempi e dei sentimenti, delle persone e delle cose, l'amore, le contraddizioni, il dolore, la disillusione, i percorsi dell'esistenza e la gravità delle scelte, la tensione intellettuale e le riflessioni.
Mi sembra quasi che sia la mia – e sia doppia e speculare, lato chiaro e lato oscuro – la vita che è passata... E quante cose ho fatto, oppure mi hanno attraversata, e quante sono successe, moltiplicandosi attraverso i personaggi e le rifrazioni dell'essere.
Altre morti violente e scioccanti, arresti, ritorni, svolte inaspettate... E la bambina perduta del titolo, naturalmente, che fino all'ultimo non si sa chi è, a causa della dualità che di nuovo si rinnova e ancora, nel finale, verrà riproposta con un motivo differente, suscettibile di più interpretazioni.
E in definitiva, dunque, che cosa fa di questa tetralogia un capolavoro? Quale ne è la cifra?
Rispondo: la forza e la totalità.
Perché c'è tutto. Perché è la vita stessa che scorre, che tracima, piena di segreti aggrovigliati, nel bene e nel male, non sempre discernibili, i cui confini si mescolano e sovrappongono, eppure restano ben distinti, senza filtri, senza intermediari, potenti e feroci, alimentati dalla passione, dal desiderio, funestati dalle circostanze, vituperati dal fato, resi necessari dal proprio ineluttabile sentire. 
Quest'opera sembra la fotografia, artistica e virata in seppia, di un microcosmo, di un'amicizia e di due personalità, racchiusi in un unico scatto.
Solo che una fotografia non potrebbe essere così immensa e impetuosa. 
E nemmeno, se è per questo, così inesorabilmente a fuoco.

lunedì 22 maggio 2017

Una spumeggiante rappresentazione dell'aldilà

THE GOOD PLACE


E’ un fantasy! No, una commedia! No… Un trattato di etica in salsa escatologica?
No e… sì: o meglio, è “The Good Place”, una sit-com assurda che è tutte queste cose insieme!
Lo spunto è esilarante: Eleanor (Kristen Bell) è appena defunta e si ritrova in Paradiso... Solo che non dovrebbe essere lì. Eleanor è cattiva e dovrebbe stare all’inferno. E il sistema se ne accorge: segue una serie di piccoli tilt. Fino a che si apre una voragine… 
La prima stagione (13 episodi) è davvero una meraviglia, spiritosa e visionaria, con una spumeggiante rappresentazione dell'aldilà (ogni religione ci ha preso al 5%), divertentissime preclusioni (le parolacce non sono ammesse: i vocaboli vietati escono “forcutamente” storpiati), equivoci spassosi e buone trovate (le Janet, le anime gemelle, la coccinella gigante…).
Il rischio, alla lunga, potrebbe essere quello di stancare, ma è solo teorico, perché capita di tutto e ci sono pazzesche inversioni e svolte narrative ad ogni episodio – in continuity – e sempre belle risate, che partono dal linguaggio, ma coinvolgono altresì trame, invenzioni, tempi comici e personaggi...
E se vi sembra ci siano troppi colpi di scena tropppo presto... tranquilli, ne seguiranno altri, in particolare nell'ultimo, esplosivo episodio.
Se invece vi pare ci siano piccole imprecisioni, sottili falle nel tessuto narrativo, non preoccupatevi:  alla fine quadra tutto!
Anche dopo un inizio scoppiettante il livello delle puntate si mantiene alto (altresì grazie ai divertenti flashback sui nostri eroi ancora vivi), il ritmo è eccellente, i dialoghi gustosi, e sono molto riusciti i protagonisti, cui, inevitabilmente ci affezioneremo, compresa quella sussiegosa di Tahani, che all’inizio stenteremo a digerire.
E, a loro modo, non mancheranno intrighi, inganni, ricatti, e persino un omicidio (sic!)…
Concludo – entusiasta – con due segnalazioni: il cast annovera Ted Danson  tra i suoi membri e… diciamo che fino all’ultimo hai una voglia tremenda di vedere la Parte Cattiva in tutta la sua magnificenza.

venerdì 19 maggio 2017

Geografia alternativa a confronto

ATLANTE DEI LUOGHI INSOLITI E CURIOSI
di Travis Elborough e Alan Horsfield


Lo so, avevo promesso che la prossima tappa nel mondo della “geografia alternativa” sarebbe stato l'“Atlante delle Isole Remote” della Bompiani... Il fatto è che, per il mio quarto volume sull'argomento, mi è venuta voglia di sbirciare i prodotti della concorrenza.
Ebbene, la soluzione editoriale della Rizzoli presenta punti in comune e differenze.
Intanto, un titolo più generico, che permette di spaziare maggiormente e con più varietà (ed infatti quest'opera comprende stranezze architettoniche quali luoghi maledetti, labirinti sotterranei, atolli dimenticati, città fantasma e luoghi abbandonati). Inoltre, mentre gli Atlanti Bompiani si limitavano alle mappe, qui l'arte della cartografia è affiancata da splendide fotografie a tutta pagina in bianco e nero che talvolta, come nel caso de “La Collina delle Croci” o de “L'Isola delle Bambole”, sono agghiaccianti, capaci di superare l'immaginazione, tal'altra, invece, ad esempio nel caso di Leap Castle, rappresentano una mezza delusione, non essendo all'altezza della medesima (ma suppongo sia un fatto soggettivo).
Non discuto la scelta di avvalersi della precisione della riproduzione fotografica (anche se, in linea di massima, io sono una di quelle che preferisce sognare), ma, obietto: già che c'eravamo, non si potevano mettere immagini a colori? Capisco la necessità di contenere i costi, ma, come lettrice, preferisco spendere un po' di più e avere il top, piuttosto che risparmiare, tanto più che alcuni paesaggi, come “Il Cratere di Derweze”, perdono tantissimo rinunciando alla fastosità cromatica! 
In quanto alla veste grafica, peraltro, nel complesso risulta meno elegante, ma ugualmente bella sul piano estetico, vantando caratteri più grandi e un maggior numero di pagine (quasi cento in più).
Sui testi niente da eccepire: sono gradevoli, esaustivi, disinvolti, e cercano di prendere le cose un po' alla lontana per conferire spessore alle considerazioni, per creare un contesto o atmosfera. Niente suggestioni poetiche, però. Il taglio è pratico, con qualche ammiccamento.
Perciò, in definitiva, che cosa è meglio, Bompiani o Rizzoli?
Tutt'e due!!!
Perché scegliere?
Oltretutto il divertimento maggiore sta proprio nel confrontare le voci: quando riguardano realtà differenti, e ancora di più quando coincidono!

giovedì 18 maggio 2017

Si ride e si piange

THE DRESSMAKER – Il DIAVOLO E' TORNATO
di Jocelyn Moorhouse 
(2015)


Adoro Kate Winslet: è talentuosa e intensa e saprebbe conferire spessore persino a Olivia di Braccio di Ferro. 
E' dunque la sua presenza che mi ha spinta a voler vedere questo film, ma devo ammettere che, nonostante tutto, non sono rimasta delusa.
Nonostante perché la protagonista ha davvero troppe sfighe e in alcuni punti si indulge un po' troppo al melodramma, senza bilanciarlo con altrettante, liberatorie e doverose, stilettate al fiele verso chi se lo merita...
Nonostante perché mi sembra incredibile (e spero che davvero lo sia) un simile coacervo di meschinità, stupidità e cattiveria senza redenzione: nell'odioso paesino di Dungatar sette persone soltanto non ne sono affette!
Nonostante perché l'intreccio di base non è originale e sembra un ibrido fra “The Help”, sfrondato dalla questione razziale, e “Il Diavolo Veste Prada”, ma con la carnefice che in realtà è vittima.  
Nonostante perché, con tutto il bene che voglio a Kate Winslet, spacciare il suo personaggio, Tilly, come coetaneo di Liam Hemsworth sfiora il ridicolo.
Al di là di ciò, però, sì, il film mi è piaciuto. Si ride e si piange, si apprezza il valore di arte e stile, ci sono tanti personaggi variopinti in evoluzione, buoni interpreti, molte scene topiche, momenti di dolcezza e di rabbia – rabbia nera – e almeno due colpi di scena pazzeschi, per quanto annunciati (ma pure altri di cui avrei fatto a meno)... 
Ho qualche dubbio sull'epilogo, che in parte ci voleva, ma in parte mi sembra eccessivo e quasi surreale. In compenso Kate Winslet è in gran forma, Hugo Weaving sembra ringiovanito e sfoggia una (è il caso di dirlo) veste nuova quanto irresistibile. Anche Liam Hemsworth si distingue e riesce ad affrancarsi dalla parte del bamboccio belloccio assurgendo a qualcosa di più.
Ma soprattutto, nonostante i difetti evidenziati, è avvincente la trama, buona l'ambientazione (siamo in Australia nel 1951) ed ammaliante il personaggio di Tilly: lungi dall'essere un diavolo, ma, semmai, una donna forte, determinata, che ha saputo reinventare se stessa e ciò che la circonda. 
E, certo, è delizioso il confronto tra la miserabile cittadina di Dungatar e le sue abitanti che, dopo la cura Tilly, girano agghindate secondo la moda parigina, tra paesaggi polverosi e spogli scenari rurali, conquistate dalla ventata di modernismo che Tilly rappresenta. Ciò nondimeno restando tragicamente e irreparabilmente arretrate a livello di mentalità, a dispetto delle seducenti sovversioni provocate dalla nostra eroina con ago, filo e macchina da cucire.

mercoledì 17 maggio 2017

Educa alla positività

VIOLA GIRAMONDO
di Teresa Radice e Stefano Turconi


Mi ispirava, tanto più che gli autori sono gli stessi de “Il Porto Proibito”. 
Solo che è etichettato come opera per ragazzi. 
Solo che i disegni sono così belli, così sbarazzini e vitali, così teneri... 
E allora mi sono detta: massì, al massimo lo regalo alle mie nipotine.
Solo che alla fine me lo sono tenuta...
Perché è per ragazzi, ma anche per me!!!
Ed è stupendo... 
In effetti “per ragazzi” non vuol dire limitato.
In questo caso, anzi, credo che voglia semmai puntare l'attenzione sul fatto che educa alla positività ed insegna a vedere con occhi nuovi, conquistando per la sua genuina freschezza, adatta a tutte le età.
Una lezione semplice, ma non scontata, arricchita da citazioni e riferimenti (per tacere del fatto che tra i personaggi compaiono Toulouse-Lautrec e Dvorak) e densa di spessore umano.
Trasmette amore per la bellezza e per la conoscenza, la voglia di scoprire cose nuove nel mondo come nello spirito, a tutti i livelli, rivelandosi ecologico e multietnico, fondandosi sull'accettazione e sulla tolleranza in ogni senso.
Senza almanaccare o concionare, ma soltanto mostrando.
Insegna la saggezza, la curiosità e lo stupore, alternando vignette a flussi di parole illustrati, finendo per delineare una sorta di linguaggio universale del cuore che parla direttamente all'anima, avvalendosi – ma senza invasività o saccenteria – di un meraviglioso amalgama di citazioni colte e suggestioni liriche. 
Così ora mi sento in colpa verso le mie nipotine, perché le giovani menti se lo meriterebbero un libro del genere...  
Per cui mi toccherà rimediare, e comprarne una copia anche per loro.
Affinché le aiuti a crescere e diventare migliori e più felici.

martedì 16 maggio 2017

Sfracellarsi come Tom Hanks

IL RAGNO SI BUTTA DALL'AEREO
(COL PARACADUTE)


Quando il mio fratellino – il Ragno, appunto – mi ha annunciato che l'avrebbe fatto, che per la Laurea i suoi amici gli avevano regalato da vivere quest'esperienza estrema,  mi è venuto male (le altezze mi terrorizzano, mi terrorizza il vuoto, soffro di vertigini e un po' anche lui).
Poi mi è venuto peggio (i paracadute a volte non si aprono, i tiranti si attorcigliano, la gente si ammazza, cade, si spiaccica, muore. Kaputt!!!).
Poi mi sono dimenticata (è passato del tempo, io sono finita in altri mondi e in altre storie...).
E sì che in seguito il cucciolo mi aveva ribadito la data, il 7 maggio, ma con un notevole anticipo e così, dopo una giornata di ossessioni e angosce, mi sono scordata di nuovo...
Fino a che... Una sera mon amour mi fa vedere un film su un disastro aereo scampato (Sully). 
Poi, con aria birichina, mi avverte: c'è ancora una cosa che devo farti vedere. 
Mi aspetto scene tagliate o dietro le quinte.
Mi aspetto Tom Hanks.
MPM mi mostra quel che mi deve mostrare direttamente in Tv, non sul pc.
MPM è sadico.
Ed ecco che – dopo gli incubi in cui Tom Hanks si sfracella a destra e a sinistra – il Mio Perfido Marito mi fa vedere questo:


L'agnizione mi ha travolta e mi sono venute ansia e vertigini a distanza! Ma anche  moti di orgoglio sororale per quanto è carino il mio piccolo e sorridente e temerario... Certo, anche pazzo! Ma è stato emozionante e bellissimo! E mi è parso di sentire l'aria nella pancia e in faccia, e l'abisso ovunque... Ma non è stato brutto, anche se lo stomaco mi si è contorto lo stesso... E' stato eccezionale!!! E, cavoli, mi è venuta voglia di farlo anche io. 
Così l'ho fatto, nel senso che ho riguardato il tutto immaginandomi di essere al posto di mon petit frère.
Realisticamente mi sono detta: 
0,45: Ecco, questo è il punto in cui ci sto già ripensando, ma faccio finta di no, e sorrido anche se dentro mi sta crescendo un urlo di panico.
0,50: Ecco, adesso insulto l'istruttore per il solo gusto di farlo, ma gli assicuro che no, non voglio tornare indietro: sono una testa di beep e piuttosto crepo.
0,52: Ora realizzo che effettivamente potrebbe proprio succedere Ah! Ah! Ah! 
1,18: Il mio cervello, allarmato, mi dice: Scappa! Sei ancora in tempo! Scappa!, ma io faccio finta di niente. 
1,22: Ecco, questo è il punto in cui mi suicido mentalmente, pensiono il mio cervello ed entro in una sorta di coma vigile... Intanto, nel vuoto cosmico del cranio, ripeto il mio mantra: l'orgoglio prima di tutto!
2,27: Mi sveglio, cerco di sganciarmi dall'istruttore (se serve lo meno) e mi attacco alla gamba del pilota giurando e spergiurando che non mi staccherò mai e poi mai, neanche per tutto l'oro del mondo!
2,47: Questo è il punto in cui probabilmente il pilota mi dà un calcio e si libera di me.
2,50: Ormai i miei pensieri si riducono ad uno: paurapaurapaura...
2,54: Ho il primo infarto.
3,03: Ho il secondo infarto.
3,13: Vomito.
3,14: Il mio vomito mi torna in faccia.
3,15: Ho il terzo infarto, urlooooooooooooooooooooo e svengo.
3,49: Sono ufficialmente morta e ho la faccia sporca di vomito.
4,32: Riesco lo stesso a spaccarmi una gamba.
4,33: E anche l'altra.

Così vengo a più miti consigli e decido che non farò mai l'esperienza. E poi, che cavolo, se mi succedesse qualcosa come farebbe il mondo senza di me?

La verità è che, benché fosse tardi, avevo una voglia matta di telefonare subito al Ragno per chiedergli della sua avventura. Mi sono trattenuta... Ad ogni modo, ecco quel che mi ha raccontato successivamente, con ancora la luce negli occhi, mentre io lo “intervistavo”:

E' stato bellissimo, e mi sono divertito un sacco!!!
L'istruttore era simpatico e c'era un bel clima rilassato, mi ha messo subito a mio agio!
No, non ho avuto paura, ma è stato impressionante vedere la gente che, quando si avvicinava all'uscita, veniva risucchiata fuori dall'aria... 
Io sono uscito per ultimo perché, a quanto pare, ero il più leggero. 
Eravamo a Garzigliana, a sud di Pinerolo. 
Prima del volo mi hanno spiegato come buttarmi e come atterrare. 
No, mentre precipitavamo l'istruttore non mi stava dicendo di salutare: mi invitava a muovere la mano ad onda, perché quando sei in caduta libera è divertente come effetto, ma io non capivo... Me lo aveva spiegato anche prima di buttarmi, ma mi ero dimenticato. 
Eravamo a 2000 metri di quota. 
In principio avevo freddo, ma una volta aperto il paracadute stavo bene: il sole si sente tantissimo, lassù! 
Altroché se mi piacerebbe rifarlo!!! E' stato meraviglioso!”

Alla prossima!
Baci e spari.

lunedì 15 maggio 2017

Un volume pieno di speranza

GIULIA 1300 E ALTRI MIRACOLI
di Fabio Bartolomei


Ho amato il film (si veda post del 29 marzo 2017, cui mi richiamo per la trama), ma amo ancora di più il libro. Che è uguale, ma non lo è.
Stessa poesia, medesimo divertimento, ma più realistico e sanguinoso... e con un finale meno definito. Con altre variazioni lungo il percorso (ad esempio, Elisa qui non è incinta), ma mai di natura sostanziale.
Se ho preferito il romanzo alla pellicola è perché, ancora di più, riesce a farti sentire parte di qualcosa, di un progetto, che è tuo, ma in condivisione, ed è meraviglioso, ma non rimane un sogno, ed anzi, tra mille difficoltà e alterne fortune, si concretizza sempre più in fretta e ancora meglio di come l'avevi immaginato, grazie all'apporto di tutti.
E in un attimo quelli che per te erano sconosciuti di cui diffidare diventano prima i tuoi migliori amici e poi la tua famiglia.
E tu stesso cambi, liberandoti di condizionamenti e sovrastrutture, e diventi tu, libero e indomito, riuscendo finalmente ad intessere rapporti veri, perché tu per primo lo diventi, vero. Autentico. Senza finzioni.
Neppure quelle che dovrebbe suggerire il buon senso.
Un volume pieno di speranza e bellezza, contro ogni stereotipo, allegro e agro, che ci mostra come vivere e come essere... perché anche a quarant'anni si può essere protagonisti di un romanzo di formazione.
E poi c'è lo stile dell'autore: stupendo. Intanto per la massiccia dose di ironia, che ti dipinge un sorriso perenne sulla faccia, con leggerezza e garbo, ma non senza empatia e sensibilità, sdrammatizzando e – quando è necessario – facendosi più intenso, struggente, colpendoti al cuore, per acume e sentimento. E poi per come riesce a coinvolgerti da subito, portandoti prima, attraverso la terza persona, a scrutare con curiosità i personaggi, e poi, grazie all'io narrante di Diego, ad immedesimarti e divenire parte di questo scalcinato gruppo di splendidi (anti)eroi.
Che altro dire?
Che sono innamorata...
E necessito degli altri romanzi di Fabio Bartolomei. Oggi comincio “La Banda degli Invisibili”!

venerdì 12 maggio 2017

Non spacca

L'OCCHIO DEL MALE
di Stephen King


Per l'esattezza, uno di quelli pubblicati con lo pseudonimo di Richard Bachman... Non fra i migliori, però.
Brutto non è, ed anzi è incentrato su uno dei temi horror che prediligo, quello della maledizione – nella fattispecie maledizione gitana –, connesso, peraltro con una ridda di tematiche sociali altrettanto ineressanti: dalla giustizia fai-da-te alla corruzione, dal perbenismo borghese alla fragilità dei legami matrimoniali...   
E tuttavia, nonostante alcuni tocchi di classe e alcuni punti splendidamente inquietanti (“Dimagra”), uno stupendo finale amaro e dolcemente goloso (sì, la mia è un'allusione precisa e non casuale), nonostante sia costruito bene e vanti il solito superbo stile del Re... non è incisivo. Non spacca. Non trascende, per quanto, sicuramente, intrattenga piacevolmente gli amanti del genere.
Il punto debole, temo, sono i personaggi. Non uno che mi abbia conquistata o del cui destino, in definitiva, mi importasse davvero... 
La storia, in compenso, è abbastanza avvincente, dotata di un buon ritmo e buone idee di base.
Solo che, mi dispiace, per i parametri di Zio Stevie non è abbastanza.
Perché di norma le sue opere vanno oltre, in primis a livello emozionale, ma pure sotto il profilo intellettuale, assurgendo a letteratura, senza restare nell'alveo delle letture da ombrellone.
Naturalmente i veri fan lo devono leggere comunque.
Naturalmente si divertiranno.
Ma dal prossimo, attesissimo, lavoro di King si aspetteranno senz'altro di più (con tutto che il Re l'ha scritto con il figlio Owen... Speriamo che non sia una mera operazione commerciale per lanciare la carriera della prole!)

P.S.
Il Dylan Dog n. 76, Maledizione Nera, ancora uno di quelli di Sclavi, deve molto a questo romanzo.

P.P.S.
Devo ancora digerire il fatto che nel Film su “La Torre Nera” Roland sarà interpretato da Idris Elba...

giovedì 11 maggio 2017

Considerazioni finali

ZOOM!!!
Parte 3 di 3


Terminata la carrellata degli animali che più mi hanno conquistata, ce ne sono però altri che devo segnalare... Perché, è innegabile, sono comunque tutti affascinanti e ricchi di bellezza!
Dai Fenicotteri ai Pellicani – i primi seducenti persino mentre dormono, con quei colli assurdi, ritorti e attorcigliati – alle Testuggini Giganti, ma giganti sul serio, con carapaci grossi come massi.
E poi il Panda Rosso, che dormiva su un ramo... E che ci ha insegnato a scrutare gli habitat con attenzione, per non rischiare di perdere nulla (non sempre gli animali stanziano dove ci si aspetterebbe di trovarli). 
Le Gru, stupende, con la femmina in cova e il maschio a controllare il perimetro, guardingo...
L'Istrice, i Cervicapra con i cuccioli, ma anche le più comuni Pecore e Capre, con quei bellissimi caprettini neri. Riguardo a queste ultime – che gioia! – ai visitatori è concesso di entrare nel loro recinto. Basta non spaventare gli ovini e correre loro appresso... 
E poi ci sarebbero i Conigli Nani. Naturalmente, in quanto coinquilina ufficiale di Paco Coniglio, sono dovuta andare a trovarli... Ma, nonostante abbiamo tentato più volte, in orari diversi, non siamo mai riusciti a scorgerli. Del resto la giornata era calda, in più i lapini conducono preferibilmente una vita crepuscolare (chissà quanto dev'essere bello visitare Zoom di notte!!!)  
In ultimo, mi hanno ammaliato il laghetto acquitrinoso con i pescioni (carpe?) e gli scoiattoli. Che non figurano tra gli ospiti del parco, ma ci sono, e di tanto in tanto attraversano la strada!
In realtà sono presenti altre bestiole che non ho menzionato... Non perché non siano meritevoli, ma per non svelare proprio tutto tutto tutto, casomai, come spero, ci dovessi tornare. 
Mi preme, però, fare un paio di considerazioni finali, molto succinte:

Nota Positiva: A Zoom si è ecologicamente sensibili: ci sono laboratori contro l'inquinamento (e contro la plastica in particolare), raccolte fondi per gli animali e... il Cimitero degli Animali Estinti. Fa venire un senso di vuoto, di perdita profonda, con quelle lapidi – ognuna dalla forma differente e peculiare – e le notizie sull'animale scomparso... Ma è giusto. Per aiutarci a fare sì che non accada più. 

Nota Triste: Il Rinoceronte, che ricordavo essere ospite del parco, è morto quest'inverno. Non avendolo notato sulla mappa ho chiesto ad uno dei Signori del Parco, che mi ha informata. Successivamente, ho trovato un enorme “Ciao Freddy” e ho capito che Freddy era, appunto, il rinoceronte. Mi dispiace, ragazzo. Avrei voluto conoscerti.

Nota Petulante: Non c'è il Rettilario!!! Perché no??? Sarebbe così bello... E' vero, vicino alle Lontre troviamo un Pitone e un Boa... Ma che meraviglia se ce ne fossero di più!!! E un po' di sauri, magari... E mi piacerebbero pure degli insetti... E degli aracnidi... Magari un camaleonte!

Nota Doverosa: Prima di recarmici, ho studiato sul sito ufficiale (http://www.zoomtorino.it/) le regole del parco, apprendendo che se non ci sono limiti all’uso privato, per pubblicare le foto scattate dai visitatori a scopo commerciale è necessario chiedere preventivamente al dipartimento marketing. Nel dubbio, quindi, prima di postare l’articolo ho inviato l’ambaradam all’indirizzo mail fornitomi all’ingresso… Per fortuna, perché la prode Elisa Molinari, non solo mi ha corretto alcuni erroracci (nomi errati dei Lemuri e la precisazione di cui alla nota 1- parte 1), ma mi ha persino omaggiato delle due bellissime foto delle Gru! Quindi: grazie mille a Zoom e ad Elisa!!!  

Consiglio per i visitatori: Anche se il parco in due ore si gira con comodo, conviene fermarsi di più e rivederlo ancora e ancora: a seconda del momento della giornata gli animali possono essere svegli o addormentati, o dare sensazioni differenti! Diversissimo è vedere l'Ippopotamo che ti scruta immobile, semi sommerso dall'acqua, dallo spiarlo mentre è attivo, con le fauci protese verso l'alto, intento a prendere il cibo...

Che dire di più?
Che vorrei tornarci già domani...
E magari in giugno, mese in cui, a quanto pare, verrà allestita una nuova area...

mercoledì 10 maggio 2017

La famiglia Gibbone

ZOOM!!!
Parte 2 di 3


Segue da ieri... E si parlava delle Giraffe, gli animali preferiti dalla mia nipotina di cinque anni. Sono dolci ed eleganti, favolose da guardare, ma hanno una lingua lunghissima e impressionante, tendente al blu. Tra le attività extra del parco c'è anche quella di dar loro da mangiare e, magari, accarezzarne il capino... Le giraffe, per contro, sono così abituate a ricevere cibo dall'uomo che, se siete nel punto giusto, può darsi che vi avvicinino lo stesso, speranzose, con sguardo interrogativo, come a dire:  “E io? Non hai niente per me?”. Quando è successo mi sono sentita in colpa.  
Con loro convivono in armonia lo Struzzo, contegnoso e con un piumaggio stupendo, che ondeggia appena muove un passo, e le soavi Gazzelle, che hanno incantato persino il più austero fra noi (alias Scimmia).  
Ho apprezzato in modo particolare pure i Pinguini, straordinariamente piccoli, e molto diversi rispetto a quelli che mi hanno entusiasmata all'acquario di Genova, tutto un fremere di tuffi e di versi... Questi, dotati di uno spazio più vasto, sembrano in vacanza: ti guardano, zampettano, a tratti paiono persino mettersi in posa per farsi fotografare. Perlopiù stanno in gruppo, ma ci sono gli asociali che si appartano, forse per il piacere di starsene un po' in pace.
Davvero emozionante, inoltre, è la dimostrazione dei Rapaci in volo sulle nostre teste all'Anfiteatro di Petra, ad orari precisi della giornata, in presenza dei falconieri. Si possono osservare Falchi, Poiane... ma soprattutto, oltre al mio Marabù, gli Avvoltoi, tenebrosi e implacabili. L'attività dura circa venti minuti, ed è molto coinvolgente. Non è uno spettacolo, come ci è stato spiegato, in quanto gli uccelli non sono ammaestrati, ma semplicemente indotti, con la promessa di cibo, a compiere ciò che già fanno in natura. E quindi assistiamo a voli leggiadri, a predazioni perfette, realizzate con il becco o con i più micidiali artigli, e ai miei avvoltoi (ma non soltanto loro) che ispezionano buffosamente sotto le pietre. C'è addirittura qualche imprevisto “previsto”... Gli uccelli, infatti, sono liberi, e non è detto che, quando il falco pellegrino esce per cacciare, torni subito subito... Magari preferisce farsi un paio di volteggi nel cielo prima di rispondere alla seduzione del logoro, l'attrezzo che il falconiere agita in aria per richiamare i falchi.   
Infine, a sorpresa, nel senso che non l'avrei mai sospettato, tra le bestiole che mi sono piaciute di più devo annoverare il Gibbone. Più piccolo di quanto immaginavo, ma stupendo, agilissimo e... quasi umano. Forse mi sembra così perché i gibboni ospiti del parco sono una famiglia, con tanto di figlioletto che si diverte a fare le acrobazie tra gli arbusti o che reclama coccole quando mamma e papà si siedono sull'argine del laghetto incuriositi dalle persone che gettano pane ai pesci, ma in fondo è pur vero che discendiamo dalle scimmie.  
Le Tigri, invece, che entusiasmavano tutti, inclusi i miei amici, non mi hanno fatto impazzire. Indubbiamente sono belle e maestose, flessuose e potenti, ed era possibile farsi rapire dalla loro “agghiacciante simmetria” (Blake docet) ad una distanza di sicurezza relativamente ridotta, ma sono troppo sonnacchiose per i miei gusti. Complici, plausibilmente, le loro abitudini notturne.
E poi, per indole, io sono portata ad amare maggiormente le bestiole che non ama nessuno... 
Dunque, Marabù forever!!!  Non è vero che è brutto!!!!!!! La bellezza è negli occhi di chi guarda!
A domani la conclusione.

martedì 9 maggio 2017

I Suricati indaffarati

ZOOM!!!
Parte 1 di 3


Zoom è l'incantevole bioparco vicino a Torino... 
Bioparco, non zoo. Il che significa che gli animali non sono prigionieri in gabbia, ma fieri ospiti di aree suggestive, suddivise per habitat, il più possibile simili a quelli naturali, con tanto di florida vegetazione e, quando è il caso, di magnifiche riproduzioni di baobab...  
Ci sono stata sabato 22 aprile, con amici, ed è stato distensivo quanto emozionante. Per l'occasione il Mio Perfido Marito – come lui stesso ama sottolineare – è stato lasciato a casa, solo e abbandonato, ed ecco perché le foto sono quel che sono. Le ho fatte io (salvo le due con le Gru - si veda parte 3 - per cui si ringrazia Elisa Molinari, di Zoom).
E ne ho cancellate più della metà: non tanto perché sfocate, quanto piuttosto perché, ad esempio, raffiguravano il sedere dello struzzo, il didietro della zebra (molto signorile, peraltro), il cranio stempiato di un signore seduto davanti a me nell'anfiteatro di Petra, il terreno brullo, il mio dito, o giraffe senza testa... Ops.
Comunque... Nel parco si gira a piedi, senza auto, e si constata subito che le bestiole vengono amate e rispettate: sono pulite, sane e vivaci, con spazi adeguati per muoversi. 
All'ingresso si notano i miei preferiti: i Suricati – i “Timon”, di “Timon e Pumba”, per capirsi – deliziosi e indaffarati, a seconda del momento (ci siamo tornati più volte) a scavare, a coccolarsi, a osservare il cielo all'unisono, concentratissimi e ritti sulle zampine, in corrispondenza del passaggio di un aereo. Sono animali sociali e la cosa curiosa è che, benché vivano in cattività, hanno mantenuto le abitudini della specie (1): a turno, infatti, uno di loro sale sul punto più alto e controlla che non sopraggiungano nemici...
Al secondo posto tra i miei prediletti c'è il Marabù, uccello saprofago. E' sgraziato e maestoso ad un tempo, mette i brividi e ugualmente fa tenerezza, con il suo incedere sbilenco, le gambe lunghe e la testolina calva... Lo amo perché ha personalità e reca in sé più contraddizioni di tutti gli altri.   
Bellissimi anche i Lemuri, le proscimmie del Madagascar (e dell'omonimo film di animazione): straordinariamente amichevoli, con il musetto curioso, gli occhioni grandi e l'espressione a volte spaurita a volte altezzosa. Non hanno paura di noi – anche se, quando litigano fra loro, emettono versi terrorizzanti che paiono provenire da creature aliene – ed anzi, si avvicinano, ti vengono fra i piedi, se possono, ma tu non glielo devi permettere: toccarli – o lasciarsi toccare – è vietato in quanto possiamo portar loro malattie. Zoom ne ospita cinque specie, ma io ho visto soprattutto Lemuri Varecia e, in misura minore, Lemuri Neri con il cucciolo appresso. La nostra S. C., che aveva già visitato il parco tre anni prima, ha detto che invece, in allora, aveva osservato soprattutto Lemuri Catta e Lemuri dal Ventre Rosso, con i piccoli arrampicati sulla schiena.    
Tra le mie simpatie, poi, spiccano le Lontre, ben deste quando siamo arrivati, ma impegnate in un lungo sonno ristoratore per il resto della giornata... E' possibile ammirarle fuori e dentro l'acqua, con una formula pratica e intelligente che è stata applicata anche all'Ippopotamo e ai Pinguini. Segue la Giraffa, ma... seguirà domani, che già così mi si rimprovera di stilare post troppo lunghi!

(1) Nota di Zoom: Gli animali ospitati al bioparco provengono non dalla natura, ma da parchi zoologici associati che, come ZOOM Torino, sono membri EAZA (European Associations of Zoos and Acquaria), l’associazione internazionale che ha l'obiettivo di promuovere la cooperazione tra strutture membro a favore di progetti di conservazione di specie a rischio di estinzione. Non vengono catturati, né acquistati da mercanti, ma scambiati quindi tra parchi secondo le disposizioni degli EEP coordinator, professionisti che monitorano la popolazione nelle varie strutture e che decidono l’eventuale riproduzione a fini conservazionistici, controllando la diversità genetica e il numero).