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venerdì 29 marzo 2019

Mitologia universale nel senso più ampio

L'ALTRO MONDO – STORIA ILLUSTRATA DELL'ALDILA'
di Guillaume Duprat


Volume interessante per tre motivi: l'argomento escatologico, per me molto attraente, ma raramente oggetto di approfondimenti specifici non vincolati al cristianesimo, il fatto che tratti di mitologia universale nel senso più ampio possibile, includendo religioni e tradizioni autoctone, senza discriminazioni, e, ovviamente, le illustrazioni a tutta pagina.
Che non vanno a scapito del testo, assai dettagliato, benché un po' schematico, ma lo completano, fornendo interpretazioni suggestive, in bianco e nero come a colori, esplicate e puntuali, tanto dell'aldilà – Paradiso o Inferno che sia, visto, di solito, nel suo insieme, magari ripartito in sezioni trasversali – quanto delle componenti della persona (che spesso sono molto di più della semplice anima e seguono destini differenti).
Certo, forse avrei apprezzato anche qualche pagina illustrata incentrata su abitanti, vegetazione e spiriti di passaggio, ma il volume sceglie deliberatamente di somigliare più ad un atlante che ad un manuale analitico. 
Più esattamente, il volume si divide in due parti: la prima dedicata alle religioni, che procede in ordine cronologico, e comprende anche le grandi mitologie (egiziana, mesopotamica, greca...), ignorando, però, chissà perché, quella norrena (peccato!). La seconda relativa alle tradizioni autoctone (dai Maori ai Vietnamiti, dai Sioux ai Buriati...), che invece privilegia raggruppamenti di tipo geografico. Nelle ultime pagine, invece, vengono schematizzati confronti generali, chiarificatori e insoliti, che consentono di dare alla materia uno sguardo più vasto e onnicomprensivo, oltre che di coglierne gli aspetti fondanti, le similitudini e le differenze più significativi.    
Ottimo coronamento per la sezione mitologica della nostra biblioteca domestica.

giovedì 28 marzo 2019

La vita è amore, ma anche dolore

IL CIRCO DELLA VITA
di Nicolas Antona e Nina Jacqmin


Una storia tenera, che parla di amore, di attese e di scelte.
E di come la cosa più bella, alla fin fine, sia ritrovarsi.
Credo di essere d'accordo, sebbene, nella fattispecie, la fine mi abbia un po' stranita. Non sono certa di condividerla. Ma neppure la biasimo. 
Per quanto mi faccia stridere qualcosa nelle ossa, è probabilmente l'unica conclusione possibile, date certe coordinate. 
E fa male, naturalmente.
Fa male.
Ma solo a me che leggo. Non al protagonista.
Inoltre ha il potere di trasformare una storia tenera in una storia viva. Vera. Che non è solo intrattenimento, ma qualcosa di più. Che della vita cattura l'essenza e la mette su carta, mostrandola senza descriverla.
Perché la vita è amore, ma anche dolore.
Anche dopo che si sono superate indicibili difficoltà.
Anche quando ci si accontenta, senza forzature, ma assecondando il nostro animo fanciullo.
O si pensa di possedere già tutto.
Che magari non è tangibile, ed, in effetti, è davvero tutto.
Avvertimento: questo è un fumetto che migliora col tempo. Mentre lo leggi ne avverti i limiti, le imperfezioni. Poi ci ripensi e ti accorgi che invece doveva essere così. Perché non è di uno spettacolo che stiamo discorrendo.
Non è del circo.
Ma del circo della vita.

mercoledì 27 marzo 2019

Sbuffo indifferenza

LA QUINTA ONDA – L'ULTIMA STELLA
di Rick Yancey


E con questo si conclude la trilogia.
Che, lo ammetto, non mi ha fatta impazzire. Il primo romanzo è carino, contraddistinto dallo stile brillante e da buone trovate. Il secondo è di transizione: permette di approfondire la conoscenza dei personaggi, ma è parco di eventi e un po' noioso. Il terzo... beh, è migliore del precedente, ma, tutto considerato, avrei preferito fermarmi al primo. La fine non è male, e aumenta un po' il valore dell'opera, nonostante qualche tratto scontato, ma nel complesso non mi sono abbastanza legata né ai personaggi né alla vicenda.
Se assisto alla morte di qualche ragazzino, se altri sono in pericolo e potrebbero lasciarci le penne... ecco, non me ne importa niente. Non provo tensione, né sollievo, né altro. Sbuffo indifferenza. 
La lettura non è faticosa, ma non mi lascia niente, e vado avanti più che altro per testardaggine, perché se inizio un libro devo finirlo. 
Che poi, in realtà, Cassie mi è abbastanza simpatica, e pure Ringer. E Ben Parish/Zombie, quando sorride. 
Ma non basta.
Perché non mi importa veramente di loro. Non sono coinvolta. Non partecipo delle loro emozioni. Soffrono, lottano, rischiano... Embè?
Mi sembra tutto troppo macchinoso, verboso, sterile, ma al contempo lo percepisco come superficiale. Eppure i pensieri dei protagonisti vengono indagati con attenzione... e quindi? E quindi non mi interessa.
Il problema è tutto lì. 
L'autore si impegna, ci prova, dice tante cose, ne fa accadere altre, ma non riesce a conquistarmi. 
Che cosa ho imparato? Che devo selezionare meglio gli Young Adults.

martedì 26 marzo 2019

Sei anni e un Instagram

SESTO COMPLYBLOG


Sei anni, oh yeah. 
Di cui l'ultimo più travagliato del solito, con tanti silenzi e intervalli, lo so... Ma anche con una radiosa novità: adesso sono anche su Instagram! I Frattocugini me lo dicevano da un po', e finalmente, dieci giorni fa, il Mio Perfido Marito lo ha reso possibile. Questo non vuol dire che io abbia imparato ad usarlo e che sia autonoma... vuol dire piuttosto che il mio livello di dipendenza da MPM va aumentando. Ma così anche le potenzialità del blog (auspico). Per il resto, spero di avere presto altre novità, perché è da una vita che mon amour promette che realizzerà la versione cartacea dei miei eBook! E, a proposito, per quanto riguarda il prossimo, “Catarsi”, il penultimo della Saga delle Fanciulle del Mare, sto pensando di farlo uscire verso ottobre. Quest'anno non credo che riuscirò a redigere il volume conclusivo, “Il Segreto del Sangue”, sebbene ne abbia già stilato un canovaccio dettagliato (mi spiace, ma in agosto dovrò affrontare il mio primo trasloco di natura lavorativa, e per me già l'idea è traumatizzante, inoltre, dopo tre anni, finalmente, potrò tornare al mare, e intendo quindi godermelo il più possibile), perciò l'idea è dedicarmi alla correzione del quinto librino durante l'estate, e scrivere il sesto il prossimo anno.   
A questo punto non mi rimane che ringraziare tutti quanti: consiglieri, sostenitori, amici e lettori occasionali (grazie di cuore!), e, come al solito, buttare giù qualche dato:
Visualizzazioni: 413.000 circa;
Net-Parade: Livello: 412;                    
Classifica dei blog migliori di sempre: 9;
Post più popolari: l’inschiodabile “Cannibal Holocaust”; “Leonid”; la new entry “La Chiamata”; “Deadpool”; il saggio Gremese su Tarantino; la new entry “I Segreti di David Lynch”; “Il Mio Secondo Dizionario delle Serie Tv Cult”; “Children”; Due sproloqui che non si capisce perché siano qui, ovvero quello sulla produttività di un periodo lieto e quello sulle Serie Tv che mi sopraffanno.
EBook all’attivo: 8!
Social Connessi: Facebook (690 fans), Twitter (371 follower), Instagram (ehm... 80. lo so che sono pochi, ma è passata solo una settimana). Sperando di migliorare.
Grazie ancora e a domani!!!

lunedì 25 marzo 2019

Altre idiozie

ALTRO TOUR IN OSPEDALE... 


Già scontato, quindi non preoccupatevi! Sono a casa, sana e salva, con appena un po' di dolorini sparsi, ma... qualche cosetta da raccontare. 
Sì, sempre della serie rido per non piangere.
Cominciamo dalla visita anestesiologica... Me l'hanno piazzata alle 8:00. Il che significa prendere l'intercity alle 5.40 circa. Il che significa sveglia alle 4:00 e pregare che comunque non ci siano contrattempi tra treni e coincidenze.
Non ce ne sono, alle 8:00 spaccate sono in accettazione. Morta di sonno, stravolta di stanchezza, ma orgogliosamente puntuale (sono stufa di chiedere se possono darmi un orario diverso, magari in tarda mattinata... Tanto mi costringono comunque a venire all'alba, e poi mi fanno aspettare delle ore. Va bene così.).
Subito l'addetta, sprezzante, mi attacca: “Ma certo!!! I pazienti vengono all'ora che vogliono! Lei ha appuntamento alle 11:30!!! Come si permette di presentarsi a quest'ora?”
“Io non ho appuntamento alle 11.30”, sbotto. “Ho appuntamento alle 8:00. Vede? C'è scritto qui, è il foglio che mi ha dato l'infermiere. Questo è il modulo dell'ospedale, compilato.”
“No, lei ha appuntamento alle 11:30!”
Si noti che non c'era praticamente nessuno, e che, per giunta, il paziente davanti a me era appena stato spedito via, a prendersi la cartella clinica nel reparto di riferimento.
“No. Ho appuntamento alle 8:00. E non vengo all'ora che voglio. Se fossi potuta venire all'ora che volevo sarei arrivata alle 11:30, giacché non abito dietro l'angolo. A me è stato detto (e scritto), ore 8:00. Adesso.”
Quella insiste, sibilando, piuttosto sgarbata. 
Al che mi rivolgo alla mia adorabile accompagnatrice, alzando la voce e facendomi più aggressiva, e dico: “Ma ti rendi conto? E ancora gliene viene!”
“Che cosa ha detto?”, scatta quella, velenosa.
Le rispondo di tutto, che se fossimo in un manga avrei i canini aguzzi disegnati in bocca. La mia amica le dice persino di peggio, più arrabbiata di me.
Al che la tizia allo sportello diventa tutta zucchero e miele e mi fa passare. 
Mentre aspetto di essere chiamata per la visita, provo a telefonare al reparto: non mi hanno detto a che ora devo presentarmi il giorno dell'intervento. Mi opereranno alle 14.30, mi informa una donna, quindi ore 11:30.
Evvai! Per una volta mi è andata bene.
Naturalmente la mattina fatidica, alle 7:15, ricevo una telefonata da una donna agitatissima, che mi pare prossima all'infarto: “Ma signora, sta arrivando?” esordisce.  “Lo sa che l'intervento è oggi? Perché non è ancora in sala d'attesa? Signora, se la ricorda l'operazione, vero? Sta arrivando?”
Replico di sì, cercando di non farmi contagiare da cotanta ansia... Spiego che però dovrebbero operarmi nel pomeriggio e che mi han detto di arrivare per le 11.00.
La donna replica: “Ah. E' vero.” E butta giù.
Fantastico.
Poi ci sarebbe la storia delle calze... Ma quella la tengo per un'altra volta!

venerdì 22 marzo 2019

Ombre più oscure

TONY & SUSAN
di Austin Wright


Dopo aver visto “Animali Notturni” (si veda il post del 14 giugno 2018), semplicemente dovevo leggerlo, forse per trovare nuovi echi, nuovi significati, ombre più oscure o più nascoste, e per verificare che non ci fossero sfumature psicologiche andate perdute.
Non ne ho trovate: il film è stato fedele ed esaustivo, ed, anzi, forse con qualcosa in più rispetto al romanzo, meglio calibrato, più “rotondo”.
Eppure ho preferito il romanzo, perché scandaglia e scompone di più (nonostante il finale meno efficace), e fa meno male, in quanto non ti impone i suoi tempi, ma rispetta i tuoi, incluso il diritto di interrompere la lettura quando hai bisogno di respirare aria pulita. E' vero, i particolari sacrificati nel film non sono essenziali, non aggiungono molto, e la pellicola ha abbastanza riverberi da non farne accusare la mancanza, anzi, come ribadisco, a livello di mera trama, ho trovato le scelte del film più azzeccate.
A salvare e a riscattare il libro è la prosa: splendida, persino nei momenti più bui, e inesorabile. La avverti come un coltello piantato nel fianco, ma al contempo ti pare ti illumini e ti faccia compagnia. Non importa se non riesci ad affezionarti ai suoi personaggi, se la partecipazione che provi per loro è solo incidentale. Inspiri comunque tutta la polvere della strada e assorbi in te ogni istante di smarrimento, di disperazione. A prescindere da come ti saresti comportato tu al loro posto. Lo stile di Wright ti seduce subito, ti incanta. Procede piano, ma non con lentezza, e ti avvinghia immediatamente, assorbendoti. Il film, invece, te lo devi guadagnare, ti affatica, ti devasta. Lo apprezzi alla fine, quando lo decifri. Il libro è magnetico tutto, e puoi rileggerlo più volte, amandolo ogni volta, sempre di più, a dispetto di ogni efferatezza, laddove invece riguardare “Animali Notturni” sarebbe impensabile, autolesionistico e quasi suicida.

P.S.
Il titolo mi sembrava banale, ma non lo è. Non quando si sa chi è Tony (il protagonista del dattiloscritto) e Susan (la ex dello scrittore, che legge il dattiloscritto). Allora si comprende che, rispetto ad “Animali Notturni”, “Tony & Susan” è solo più insinuante, più subdolo.

giovedì 21 marzo 2019

Una carnevalata di orrori

AMERICAN HORROR STORY - APOCALYPSE


Wow. 
Non dico che sia perfetta, e comunque la mia preferita rimane Asylum, ma questa ottava stagione è stata senz'altro una gradita sorpresa. Intanto perché mi attrae l'argomento, e poi perché riprende le fila di Murder House, la prima stagione, di cui è il seguito, con il piccolo virgulto demoniaco divenuto adulto. Ma è il seguito pure di Coven, di cui ritroviamo le streghe più significative, e ci sono riferimenti vari ad Hotel.
Quindi accade non solo che ritroviamo vecchi personaggi – tra cui la nostra Constance/Jessicona Lange – ma che li vediamo persino interagire tra loro. 
Non solo. L'intreccio è quasi rivoluzionario, nel senso che si metamorfozizza di continuo, creando, effettivamente, delle rivoluzioni interne di contesti e di atmosfera, arrivando a resuscitare personaggi defunti – anche nelle passate stagioni – e a mutare prospettiva. Insomma, si parte in un modo, poi si cambia tutto, e si ricomincia la storia da quattro anni prima, per ricongiungere al meglio tutti i fili della trama. E vediamo gli stessi attori interpretare più ruoli, cambiare carattere, se non fisionomia, ci beiamo delle allusioni e delle strizzate d'occhio, e, in breve, veniamo galvanizzati dalla certezza che tutto può accadere e, anche quando ci pare scontato, non è detto che lo sia. Per il resto, solito guazzabuglio di roba buttata nel calderone: c'è di tutto, dall'Anticristo ai fantasmi, dall'Intelligenza Artificiale alle già menzionate Streghe, passando per gli Scienziati Pazzi Nerd... in una carnevalata di orrori. Ma se nelle prime puntate l'atmosfera è pesante e grottesca, pressoché priva di redenzione, presto viene rischiarata da un barlume di luce, che ci guida verso la conclusione. 
Una gazzarra malsana ed esagerata?
Sì, ma divertente.

mercoledì 20 marzo 2019

Trovare nuovi spunti

GUIDA TASCABILE PER MANIACI DEI LIBRI


Una vera delizia, emozionante e critica, leggera e sofisticata! 
L'approccio è immediato e offre molteplici intrattenimenti... Abbiamo i libri fondamentali divisi in gruppi diversificati, incluse le selezioni proposte dai librai italiani (inevitabilmente a volte ci sono delle ripetizioni, e per giunta non sempre io condivido le scelte operate – 50 Sfumature di Grigio? Davvero??? –,  ma il bello è proprio questo, per trovare nuovi spunti e fare confronti. Rilevo inoltre, compiaciuta, che ogni tanto nelle liste compare qualche graphic novel: ottima notizia, segno che i pregiudizi verso i fumetti vanno sempre più ridimensionandosi). Abbiamo le vite degli autori in pillole, gli incipit (una delle parti migliori del volume, assai stimolante, anche se non sempre si tratta di incipit in senso stretto), i premi, i best seller (elencati anno per anno, ammiccanti specchio dei tempi), le stroncature (accostate con  efficacia, tanto da risultare spesso quasi umoristiche: prima sentiamo che cosa Faulkner pensa di Hemingway – Non risulta aver adoperato mai parola che costringesse il lettore a consultare il dizionario – poi facciamo l'inverso, e diamo voce ad Hemingway – Povero Faulkner. Davvero crede che i paroloni suscitino forti emozioni? –, facendoci sembrare gli autori più umani, più vicini a noi, e a volte anche un po' bizzosi)... E ancora troviamo i film più rappresentativi tra quelli tratti dai libri, amene curiosità, un po' di ricette citate nella letteratura (cocktail inclusi), citazioni sui libri, e persino una breve storia dell'editoria...
In altri termini, un volume fresco e versatile, da leggere, da consultare, come pure da sfogliare per passare il tempo, pregno di serendipità, perché mentre cerchi una cosa ne trovi mille altre.    
Solo per maniaci?
No, per tutti!

martedì 19 marzo 2019

Non si ride e non si piange

7 SCONOSCIUTI A EL ROYALE
di Drew Goddard
(2018)


Il titolo italiano è brutto e falso, e richiama vagamente gli Hateful Eight di Tarantino. Peraltro bisogna ammettere che di punti in comune col film del buon Quentin ce ne siano parecchi: dalla struttura in capitoli agli ammazzamenti, dalla trama piacevolmente complessa al fatto che tutti i personaggi, apparentemente stereotipati, abbiano in realtà un segreto e una spiccata personalità, non importa quanto grigi e timidi sembrino, benché il risultato finale sia meno scoppiettante e meno sfumato.
Le storie (che non sono sette, ma meno) si intrecciano fra loro e presto fioccano i flash-back (anzi, si comincia con un prologo risalente a dieci anni prima), fino a creare un quadro composito, articolato, ma molto godibile, specie nella prima parte della pellicola, quando lo spettatore deve ancora imparare ad orientarsi e l'intreccio prendere forma. Da quando arriva Billy Lee, infatti, la sceneggiatura si appesantisce e si fa meno imprevedibile. Anche se imprevedibile, tutto sommato, la resta. In particolare... be', può crepare chiunque. E di solito lo fa in modo repentino, da un secondo all'altro. Senza preavviso. 
A parte ciò, abbiamo una colonna sonora favolosa, specie i gorgheggiamenti di Cynthia Erivo, un'ambientazione retrò piuttosto suggestiva (anni 60, letteralmente al confine tra la California e il Nevada), un buon cast (okay, Jeff Bridges si mangia tutti, ma Jon Hamm è interessante e persino quel simpatico bamboccino di Chris Hemsworth, per una volta, ha il suo fascino distorto), una regia attenta all'estetica e un ritmo discreto, nonostante il film sia un po' troppo lunghetto. 
Ad ogni modo, non si ride e non si piange, e la pellicola non spacca, ma si segue con immenso gusto lo svolgimento della vicenda, i personaggi restano impressi (specie Darlene, quella dotata di maggior tridimensionalità), e si rimane più che soddisfatti dalla conclusione.

lunedì 18 marzo 2019

Sono cavoli vostri

IL DIRITTO DI SPENDERE I PROPRI SOLDI COME CAVOLO PARE


Io sono per la libertà, in tutti i sensi possibile. 
E non capisco perché uno dovrebbe sentirsi in colpa a spendere i propri soldi in modo diverso da come farebbero gli altri. O anche solo a spenderli.
Chiaro, il discorso cambia se si è madri o padri di famiglia e se altri dipendono da noi. Se il denaro non è nostro o se, dopo averlo scialacquato, finiamo per averne bisogno e gravare sul nostro prossimo.
Ma quando non è così, non comprendo come ci possa arrogare di criticare le scelte altrui.
Anche a me è stato cercato di far pesare il fatto che spendo troppo in libri e fumetti, c'è chi mi ha detto che è sbagliato, che non è giusto.
Ma, al diavolo, impiccatevi. E perché, poi, non sarebbe giusto?
I soldi che spendo me li guadagno. E non li sperpero, perché, a prescindere dalle cifre, sono oculata. Lasciamo perdere la circostanza che, a parte i suddetti libri e fumetti, il mio tenore di vita sia quello di un barbone. Il punto non è questo. Il punto è che ho diritto di fare come mi pare. E non devo sentirmi in colpa. E non mi ci sento (Ah!!! Figuriamoci!). 
Eppure, ci sono persone che invece patiscono questa condizione. Che quando qualche idiota si permette di fare osservazioni sui loro “investimenti” si sentono in colpa. 
Ma perché?, dico io.
Sono cavoli vostri. E se il problema è che non vi siete spaccati la schiena, ma siete semplicemente ricchi... beh, non è un problema. È una figata. Spendete quello che vi pare come vi pare. E al diavolo i moralisti e gli invidiosi. Perché di norma questo sono quelli che si permettono di sindacare. Rispondetegli per le rime, piuttosto, e difendete il vostro diritto di essere liberi.

venerdì 15 marzo 2019

Scoprire il mondo per la prima volta

STORIA DI UNA BALENA BIANCA RACCONTATA DA LEI STESSA
 di Luis Sepùlveda


Che potremmo definire, volendo, come l'altra faccia di Moby Dick. Senza la grandiosità sublime di Melville, certo, ma ecologista, dolcissima, e tracimante di stupefazione. Quella di chi scopre il mondo per la prima volta e impara a definirlo e ad affrontarlo, scegliendo i propri valori e agendo con coerenza rispetto ad essi.
Nella fattispecie, un capodoglio bianco, dello stesso colore della luna, che si erge a protettore dei suoi simili, contro gli spietati ramponieri e i lafkenche, la Gente del Mare, contro la paura e l'ingiustizia, a scapito di se stessa.
E quindi la balena bianca non è più il simbolo del Male, ma del Bene, del coraggio contro i soprusi dei forti, contro il dolore, contro l'avidità. Contro la ferocia degli uomini, che non potrà che apparirci gratuita e immotivata (o comunque non motivata abbastanza). 
Una fiaba toccante, saggia, educativa, per sognare e per imparare, ma non solo per i bambini (ed anzi, il brano con la balena gobba e il suo cucciolo appena nato pare tratto dai passaggi più cupi dei Fratelli Grimm), suggestiva e commovente, ma anche giusta, normativa, necessaria, sia pure – per i miei gusti – con qualche leziosità di troppo, e un eccessivo indulgere in alcuni stati d'animo o descrizioni. 
Più incisivo della “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”, il racconto si legge in un attimo, ma, per chi lo vive, continua a riecheggiare con levità e candore fra le spirali delle conchiglie che si depositano sulle spiagge. 
Non solo cilene.

giovedì 14 marzo 2019

Rimorsi e dubbi

BEZIMENA. ANATOMIA DI UNO STUPRO
di Nina Bunjevac


Non proprio un fumetto, più un volume illustrato. 
In cui c'è l'anatomia promessa dal titolo, ma, per fortuna, più in senso mentale, concettuale, che fisico, sebbene non edulcorato. 
Ma, soprattutto, dove ci aspetta un totale stravolgimento di ruoli. 
Perché il punto di vista è quello della vittima, ma pure quello del carnefice. 
Però soltanto se vogliamo appiccicare a tutti i costi delle etichette. 
Altrimenti le parti si confondono, si sovrascrivono, in un ciclo onirico che riverbera profondità. Che restano. E che, dopo l'immersione, lasciano rimorsi, e dubbi, ma anche una sorta di ricchezza che ci indurrà a puntare meno velocemente il dito contro lo stupratore.
Che, tuttavia, punteremo lo stesso, perché non possiamo non farlo.
Un'opera relativizzante, empatica, sottile, edificata su assoluti che franano, e fatta di bellezza – in primis quella delle illustrazioni, potentissime quanto eleganti – di instabilità, di forze inconsce e di tensioni irrisolte, di inquietudini e disagio, filtrate attraverso la base classica che ne costituisce il punto di partenza.
La Bunjevac è la stessa di Fatherland – Educazione di un terrorista (si veda post del 14 aprile 2017), che già era un capolavoro, ma qui ha superato se stessa. Per scorrevolezza, ritmo, e per capacità narrative. 
E la trama è cruda, ma non così tanto. 
Irrinunciabile.

mercoledì 13 marzo 2019

LEI O LUI?

LIAR – L'AMORE BUGIARDO


Mini in sei puntate, in cui, invero, l'amore non c'entra pressoché nulla: la vicenda, semmai, ruota attorno ad uno stupro, solo che il dubbio è se sia vero oppure presunto. In soldoni: la dolce professoressa Laura (Joanne Froggatt) è stata davvero drogata e violentata dal fascinoso cardiochirurgo Andrew (Ioan Gruffudd), dopo una bella serata romantica? Ci viene da pensare di no... Più la conosciamo meno lei ci sembra equilibrata, più lo conosciamo e più lui ci pare innocente. Anche se, da entrambe le parti, si presentano possibilità alternative e sbavature. 
La serie è perfetta sino a metà, ma nel momento stesso in cui la verità viene a galla e non si gioca più sul filo del dubbio perde tragicamente di mordente, scivolando in un frustrante e rapsodico trascinarsi di situazioni stantie. Di cui, tutto sommato, ci importa poco, incluse le sottotrame e le vicende personali dei comprimari. Nemmeno il finale sa di riscatto, perché non aggiunge nulla alla storia, non la impreziosisce né ne altera il punto di vista, semplicemente la trama si arresta ed è come una retta che, arrivata al punto, semplicemente si ferma. Forse in modo persino brusco. Lasciando un po' così, non insofferenti, ma nemmeno soddisfatti. 
A mio avviso, se invece di sei puntate ne fossero state realizzate quattro, condensando maggiormente gli episodi dal 4 al 6, la serie sarebbe stata più icastica. 
Bravissimi e convincenti, però, gli interpreti, sulle cui capacità si regge l'intera architettura dell'intreccio, e che risultano perfetti, qualunque cosa decidano di farci credere.

P.S.
Per curiosità, segnalo che in Italia hanno trasmesso il remake nostrano (che non ho visto né ho voglia di guardare): “Non Mentire”.

martedì 12 marzo 2019

Tra torture e Nicolas Cage

MANDY
di Panos Cosmatos
(2018)


Dio Santo, che schifo. Che schifo. CHE SCHIFO.
Non so che cosa sia stato peggio, se l'atmosfera malata e disturbante, a metà tra lo stupro e lo straniamento, la noia, la morbosità, le torture (non particolarmente efferate, ma io le patisco) o... Nicolas Cage.
Ma è una domanda oziosa, perché conosco benissimo la risposta: Nicolas Cage.
Che ha un'unica espressione – come sempre – ed è oscena: lo sbalordimento idiota del senzacervello. Che qui, in più, digrigna i denti ed è coperto di sangue. Mio Dio.
In realtà, l'inizio non è proprio pessimo, benché abbia detestato la musica Metal, le tinte violente del cielo, i dialoghi spiacevoli e la lentezza insulsa in cui ogni immagine si dilata sino a sfociare nella confusione sensoriale. Sa un po' tutto di cliché, ma pare rielaborato in modo personale e straordinariamente lisergico. Ed in effetti l'impressione è quella di calarsi un bell'acido e di farsi un super trip. Un trip negativo, però, un trip che non augureresti a nessuno, nemmeno al più tossico dei tossici, che per giunta si dilunga per più di due ore e lascia una sensazione di stupido disgusto e vacuità. E che più va avanti, più lacera la mente dello spettatore, dimostrandosi deleterio. Tanto che quasi si finisce per impazzire. Per gridare: basta, basta, basta. E di invocare un black-out.
Ad attirarmi era stata la presenza di una setta satanica. Il demoniaco mi affascina, non so che farci. Il problema è che qui il demoniaco nemmeno c'è. Ci sono solo degli sbandati, squallidi e cattivi, che hanno assunto robaccia tagliata male e sono malamente impazziti. Così rapiscono una coppia che vive isolata nella foresta, la drogano (ma peggio si sente lo spettatore, coinvolto in ansiogene esperienze extracorporee e contagiato dalla paranoia), la torturano e... E poi scatta la vendetta. E di solito la vendetta mi piace, gustata fredda, ma anche di più calda. Solo che qui mi annoia pure quella. E non riesco a parteggiare per Nicolas Cage. I cattivi mi disgustano, sono ripugnanti, ma spero solo che sfigurino Cage e gli strappino quegli orridi occhi sbarrati. In più la lotta per non appisolarsi diventa sempre più dura, benché, in fondo, non si lesini sulle assurdità più tamarre (si va dall'ocarina magica allo scontro con le motoseghe), che però, ahimè, si prendono sul serio, senza l'ombra di ironia, assumendo connotati scialbi e disadorni.
Il primo piano conclusivo sul faccione di Cage conferisce la mazzata finale.
Davvero, che schifo. 
Sinceramente, avrei preferito non vederlo.  
Cage e pure il film.

lunedì 11 marzo 2019

Una metafora della vita umana

LA PICCOLA CITTA'
di Thornton Wilder


Pièce divisa in tre atti, scritta nel 1938 e ambientata quindi in tre step, dal 1901 al 1913, narra, attraverso un Direttore di Scena onnisciente, la vita di questa immaginaria cittadina americana, Grover's Corner.
E in principio non capisci che cosa possa esserci di tanto straordinario, in quanto è tutto incentrato sulla più ordinaria quotidianità. Sulla recita scolastica, sulla colazione, sul più e sul meno. Ma presto comprendi che proprio qui sta il paradigma, perché la città è la città, va bene, ma soprattutto è una metafora della vita umana.
Ed è coi balzi in avanti che cominci ad intuire, ed è con il terzo atto, in cui entrano in scena i morti, che ti folgora l'epifania. E qualcosa si apre dentro di te, e qualcos'altro si rattrappisce, e poi distende, quando ti ricordi di essere tu, e di essere qui, e di poter ancora apprezzare quello che hai, nella sua essenzialità e nella sua verità, scevro da sciocche sovrastrutture.
E soprattutto attraverso il commovente monologo di Emily, ti si chiarifica, in ultimo, quello che subito dimentichi: ossia che la felicità ti passa accanto senza che tu nemmeno te ne accorga, che vivi da cieco, senza consapevolezza, mentre ogni cosa trascorre fulgida e splendente con rapidità, mentre tu guardi da un'altra parte, distratto da mille cose di nessuna importanza, concentrato sul nulla.
Un'opera stupefacente, colma di pienezza, per la quale devo ringraziare Gian. Anche se, ancor prima che lui mi regalasse il libro, già mi aveva incuriosito per come se ne parla in altri libri/film, ad esempio in “Wonder” di R. J. Palacio (che presto recensirò).

venerdì 8 marzo 2019

Un'alienante malinconia di fondo

THE LOBSTER
di Yorgos Lanthimos


Allucinante. E di impatto.
Con qualche problemino di coerenza a livello sistemico, magari, ma trascurabile e certamente affascinante. Uno di quei film da vedere assolutamente, perfidi e geniali, che colpiscono soprattutto per la trama – spaziale – e per le sue disumane implicazioni e dinamiche atroci, che però, nonostante l'alienante malinconia di fondo, sono talmente assurde da parere divertenti. Ebbene, ecco, in due parole, il plot (di solito evito, ma qui è indispensabile): se rimani single – quale che sia la causa – vieni convocato in questo Hotel in cui hai 45 giorni per trovare un'altra anima gemella, di norma basandoti su qualche bizzarra quanto inutile affinità (zoppia, tendenza all'epistassi, miopia...). Se non sei fortunato vieni trasformato in un animale di tua scelta (da qui il titolo: l'aragosta, ossia l'animale scelto da David/Colin Farrell, il protagonista), in modo che, chissà, magari, come bestiola sarai più fortunato e troverai l'amore. Se no puoi sempre provare a fuggire nel bosco ove vivono i Solitari... Ma non credere che costoro siano meno fanatici degli altri... Oltre al fatto che, poveretti, vengono normalmente cacciati, alla stregua di bestie selvatiche, dagli ospiti dell'Hotel, che guadagnano un giorno in più per ogni preda catturata (destinata ad essere trasformata in animale).    
Lo scopo, è chiaro, è quello di ridicolizzare con lo stratagemma del futuro distopico la fissa della coppia ad ogni costo (con tutto che ci sono anche gli estremisti in senso inverso). E viene raggiunto, e si rimane a bocca aperta. In più il film incuriosisce al cubo, nonostante scorra con un ritmo assai misurato, e sconvolge non solo sul piano generale, ma anche nell'ottica dei singoli sviluppi (la faccenda della Donna Senza Cuore è sconcertante, e la fine persino di più). Anzi, più particolari si aggiungono, sul destino dei personaggi o sulla realtà sociale, più si ha voglia di immergersi in questo mondo storto. A patto, poi, di poterne uscire.
E a quel punto, single o accoppiati, ci si rende conto di che fortuna sia poter scegliere con la propria testa.
Scopo raggiunto, si diceva.

giovedì 7 marzo 2019

Una morale di cui fare tesoro

FAVOLE A COLORI 
di Jean de La Fontaine


E che colori, visto che sono quelli di Marc Chagall, il pittore russo, naturalizzato francese! Intensi, fiammeggianti, vivaci! Non sempre, magari, li avrei scelti in quella successione, ma già da soli varrebbero l'acquisto del volume, per tacere della bella veste – come sempre – propria delle edizioni Donzelli, dalla qualità della carta alla spaziatura. Favole a colori, dunque, anche perché non si tratta di una pittura ogni tanto, ma di illustrazioni puntuali – nella loro sintesi astratta e sognante – volte ad interpretare ogni singola storia.
E, com'è logico, anche la selezione delle quarantatré favole (che presentano una nuova e più moderna traduzione) non tradisce: sulle tracce di Fedro ed Esopo, La Fontaine ci regala vicende buffe o divertenti, nella loro tragica crudeltà, smorzata (o rafforzata, a seconda dalla sensibilità di ciascuno) dai toni allegri e giocosi, che però, tra una mazzata e un decesso, propongono una morale di cui fare tesoro, nonché insegnamenti preziosi e non necessariamente banali, i quali, però, alla luce della vicenda narrata, risultano abbastanza immediati. 
In più i racconti hanno il pregio – non da poco, specie dopo la mattonata di Andersen – di essere brevi e trancianti, sfrondati di inutili orpelli, e per questo ancora più incisivi, acuti e saggi. 
E' vero, queste sono favole e non fiabe (quindi il paragone con Andersen è un po' azzardato e vagamente disonesto), ma costituiscono sul serio una ventata di freschezza, adatta a tutte le età. E così ritroviamo le più popolari (Il lupo e l'agnello, la volpe e l'uva...), al fianco di altre meno note, per tornare bambini, e per rispolverare, al contempo, con allegria, i nostri studi classici.

mercoledì 6 marzo 2019

Quegli odiosi moncherini sanguinanti

VINCOLI
di Kent Haruf


Siamo ad Holt, prima dell'omonima trilogia. Che io ho acquistato, ma non ancora letto, in quanto, per ragioni squisitamente cronologiche, volevo cominciare da qui. Per me, quindi, l'unico confronto possibile è con “Le Nostre Anime di Notte”. 
Ed ecco, è buffo, perché all'inizio l'ho rimpianto parecchio. Lo stile in “Vincoli” è meno scabro, meno incisivo, meno dialogico e sferzante, e di primo acchito mi era parso dispersivo, convenzionale. Invece, con il procedere della lettura, mi sono resa conto che si tratta, semmai, degli antipodi di un percorso creativo, in cui non c'è un vincitore o un vinto, ma solo un inizio e una fine, laddove le Anime sono la fine e questo è l'inizio.
Un inizio bellissimo, in realtà, che presto avvince e conquista, senza remore. Con le sue descrizioni puntuali e i suoi protagonisti, ruvidi e magnifici (Edith in particolare), con la sua sensibilità, la sua amara desolazione, ma anche la sua forza e la sua pervicacia. Ti fa sentire il sapore della terra e le fatiche ad essa connesse, non tanto a livello fisico, quanto sul piano morale (credimi, quegli odiosi moncherini sanguinanti resteranno indelebili nella tua memoria). Ti induce a comprendere il significato della solitudine, dell'isolamento, del coraggio e del sacrificio, come della rassegnazione e dello stoicismo. E avvertirai il peso dei vincoli, appunto, e dell'abnegazione. Ma anche dell'amore, ricambiato, ma non consumabile, attraverso una storia dolorosa, ma imprevedibile, dalla quale, senza quasi accorgercene, resteremo stregati. E non per via del mistero e dell'insolita (stando alla postfazione) cornice noir. Ma per la spietata componente rurale, per la polvere, per il sangue, l'attesa e le lacrime. E per tutto quanto è stato negato e consapevolmente scelto. E... per lo stile. Oh, sì. Anche per lo stile. Che ci scrolla e ci culla, senza soluzione di continuità.

martedì 5 marzo 2019

Le tristi mentalità delle piccole città

ELEVATION
di Stephen King


Dedicato a Richard Matheson, è sostanzialmente la versione in kilogrammi di “Tre Millimetri al Giorno”: il protagonista, infatti, anziché scorciarsi in millimetri perde progressivamente peso (pur senza dimagrire e a prescindere da ciò che mangia o porta su di sé).
La trama, quindi, è tutto fuorché originale, ma il racconto – brevino, per quanto spalmanto su quasi duecento pagine – è comunque interessante. Non tanto sotto il profilo fantascientifico, quanto piuttosto, come sempre capita con il nostro Zio Stevie, per gli aspetti umani (non derivativi, ma kinghiani al 100%). Magari un po' troppo diluiti, è vero, ma capaci di stimolarci sotto la superficie. 
Tra una pesata sulla bilancia e l'altra, dunque, si parla di pregiudizi (non di tipo razziale), di integrazione, amicizia e di buon vicinato, come pure delle tristi mentalità delle piccole città stile Castle Rock (ovviamente), per vincere le quali, tuttavia (e in questo messaggio, a mio avviso, sta la vera cifra dell'opera) a volte bastano un po' di buon senso e una mano tesa. Oltre, s'intende, alla voglia di afferrarla, quella mano e all'occasione giusta in cui porgerla.
Peraltro, Runners o non Runners, anche la parte dedicata alla maratona rifulge di elegiaca bellezza, e così le descrizioni sul cibo (che voglia di assaggiare la cucina di Missy...).
Per il resto, gli ingredienti sono sempre quelli tipici del Re: una buona prosa, spruzzata di ironia, e un'ottima caratterizzazione dei personaggi. In questo caso, di Deirdre su tutti, a dispetto, o forse proprio grazie, alle sue asprezze iniziali. 
Non indimenticabile, ma certamente gradevole.

lunedì 4 marzo 2019

Nulla accade per caso

RUSSIAN DOLL


Serie Tv frizzante e veloce (solo otto puntate, tra l'altro di appena mezz'oretta circa), con spunti fantascientifici, ma splendide declinazioni umaniste. In altre parole: che succederebbe se continuassi a morire in vari modi e a risvegliarmi nel bagno della casa ove la mia migliore amica ha organizzato la festa per il mio trentaseiesimo compleanno? Forse che l'universo starebbe cercando di dirmi qualcosa? O è solo un loop temporale dovuto ad inaspettate congiunzioni astrali?
L'idea di partenza è già sfruttata, è vero, ma qui ci sono intrecci trasversali che risultano davvero stimolanti. Ma ciò si coglie solo andando avanti. All'inizio, a colpirmi era soprattutto la presenza di Natasha Lyonne, la Nicky Nichols di Orange is the New Black, nei panni di Nadia, la protagonista. Che è praticamente un clone di Nicky, solo fuori dal carcere (o, se vogliamo, in carcere di natura diversa). La cosa sul momento mi ha contrariata: possibile che non sappia interpretare un ruolo differente? Oltretutto a me non è che Nicky sia mai piaciuta molto: come Nadia – e uso le parole di Maxine, la migliore amica di quest'ultima – è uno scarafaggio. Sa solo prendere. Può essere divertente, certo, ma non mi piace. E poi parla troppo, e non è abbastanza brillante per poterselo permettere: è logorroica. Insomma che siamo andati avanti solo su insistenza di MPM. A me l'unica cosa che risollevava il morale erano le morti di Nadia, non molto creative, di per sé, ma, nonostante la reiterazione (peggio di Kenny di South Park), capitavano sempre nel momento giusto ed erano ironiche (specie le api). Poi, però, accade qualcosa... E la storia acquista spessore, e Nadia tridimensionalità. Ti accorgi che nulla accade per caso, e anche i dettagli diventano importanti, inquietanti, assurdi, sovente assumendo la veste di indizi e rivelando nuove convergenze, dal sapore mutevole. E, insomma, aveva ragione MPM: Russian Doll è una serie molto carina, divertente, cinica q.b., ma nemmeno troppo, e presto decolla, cresce e matura, come i suoi protagonisti.
Quindi non fatevela scappare. 
Curiosità: oltre a Nicky, di Orange is The New Black ritroviamo anche Dascha Polanko/Dayanara Diaz e la comprimaria Rebecca Henderson/Alice Denning.

venerdì 1 marzo 2019

Una favola nera sublime

ABBIAMO SEMPRE VISSUTO NEL CASTELLO
di Shirley Jackson


Magnifico romanzo d'atmosfera, che conquista dalla prima riga per lo stile dai rivolti classici e profondamente letterari, ma che rimane impresso per la trama. E per impresso intendo a fuoco, nell'eternità. 
Presto si rivela diverso da come appare in principio, ossia evocativo e suggestivo, ma senza molta sostanza. Perché la sostanza c'è, ed è quella crudele e spietata di cui sono fatti gli incubi, incubi di estrazioni diversa, incubi mentali, e incubi dello spirito, e incubi fisici e concreti, che ti prendono a sassate. 
Eppure il romanzo non gioca con lo spavento, con la violenza o con il clamore. Procede in modo sottile, subdolo, soffuso, rivelando quasi casualmente dei mirtilli di Constance, senza però palesarli del tutto, e lasciando più volte sospesi tra svariate possibili interpretazioni e possibilità, accogliendo, così, anche altre storie dentro di sé oltre quella che racconta, nel senso che, a tratti, risulta talmente misterioso, corrotto e stimolante che io in mezzo ho percorso almeno altre dieci narrazioni immaginarie parallele. 
Inquietante e oscuro come lo sono i fantasmi, eppure delicato, ma senza leziosità, e con accenti brutali (l'irruzione, in particolare) affiancati ad afflati poetici, a sentimenti vivi, descritti con sapienza e in modo compiuto, altalenando tra gli stati d'animo. 
E, piano piano, il climax si fa ascendente, fino a che ci porta in equilibrio sul ciglio di un burrone, da cui infine ci spinge giù.
Una favola nera sublime, attraverso la follia, la solitudine e la cattiveria umana, ma anche attraverso le fantasie di una bambina, il rimorso e la liricità di un'illusione.  
Da leggere, persino se siete noiose signorine perbene con gusti discutibili, perché questo è un classico e travalica i generi.