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mercoledì 6 marzo 2019

Quegli odiosi moncherini sanguinanti

VINCOLI
di Kent Haruf


Siamo ad Holt, prima dell'omonima trilogia. Che io ho acquistato, ma non ancora letto, in quanto, per ragioni squisitamente cronologiche, volevo cominciare da qui. Per me, quindi, l'unico confronto possibile è con “Le Nostre Anime di Notte”. 
Ed ecco, è buffo, perché all'inizio l'ho rimpianto parecchio. Lo stile in “Vincoli” è meno scabro, meno incisivo, meno dialogico e sferzante, e di primo acchito mi era parso dispersivo, convenzionale. Invece, con il procedere della lettura, mi sono resa conto che si tratta, semmai, degli antipodi di un percorso creativo, in cui non c'è un vincitore o un vinto, ma solo un inizio e una fine, laddove le Anime sono la fine e questo è l'inizio.
Un inizio bellissimo, in realtà, che presto avvince e conquista, senza remore. Con le sue descrizioni puntuali e i suoi protagonisti, ruvidi e magnifici (Edith in particolare), con la sua sensibilità, la sua amara desolazione, ma anche la sua forza e la sua pervicacia. Ti fa sentire il sapore della terra e le fatiche ad essa connesse, non tanto a livello fisico, quanto sul piano morale (credimi, quegli odiosi moncherini sanguinanti resteranno indelebili nella tua memoria). Ti induce a comprendere il significato della solitudine, dell'isolamento, del coraggio e del sacrificio, come della rassegnazione e dello stoicismo. E avvertirai il peso dei vincoli, appunto, e dell'abnegazione. Ma anche dell'amore, ricambiato, ma non consumabile, attraverso una storia dolorosa, ma imprevedibile, dalla quale, senza quasi accorgercene, resteremo stregati. E non per via del mistero e dell'insolita (stando alla postfazione) cornice noir. Ma per la spietata componente rurale, per la polvere, per il sangue, l'attesa e le lacrime. E per tutto quanto è stato negato e consapevolmente scelto. E... per lo stile. Oh, sì. Anche per lo stile. Che ci scrolla e ci culla, senza soluzione di continuità.

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