FATHERLAND – EDUCAZIONE DI UN TERRORISTA
di Nina Bunjevac
Romanzo grafico di rara intensità, per i disegni – un chiaroscuro particolareggiato e potente, a tratti ferocemente realistico, quasi il calco di una fotografia, a tratti reinterpretato in modo personale, marcato, cupo, oppressivo, ma egualmente intriso di profondità – e per i testi: coraggiosi e autobiografici, dalle svariate sfumature, capaci, attraverso un montaggio composito e lineare ad un tempo, di narrare quanto di mostrare.
Già l'argomento avvince e fa presagire il dualismo etico e affettivo dell'opera: da un lato l'autrice racconta se stessa, suo padre e la storia familiare. Dall'altro affronta il problema alla radice della sua infanzia e del suo rapporto con i genitori e delle perdite che la sua famiglia ha dovuto affrontare, legate alla circostanza che il padre, Peter, era un terrorista.
E quindi una persona cattiva per definizione.
E che pure non la è.
E invece sì, anche nel privato, e non solo in virtù delle convinzioni politiche.
E si cerca di individuarne il percorso e le ragioni, attraverso la testimonianza – filtrata mediante il ricordo – di più personaggi (la madre, la zia, il fratellino rimasto indietro...), contraddittori e sfaccettati. Si cerca di comprendere e di spiegare. Di giustificare, persino, finché si può. Il padre, ma anche la madre, che alla fine ha scelto di fuggire, pur rinunciando al figlio maschio, ancora bambino. Ma non per codardia. Per autoconservazione. Propria e delle figlie. Per determinazione e ardimento.
E si alternano presente e passato e passato remoto, ingarbugliati e connessi, tutti ancora in itinere, prima e dopo Peter, e proiettati sul domani.
La storia dolorosa della ex-Jugoslavia.
La storia dolorosa di una famiglia.
I riflessi e le cause.
I contrasti.
E si narra della paura... La paura perenne e implacabile, che costringeva la mamma, prima di andare a dormire, a spostare il mobilio contro le finestre, per evitare che fossero eventualmente rotte, sorprendendo la famiglia nel sonno, per dar fuoco alla casa...
Ma lo si fa in modo oggettivo, distaccato. Come se non ci si potesse abbandonare davvero ai sentimenti per tema di esserne sopraffatti.
Ma se ne è sopraffatti lo stesso. Oggettivamente. In quanto umani. In quanto sopravvissuti. In quanto serbi e in quanto familiari di Peter.
Superbo.
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