IL GIGANTE SEPOLTO
di Kazuo Ishiguro
Fantasy sui generis per un autore che di norma si cimenta con altro, e che tuttavia anche in questo caso dà una complessiva discreta prova di sé – per quanto io abbia di gran lunga preferito “Quel che resta del giorno” e “Non lasciarmi”.
Il problema de “Il Gigante Sepolto” è la lentezza, a tratti soporifera, a tratti dissipata da bei colpi di scena, unita alla circostanza che i personaggi, i vecchi e teneri coniugi Axl e Beatrice, come Ser Galvano, Winstan ed Ewin, pur interessanti, non suscitano autentico affetto, sebbene non possa nemmeno affermare che lascino proprio indifferenti. Diciamo che nel complesso risultano freddi, con sentimenti descritti ma non mostrati, quasi di repertorio, che impediscono immedesimazione ed empatia.
Per contro l'opera cela una morale profonda, presentata in modo evocativo e affascinante, senza retorica, inoltre è percorsa da una perenne inquietudine che va al di là degli eventi rappresentati e spesso riesce a paventare pericoli che non ci sono, non questa volta.
Stupenda, dunque, l'atmosfera, atipica la trama, splendidamente dicotomica, così come fuori dagli schemi del genere è l'impostazione di base (soltanto alla fine si capirà a che cosa allude il titolo), che mescola storicità (siamo ai tempi di sassoni e britanni), leggenda arturiana e immaginazione, però abilmente rivisitate e reinterpretate (notevole la questione della nebbia, dei suoi effetti, e soprattutto, della sua origine).
L'elemento di maggior pregio, però, è la prosa: una scrittura impegnativa e autorale, molto ricercata, dotta, insolita per il fantasy, che del resto viene trasceso grazie a riflessioni e intuizioni elevate.
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