DIMENTICA IL MIO NOME
di Zerocalcare
L'ho sempre evitato, Zerocalcare. Un po' per i disegni, troppo affollati e stilizzati, un po' per pregiudizio: mi sembrava troppo a sinistra. Di quella sinistra dogmatica, ipocrita e irritante della scuola “quel che è tuo è mio, quel che è mio è mio”, tipico della becera plebe pseudobuonista che disprezza i ricchi perché vorrebbe essere al loro posto, per comportarsi esattamente allo stesso modo, salvo far finta di no, e allora si affilia al comunismo. Bleah.
Ma...
Come si fa a criticare un volume che non si è letto? Un autore che si conosce solo per sentito dire? Anche questo è male. Malissimo. E così ho dovuto provare.
E ora mi tocca ravvedermi e recuperare tutta la bibliografia di sto Zerocalcare perchè, dannazione, il ragazzo mi piace. Mi piace un casino.
Intanto perché è nerd, perdutamente. Di più: riesce al filtrare qualunque cosa attraverso la nerditudine e la percezione infantile, a partire dalla sua esperienza di vita (la mamma diventa Lady Cocca di Robin Hood, il padre pare quello di Kung Fu Panda...), comunicando messaggi profondi, ma in modo divertente, arguto, che a tratti emoziona, a tratti fa sbellicare.
Sì, patisco il romanaccio. Lo associo alla volgarità e ai film dei Vanzina. Ma qui fa in fretta ad ammantarsi di spessore e di tenerezza e, misericordia, alla fine mi è venuta una voglia matta di andare ad esplorare il quartiere di Rebibbia.
L'opera, poi, un po' romanzo di formazione, un po' paura e delirio a Roma, è lirica, spontanea e incisiva: ha il gusto della crescita e della scoperta, ma sa cogliere ancora la logica inappuntabile dei bambini, con i suoi traumi e regole sociali peculiari. Le stesse che da piccolo hanno imposto a Calcare di mentire circa il nome della nonna – Huguette, Ughetta – sicura garanzia di presa in giro (ma non è il suo, il nome da dimenticare: la vicenda è assai più intricata e condita con elementi avventurosi, rocamboleschi e originali).
E c'è questa vena dissacrante (la nonna è morta, Calcare, nipote afflitto, deve trovare il suo anello. E' un momento triste, eppure i riferimenti a Gollum si sprecano...) ma ben ponderata, nel senso che evita di cadere nel grottesco, cosa che, dato il contesto, non sarebbe stata apprezzabile. Piuttosto la vena dissacrante sembra la conseguenza naturale di aver scelto questo tipo di linguaggio narrativo, che, nonostante la trama sia di per sé notevole, costituisce la vera forza dell'opera.
Quindi, in totale, chissenecale delle contaminazioni eccessivamente sinistrorse... Si possono ignorare. Escludere. E vale la pena farlo. In quanto ai disegni, invece, ho finito per amare anche quelli: stilizzati, ma vivaci, simpatici e comunicativi. E perfettamente intonati al racconto.
Love, love, love.
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