IL
MIGLIO VERDE
di Stephen King
A
King piace sperimentare, in molti sensi, ma io a volte certe prove
(che mi sanno, attenendomi alla più generosa delle definizioni, di
squallide operazioni commerciali) le patisco... Nella fattispecie,
nel 1996, l'opera, adesso – grazie a Dio – disponibile in un
unico volume, era stata pubblicata in sei parti, con la formula del
romanzo a puntate alla Dickens, che, ahimè, tra riassunti e
intervalli, mi aveva precluso l'immedesimazione e frenato il
godimento.
Peccato,
perché ritengo che la trama, di ambiente carcerario, ma frammista a
suggestioni soprannaturali, fosse valida e ben approfondita, non solo
ben scritta e ben raccontata (a distanza di oltre cinquant'anni, dal
capo delle guardie penitenziarie, Paul Edgecombe – la storia è
ambientata nel 1932). Tipica del Maestro, sotto molti profili, ma
anche più incisiva del solito sotto altri.
Il
miglio verde del titolo, infatti, allude all'ultimo tratto di
corridoio che conduce alla sedia elettrica... Non di semplici
detenuti, si parla, quindi, ma di condannati a morte. Almeno uno dei
quali, com'è ovvio fin dall'inizio, grazie alla precisa
caratterizzazione del personaggio, innocente, a dispetto dell'odiosa
imputazione (lo strupro e l'uccisione di due bambine) e del suo
imponente aspetto fisico.
Per
il resto non ci facciamo mancare nulla: dalla cattiveria gratuita di
un secondino verso i ristretti – il vero cattivo – a diverse
tematiche sociali, più o meno accennate, a questioni di imperativo
categorico e di ineluttabilità del sistema. In più, il romanzo è
percorso da una commovente umanità, esasperata ad hoc dal contesto,
ricco di momenti salienti e di lirismo, dotato di armonia e
costellato di afflati intensi.
Eppure,
se ci ripenso, a me sovviene soprattutto l'irritazione per queste
attese coattive e sleali, che più volte mi avevano fatto perdere il
ritmo e il piacere della lettura, impedendomi un vero coinvolgimento.
Rileggerlo
oggi, a distanza di oltre 20 anni, e rimediare?
Potrei.
Ma
non lo farò.
Non
adesso.
Non
sono ancora pronta.
Ma
invidio le menti “vergini”, che possono accostarvisi ora, per la
prima volta, senza sottostare a inutili spezzettamenti.
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