TRAUMI
INFANTILI
Quando
ero piccula piccula, sui quattro-cinque anni, avevo un animo
romantico: per salutare dicevo “Addio, mondo crudele!”, il mio
colore preferito era il rosa (ora non so come sia possibile: giallo
forever!), e passavo un mucchio di tempo davanti allo specchio ad
inventare/interpretare tragiche storie di principesse.
Solo
che senza capelli non venivano benissimo.
Eh,
sì: quando ero piccula ero pelata (Pelata, misericordia!).
Non
che avessi qualche terribile malattia... No, è che mia madre
riteneva che un taglio minimale all'asilo mi avrebbe garantito una
chioma fluente da adulta, “quando dei capelli ti importerà davvero
qualcosa”.
Peccato
che ora la faccenda mi sia indifferente – opto per il lungo solo in
quanto richiede meno cure –, mentre da infanticella costituiva una
questione vitale.
Infanzia
rovinata, sigh!
Ad
ogni modo, per sopperire all'infame carenza di peli in testa, avevo
delle chiome finte: una tovaglietta bianca con un cuore rosso per
simulare una capigliatura libera e selvaggia (per i momenti
drammatici e i finaloni ad effetto) ed un foulard nero e arancione
per le trecce.
Ogni
tanto tra me e Mater si svolgevano dialoghi inquietanti, del tipo:
“Otta, ho trovato i tuoi capelli sciolti sulla spalliera del
divano!”, oppure: “Otta, metti le trecce in lavatrice!”.
All'inizio
delle Elementari ho avuto il permesso di far crescere i capelli sino
alle orecchie – Alleluja! –, e, nonostante mia madre mi
affliggesse con pettinature ridicole (fontanelle che spuntavano in
mezzo al cranio come piccoli ananas), io ero davvero contenta!!!
Poi,
all'incirca a metà anno scolastico (credo), i miei sono partiti per
una vacanza a Cuba e io sono stata lasciata in custodia alla nonna O
(Chicca e Androide erano stati assegnati a nonna Nuccia, quindi io
ero non solo temporaneamente orfana, ma pure senza fratellini).
Il
primo giorno la nonna per consolarmi della solitudine che mi
attanagliava, armata delle migliori intenzioni, mi ha data in pasto
al barbiere (Barbiere!!! Per uomo! Non alla Parrucchiera!!!) che ha
azzerato il mio accenno di chioma con un osceno taglio alla Bart
Simpson!
Smacco,
dolore, scandalo!
L'indomani
a scuola ancora piangevo... (Ricordo la stupida madre – con i
capelli che arrivavano fino alle spalle – di una mia stupida
compagna di classe – con i capelli sino a metà schiena – che mi
prendevano in giro perché era “assurdo frignare per una cosa così
futile”. Maledette! Spero vi abbiano mangiate le cavallette! Spero
che siate calve e brufolose! Che vi violentino i babbuini! E che vi
venga un'infezione alla... Ehm... Dicevo...) …e per anni, ogni
volta che lo incrociavo in Pietra, mi sono premurata di insultare il
barbiere con la ferocia che imponevano le circostanze (l'idea di
prendermela con mia nonna non mi era neanche venuta), con odio e
livore totale.
Poveraccio.
Una
volta Mater mi ha sorpreso a gridargli qualche truce augurio di morte
e mi ha messo in punizione.
Com'è
ovvio, nemmeno le punizioni erano normali in casa mia, e mi era
negata una sana dose di ceffoni come agli altri bambini (che io
invidiavo con tutto il cuore). No, i miei genitori erano più infidi
e subdoli: niente TV per un mese! Oh my God!
Niente
Cartoni Animati! Niente film! Neppure le ricette di Wilma De Angelis
(non so per che, ma da piccula ne andavo matta)!
Che
infanzia traumatizzante, ho avuto... Specie se si considera che ho
potuto accedere alla biblioteca scolastica solo dalla III°
Elementare!
Del
resto, gli epiteti ingiuriosi che mi rivolgeva mia madre –
piuttosto creativa in questo – riuscivano ad essere persino più
umilianti: non gustose parole marroni, giammai! Mater prediligeva
espressioni di sadismo mentale, quali: “Birbona!”, “Asinella!”,
o – il peggio del peggio – “Viperetta rosa!”.
Alle
Elementari passi, alle Medie ci ridevo sopra, ma al Liceo... Non so
come ho fatto a non guadagnarmi una smutandata!
Gian
me lo rinfaccia tutt'ora.
D'altro
canto, ahimè, medio tempore lo stile di mia madre non è mica
cambiato e tutt'ora, quando ne ha l'occasione, è fantastica nel
creare situazioni imbarazzanti, magari deliziando un eventuale
pubblico improvvisato, se possibile composto da sconosciuti, con
pruriginosi aneddoti relativi alla mia gioventù.
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