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lunedì 6 maggio 2013

Che infanzia traumatizzante, ho avuto...


TRAUMI INFANTILI



Quando ero piccula piccula, sui quattro-cinque anni, avevo un animo romantico: per salutare dicevo “Addio, mondo crudele!”, il mio colore preferito era il rosa (ora non so come sia possibile: giallo forever!), e passavo un mucchio di tempo davanti allo specchio ad inventare/interpretare tragiche storie di principesse.

Solo che senza capelli non venivano benissimo.

Eh, sì: quando ero piccula ero pelata (Pelata, misericordia!).

Non che avessi qualche terribile malattia... No, è che mia madre riteneva che un taglio minimale all'asilo mi avrebbe garantito una chioma fluente da adulta, “quando dei capelli ti importerà davvero qualcosa”.

Peccato che ora la faccenda mi sia indifferente – opto per il lungo solo in quanto richiede meno cure –, mentre da infanticella costituiva una questione vitale.

Infanzia rovinata, sigh!

Ad ogni modo, per sopperire all'infame carenza di peli in testa, avevo delle chiome finte: una tovaglietta bianca con un cuore rosso per simulare una capigliatura libera e selvaggia (per i momenti drammatici e i finaloni ad effetto) ed un foulard nero e arancione per le trecce.

Ogni tanto tra me e Mater si svolgevano dialoghi inquietanti, del tipo: “Otta, ho trovato i tuoi capelli sciolti sulla spalliera del divano!”, oppure: “Otta, metti le trecce in lavatrice!”.

All'inizio delle Elementari ho avuto il permesso di far crescere i capelli sino alle orecchie – Alleluja! –, e, nonostante mia madre mi affliggesse con pettinature ridicole (fontanelle che spuntavano in mezzo al cranio come piccoli ananas), io ero davvero contenta!!!

Poi, all'incirca a metà anno scolastico (credo), i miei sono partiti per una vacanza a Cuba e io sono stata lasciata in custodia alla nonna O (Chicca e Androide erano stati assegnati a nonna Nuccia, quindi io ero non solo temporaneamente orfana, ma pure senza fratellini).

Il primo giorno la nonna per consolarmi della solitudine che mi attanagliava, armata delle migliori intenzioni, mi ha data in pasto al barbiere (Barbiere!!! Per uomo! Non alla Parrucchiera!!!) che ha azzerato il mio accenno di chioma con un osceno taglio alla Bart Simpson!
 
Smacco, dolore, scandalo!

L'indomani a scuola ancora piangevo... (Ricordo la stupida madre – con i capelli che arrivavano fino alle spalle – di una mia stupida compagna di classe – con i capelli sino a metà schiena – che mi prendevano in giro perché era “assurdo frignare per una cosa così futile”. Maledette! Spero vi abbiano mangiate le cavallette! Spero che siate calve e brufolose! Che vi violentino i babbuini! E che vi venga un'infezione alla... Ehm... Dicevo...) …e per anni, ogni volta che lo incrociavo in Pietra, mi sono premurata di insultare il barbiere con la ferocia che imponevano le circostanze (l'idea di prendermela con mia nonna non mi era neanche venuta), con odio e livore totale.

Poveraccio.

Una volta Mater mi ha sorpreso a gridargli qualche truce augurio di morte e mi ha messo in punizione.

Com'è ovvio, nemmeno le punizioni erano normali in casa mia, e mi era negata una sana dose di ceffoni come agli altri bambini (che io invidiavo con tutto il cuore). No, i miei genitori erano più infidi e subdoli: niente TV per un mese! Oh my God!

Niente Cartoni Animati! Niente film! Neppure le ricette di Wilma De Angelis (non so per che, ma da piccula ne andavo matta)!

Che infanzia traumatizzante, ho avuto... Specie se si considera che ho potuto accedere alla biblioteca scolastica solo dalla III° Elementare!

Del resto, gli epiteti ingiuriosi che mi rivolgeva mia madre – piuttosto creativa in questo – riuscivano ad essere persino più umilianti: non gustose parole marroni, giammai! Mater prediligeva espressioni di sadismo mentale, quali: “Birbona!”, “Asinella!”, o – il peggio del peggio – “Viperetta rosa!”.

Alle Elementari passi, alle Medie ci ridevo sopra, ma al Liceo... Non so come ho fatto a non guadagnarmi una smutandata!

Gian me lo rinfaccia tutt'ora.

D'altro canto, ahimè, medio tempore lo stile di mia madre non è mica cambiato e tutt'ora, quando ne ha l'occasione, è fantastica nel creare situazioni imbarazzanti, magari deliziando un eventuale pubblico improvvisato, se possibile composto da sconosciuti, con pruriginosi aneddoti relativi alla mia gioventù.

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