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domenica 11 agosto 2013

Non si può rallentare...


LA LUNGA MARCIA
di Stephen King
(Richard Bachman)

 
Scritto nel 1979, ma di un'attualità spaventosa (anticipatrice del desolante fenomeno dei reality show), è ambientato in una versione alternativa e tirannica degli Usa.

Narra di cento ragazzi che partecipano ad una competizione annuale, la lunga marcia, in cui potrà esserci un solo vincitore.

Gli altri dovranno morire.

Eliminati, abbattuti, uccisi.

Durante la marcia, infatti, non ci si può fermare, non si può rallentare, non si ha diritto a pause... Nemmeno per mangiare o dormire.

Una marcia sporca di sangue, quindi, di lacrime, di dolore. Ma anche di sogni, di desideri, di ambizioni. Perché chi vince riceverà il Premio e potrà realizzare qualunque cosa, anche se, alla fin fine, mentre sei lì, mentre cammini e le suole ti si sono consumate, e hai la pelle abrasa, i muscoli a pezzi e male ovunque... Alla fin fine, davvero è importante il Premio?

La trama è bella, travolgente, sorretta da uno stile rapido e incalzante, ma ancora più belli sono i personaggi, magistralmente analizzati a livello psicologico, che, letteralmente, ti prendono l'anima (Ray Garraty, il protagonista, Stebbins, ma soprattutto Peter McVries, il mio preferito, ma anche tutti gli altri) e i bellissimi legami che, pur nell'arco di poco tempo, si creano fra loro e che ci lacerano per la consapevolezza che quasi tutti – così splendidi, così vivi – a breve dovranno crepare.

In modo crudo, disumano, per la gioia famelica del pubblico.

Il gusto di mettersi alla prova oltre ogni limite, semplice parabola della sopravvivenza, o metafora della vita?

Tutto questo.

Ogni concorrente ha i suoi motivi, i suoi scopi per essere qui. Perché i partecipanti non vengono obbligati.

Sono volontari.

E se si stanno sfidando in questa gara assurda, corteggiando la morte, è perché lo hanno scelto.

Finale soggetto a più interpretazioni.

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