CACCIATORE
DI ANDROIDI
di
Philip Dick
Non
leggete il romanzo perché conoscete “Blade Runner” a memoria?
La
verità è che non sapete niente... Non sapete neanche se gli
androidi sognano pecore elettriche... Non sapete nemmeno che cosa
sono le pecore elettriche, e quale disperata importanza rivestano,
perché nel film non ci sono, così come manca un altro milione di
cose, soprattutto a livello di atmosfera, di suggestione, di
concetti, di significato e di implicazioni.
Che
diamine, nella pellicola cinematografica il protagonista, Deckard,
non
è neppure sposato, ed anzi è solo un mediocre uomo medio, altro che
Harrison Ford! E Nulla conoscete del culto di Mercer
o di Buster Friendly, e nemmeno del regolatore di umore o della
scatola empatica...
Quello
che avete avuto con Blade Runner, insomma, è solo un antipastino.
Buonissimo,
certo, sfizioso, ma incapace di saziare.
E'
pur vero che rispetto al romanzo, anche nel film c'è qualcosa in
più: Harrison Ford, appunto, l'uomo più figo dell'universo, la
colonna sonora di Vangelis, e la bellissima frase che pronuncia
Roy Batty prima di morire.
Il
libro però, come quasi tutti i capolavori di Dick, è di una
complessità e di una ricchezza inarrivabili, permeato da una
profonda solitudine interiore, da una cupezza senza scampo, e da una
capacità inventiva fuori dal comune, che avvincono il lettore
creando per lui realtà nuove, stratificate e multiformi, dagli
infiniti colpi di scena e su cui il dubbio nel dubbio del dubbio si
affaccia sempre, pronto ad alterare e distorcere il nostro punto di
vista, a metterlo in discussione.
E
a indurci a ricrederci, ogni volta, privati di qualunque certezza o
convinzione, senza neanche la sicurezza di essere noi stessi.
In
che cosa si differenziano davvero umani e androidi?
E
la differenza è davvero significativa?
Un
romanzo di fantascienza ai massimi livelli, che è anche una
riflessione filosofica sulla natura dell'uomo.
Che
non è solo fantascienza, ma anche, semplicemente, letteratura.
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