A
SUD DEL CONFINE, A OVEST DEL SOLE
di Haruki Murakami
Non
Murakami Haruki.
Chi
se ne cale se in Giappone prima si mette il cognome e poi il nome:
qui siamo in Italia, invertire le parole crea solo confusione. E
francamente mi sembra che tradisca lo spirito di una traduzione,
avendo il solo effetto di decontestualizzare un dettaglio, e finendo
per assomigliare più ad una pedante (e sterile) velleità esotica
che a qualsiasi cosa voglia essere.
Per
il resto, questo è il primo romanzo che leggo di questo autore, e
devo ammettere che mi è piaciuto.
Per
certi versi mi ha ricordato un po' Banana Yoshimoto: non tanto per la
nazionalità comune, quanto per la levità e leggerezza di entrambi,
per la ricerca del dettaglio, per l'introspezione, l'intimismo, per
l'armoniosa costruzione del testo. Murakami, però, è un uomo, e si
sente. Inoltre è più analitico, e ha una vena più drammatica. Non
che tratti argomenti più forti della Yoshimoto, ma lo fa con una
delicatezza diversa, meno fresca, ugualmente lieve, ma gravata da
un'ombra dai contorni indefiniti che incombe dolente, benché non
emergano particolari macabri inaspettati, o di stampo fantastico,
come con la B.Y. E nel complesso, anzi, risulti meno tragico.
La
storia di per sé non è nulla di straordinario, ma lo è il modo con
cui ci viene narrata. Parla della vita di questo ragazzo giapponese,
Hajime, che vediamo crescere ed affrontare le tappe della vita,
perseguendo obiettivi diversi, sempre con un certo egoismo. Ci
soffermiamo sui suoi legami affettivi, su Izumi, la sua prima
ragazza, su sua moglie Yukiko, ma soprattutto sul rapporto con
Shimamoto, sua amica di infanzia. Ora che la ritroviamo da adulta, a
distanza di venticinque anni, una donna circondata dal mistero, che
non vuole rivelare nulla di sé e che sconvolgerà la sua vita. Sì,
perché ormai Hajime ha trentasette anni ed è soprattutto a questo
presente che ci dedichiamo.
Hajime
parla di sé in prima persona, e l'impressione che si ha è che sia
estremamente sincero, spontaneo, in un modo assoluto, che è
difficile persino trovare in un dialogo con se stessi. E' un tipo
riflessivo ed ha la capacità di illustrarci compiutamente ogni suo
moto dell'animo, ogni decisione sbagliata, ogni sentimento. Il
romanzo procede con una certa tranquillità, intima e rilassante, che
non è lentezza e che anzi è coinvolgente ed appassionante e riluce
di luminosa bellezza. Hajime ci piace, pur non colpendoci
particolarmente, pur essendo noncurante verso il prossimo e sovente
scorretto, perché ha qualcosa di autentico, di libero e di
tremendamente profondo.
Ed
è proprio questo il punto principale: dietro a tutta questa calma,
questa levità, si nascondono tumulti e verità esistenziali. Non
hanno alcun sapore filosofico, sono più il flusso di coscienza di
una persona che riesce a guardare nella parte più riposta di sé e
condividere questa esperienza con noi.
Elemento
non da poco, questo.
Ma
dando un'occhiata ai titoli dei romanzi pubblicati di Murakami, c'è
n'è uno che mi attrae assai di più, e che mi sembra di genere
completamente diverso: “La fine del mondo e nel Paese delle
Meraviglie”, che senz'altro leggerò al più presto.
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