L'INVASIONE
DEGLI ULTRACORPI
di Jack Finney
Noto
anche con il titolo “Gli invasati”, è uno di quei romanzi
fondamentali che non possono mancare nella biblioteca di un
appassionato di fantascienza (ma qualcuno potrebbe storcere il
nasettino snob), ma che dovrebbero trovare orgogliosamente posto
anche in quella di ogni buon lettore.
E'
brevissimo quanto sferzante ed efficace, capace di agghiacciarti e di
far riflettere, andando a mettere il ditino in una di quelle paure
ataviche che potenzialmente possono interessare tutti, del tipo: ma
il Mio Perfido Marito è veramente lui? No, perché ultimamente si
comporta in modo strano: è freddo, non ride, non scherza, pare non
avere sentimenti... Di norma la risposta è: ma certo che lui!,
ovviamente, ma qui no. Qui la spiegazione è diversa e bella
strisciante. Perché il Tuo Perfido Marito è stato davvero
sostituito.
Da
una forma aliena che sta cercando di invadere la Terra intera.
Per
ora con successo.
E
vuole sostituire anche te...
Appena
ti addormenti...
Ma
non agitatevi troppo: per una volta il finale è ottimistico e non
solo non si sofferma sulla malvagità e le storture del genere umano,
ma addirittura finisce per evidenziarne i lati positivi.
Il
romanzo, che in sostanza è un'esaltazione (condivisa)
dell'individualismo, ma che racchiude anche tematiche diverse, quali,
ad esempio, la xenofobia e la paranoia, ha uno stile pulito ed
essenziale e ci regala tensione e ansia (specie nella prima parte,
quando si colgono le stonature ma non si riesce a dar loro un nome e
si teme possa davvero trattarsi solo di isteria collettiva) e gli
extraterrestri più subdoli e silenziosi mai visti.
Scritto
negli anni '50 e figlio della sua epoca (ad esempio, ci sono echi
anticomunisti – o contro il maccartismo, secondo alcuni interpreti
–), questo romanzo resta comunque attuale e senza età, tra
sfumature horror, rosa e gialle e la realtà della piccola provincia.
Piacevole
da leggere, stimolante come oggetto di discussione.
P.S.
Le
trasposizioni cinematografiche si sprecano, e spesso ricamano di
brutto sul soggetto originale: fra tutte, però, la migliore e la più
suggestiva è la prima, in bianco e nero, di Don Siegel, 1956.
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