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lunedì 7 luglio 2014

La realtà della piccola provincia


L'INVASIONE DEGLI ULTRACORPI
di Jack Finney
 
 
Noto anche con il titolo “Gli invasati”, è uno di quei romanzi fondamentali che non possono mancare nella biblioteca di un appassionato di fantascienza (ma qualcuno potrebbe storcere il nasettino snob), ma che dovrebbero trovare orgogliosamente posto anche in quella di ogni buon lettore.

E' brevissimo quanto sferzante ed efficace, capace di agghiacciarti e di far riflettere, andando a mettere il ditino in una di quelle paure ataviche che potenzialmente possono interessare tutti, del tipo: ma il Mio Perfido Marito è veramente lui? No, perché ultimamente si comporta in modo strano: è freddo, non ride, non scherza, pare non avere sentimenti... Di norma la risposta è: ma certo che lui!, ovviamente, ma qui no. Qui la spiegazione è diversa e bella strisciante. Perché il Tuo Perfido Marito è stato davvero sostituito.

Da una forma aliena che sta cercando di invadere la Terra intera.

Per ora con successo.

E vuole sostituire anche te...

Appena ti addormenti...

Ma non agitatevi troppo: per una volta il finale è ottimistico e non solo non si sofferma sulla malvagità e le storture del genere umano, ma addirittura finisce per evidenziarne i lati positivi.

Il romanzo, che in sostanza è un'esaltazione (condivisa) dell'individualismo, ma che racchiude anche tematiche diverse, quali, ad esempio, la xenofobia e la paranoia, ha uno stile pulito ed essenziale e ci regala tensione e ansia (specie nella prima parte, quando si colgono le stonature ma non si riesce a dar loro un nome e si teme possa davvero trattarsi solo di isteria collettiva) e gli extraterrestri più subdoli e silenziosi mai visti.

Scritto negli anni '50 e figlio della sua epoca (ad esempio, ci sono echi anticomunisti – o contro il maccartismo, secondo alcuni interpreti –), questo romanzo resta comunque attuale e senza età, tra sfumature horror, rosa e gialle e la realtà della piccola provincia.

Piacevole da leggere, stimolante come oggetto di discussione.

P.S.

Le trasposizioni cinematografiche si sprecano, e spesso ricamano di brutto sul soggetto originale: fra tutte, però, la migliore e la più suggestiva è la prima, in bianco e nero, di Don Siegel, 1956.

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