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martedì 6 febbraio 2018

Una tensione drammatica devastante

SOPRAVVISSUTI
di Craig Zobel
(2015)


Titolo quasi anonimo, che non rende giustizia all'originale e suggestivo “Z for Zacharian”, il cui significato, peraltro, sarà a mala pena suggerito in una delle immagini del film (a cui ho fatto caso giusto perché coinvolge una piccola biblioteca domestica). In una scena, infatti, si inquadra uno dei tomi della bibliotecuccia citata, un volumetto per bambini, tipo abbecedario, in cui, per intendersi, vengono abbinate le lettere dell'alfabeto a delle immagini... Qui a dei nomi maschili. A per Abraham... Z per Zacharian... Che quindi è l'ultimo del volume. L'ultimo uomo. Per estensione, l'ultimo uomo sulla Terra. In questo caso scampato ad un terribile disastro radioattivo.
In realtà, però, la pellicola comincia con l'ultima donna, una giovane contadina, Ann (Margo Robbie), graziosa e autosufficiente, per giunta fattoria-dotata, di buon cuore e buoni principi, che soffre comprensibilmente la solitudine. Ma che presto incontra quello che potrebbe essere l'ultimo uomo, Loomis, che, guarda caso, è pure belloccio e colto (Chiwetel Ejiofor), seppur non troppo disposto a rallegrarla fisicamente. Solo che non è l'ultimo. E presto ne salterà fuori un altro, Caleb (Chris Pine), più giovane, più belloccio (in teoria) e più incline ai rallegramenti.
Due uomini, dunque, e una donna. 
E quindi, come si suol dire, un uomo di troppo. 
Fantascienza Post Apocalittica? Thriller psicologico?  
Un po' entrambi, senza grandi effettoni, senza molta azione, ma con una tensione drammatica totale e devastante, sempre sul filo del rasoio, che ti assorbe e incuriosisce, sia quando prevale il lirismo spirituale e riflessivo, che, nonostante il contesto drammatico, ci fa pensare ad una fiaba dai connotati vagamente filosofici, sia quando la direzione che assumerà il film diviene evidente, nonostante, in principio, ci si possa quasi illudere che magari non sarà proprio così.
E poi la fine...
Che è strepitosa, così meravigliosamente sospesa, ma irrimediabilmente univoca, alla luce del titolo originale. Che di primo acchito concede il beneficio del dubbio, ma che in realtà è chiara e lapalissiana. 
Un film costruito su un'idea esile, derivativa, ma superbamente ramificata e sviluppata, grazie anche alla sensibilità degli interpreti (sì, persino Chris Pine), ai dialoghi, all'atmosfera e alla mano sapiente del regista, dalla sottile e non eccessiva propensione alla metafora e al “non detto, se non è indispensabile”. 
E non importa se i luoghi sono sempre quelli e i personaggi si riducono a tre più il cane (che ad un certo punto, non si sa perchè, sparisce pure). Bastano poche parole, o addirittura gli sguardi, ad evocare il dolore, il conflitto o la solitudine, in equilibrio perfetto tra l'orrore e la desolazione dell'anima, tra la comprensione e il desiderio di condanna (la storia del fratellino, ad esempio, con ciò che implica sui vari piani psicologici, è squassante).
Un film intenso, di cui vorrei tanto leggere il romanzo, di Robert C. O'Brien. 
E così l'ho cercato online, scoprendo che in italiano non è disponibile, magari non lo è mai stato, e forse è addirittura  per bambini.  E che l'autore è lo stesso da cui è stato tratto “Brisby e il Segreto di Nimh”, il cartone animato (solo che in realtà è “Mrs. Frisby e il segreto di Nimh”).
Tu pensa!

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