STONER
di John Williams
Stoner,
americano di origini contadine, di cui percorriamo la vita attraverso
i suoi studi, le due guerre mondiali, il matrimonio e il suo lavoro
all'Università, sino alla morte, è senza dubbio un uomo per bene.
Retto,
educato, premuroso; pervaso, tuttavia, da una sorta di torpore
dell'anima che a volte può scambiarsi per indifferenza, che sovente
è passività. Uno che fa la cosa giusta solo perché così gli è
stato insegnato o che addirittura accetta di subire. Le cose attorno
a lui accadono e, anche quando lui ne è il motore, appare quasi
inconsapevole. E' irritante, Stoner, a volte. Fa venire voglia di
strozzarlo, in particolare riguardo alle sue dinamiche familiari, sia
nel rapporto con l'orribile moglie arpia, vuota e convenzionale, sia
nei confronti della povera figlia, che ne resta vittima.
Questo
pensavo all'inizio. E disprezzavo Stoner.
Mi
dicevo che la bellezza del romanzo (che comunque mi ha incantata sin
dalle prime righe) stava tutta nel modo in cui è stato scritto, che
sotto certi aspetti fa pensare ad una fiaba. Non nel senso che si
ricorre al “c'era una volta”, ma in riferimento a certi
particolari che vengono forniti (il colore delle orecchie...), alle
sensazioni posate che suscita la lettura, col suo tono carezzevole e
dolce, che pare cullarti, estremamente lirico, ma a tratti meticolosa
e oggettiva, capace di cogliere con contezza le sfumature più
profonde dell'animo umano e del suo percorso di crescita e acquisita
consapevolezza...
Pensavo
che Stoner fosse un debole, ma a poco a poco ho realizzato che
sbagliavo: è solo che ha un carattere fuori dagli schemi, con una
moralità che gli impone decisioni diverse da quelle che sarebbero
state le mie. Possiede una moralità che talvolta, suo malgrado, gli
impone il silenzio o la rassegnazione, ma che in altre occasioni non
gli consente compromessi, nemmeno quando sarebbero la scelta più
logica e necessaria.
Se
non erro, all'inizio de “La Signora Dalloway”, Virginia Woolf
illustra quanto sia importante avere un nemico per dare mordente alla
vita di una persona. Stoner ne ha due, di nemici: sua moglie e un suo
collega dell'Università in cui insegna. Ma di per sé non sono
sufficienti a conferire spessore alla sua vicenda, sono entrambi
troppo meschini. No, ciò che lo salva (e lo condanna) è proprio il
suo modo di essere. Un modo non facile di essere.
E
sovente un dolore sottile trapela dalle pagine e si fa così
soffocante da implicare l'interruzione della lettura, per evitare di
sentirsi sopraffare.
C'è
chi sostiene che la sua sia una storia banale scritta in modo
straordinario.
In
parte è vero, nel senso che Stoner vive, studia, lavora, si sposa,
tradisce, e muore, proprio come chiunque altro. Però, non sono
completamente convinta di questa verità: come fa una storia ad
essere banale se il suo protagonista non lo è? E Stoner non lo è.
Ha un'anima poetica e tragica insieme, con la tempra di un eroe
intellettualmente onesto e sempre pronto ad affrontare onorevolmente
il suo fato, quale esso sia, secondo la sua logica ferrea e
peculiare. Certo, ci sono cose che non possiamo perdonargli (la
questione della figlia), ma altre (l'epilogo della sua storia
d'amore) che siamo costretti ad approvare, per quanto non ci vadano
giù... Perché capiamo e ammiriamo la sua decisione. A suo modo
Stoner è sempre fedele a se stesso e alla sua dignità di uomo.
Questo
non possono sostenerlo in tanti, e ha una dimensione quasi titanica.
Però, è vero, la sua vita è stata descritta in modo straordinario,
o noi non ce ne saremmo potuti accorgere.
Anche
se, terminato il romanzo, c'è una domanda che si insinua spontanea:
che cosa resta, alla fin fine, della vita di ognuno se non si ha un
biografo come Williams?
Nei
miei momenti di pessimismo, temo che la risposta possa essere
polvere.
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