CUJO
di Stephen King
Grande
classico dell'orrore, claustrofobico e angosciante, con un cagnaccio
grosso e cattivo – ma non è colpa sua, bensì di un pipistrello
con la rabbia – che tormenta madre e figlio piccolo, bloccati in
auto, e che si fonda, più che sui fatti – i quali tuttavia non
mancano e, anzi, sono belli densi e concreti – sul complesso,
perfetto e multiforme impianto psicologico che costruisce il Re in
ordine a ciascuno dei protagonisti (cane compreso).
Se
devo dirla tutta, “Cujo” non rientra comunque fra i miei romanzi
prediletti (due i motivi di base: nessun elemento di matrice
fantastica e nessuna particolare simpatia nei confronti dei suoi
personaggi, salvo l'ovvia solidarietà umana), ma è ugualmente da
leggere solo per le volte in cui il tremendo sanbernardo viene poi
ricordato nelle successive opere del Re (ad esempio “Il corpo”),
in quanto ambientato nell'immaginaria cittadina di Castle Rock, e per
via delle commistioni con un altro romanzo di King, “La zona
morta”.
O,
per i non fan, per la validissima prosa, per lo spaccato di
provincia, per la rappresentazione dei paesani e della loro
quotidianità e per il modo in cui questa viene spezzata, oltre che
per la suspense.
Peraltro,
trattasi di un buon libro, godibile, avvincente, e che per giunta ci
spiazza totalmente nel finale... Ci spiazza, di brutto, in effetti,
rovesciando le nostre certezze con una violenta iniezione di realtà,
tanto che nel film (che non ho visto, ma in merito al quale avevo
letto una dettagliata intervista mille anni fa) il regista si è
sentito in dovere di cambiarlo.
A
voler essere pedanti si può opinare che il romanzo andrebbe un po'
sfrondato. Non per il numero di pagine in sé, che pure ammontano a
circa quattrocento (mi pare, ma si consideri che l'ho letto
venticinque anni fa), quanto piuttosto perché talvolta la trama
subisce digressioni che, laddove si miri solo all'azione, possono
risultare scoraggianti...
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