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lunedì 9 gennaio 2017

Un cagnaccio grosso e cattivo

CUJO
di Stephen King


Grande classico dell'orrore, claustrofobico e angosciante, con un cagnaccio grosso e cattivo – ma non è colpa sua, bensì di un pipistrello con la rabbia – che tormenta madre e figlio piccolo, bloccati in auto, e che si fonda, più che sui fatti – i quali tuttavia non mancano e, anzi, sono belli densi e concreti – sul complesso, perfetto e multiforme impianto psicologico che costruisce il Re in ordine a ciascuno dei protagonisti (cane compreso).
Se devo dirla tutta, “Cujo” non rientra comunque fra i miei romanzi prediletti (due i motivi di base: nessun elemento di matrice fantastica e nessuna particolare simpatia nei confronti dei suoi personaggi, salvo l'ovvia solidarietà umana), ma è ugualmente da leggere solo per le volte in cui il tremendo sanbernardo viene poi ricordato nelle successive opere del Re (ad esempio “Il corpo”), in quanto ambientato nell'immaginaria cittadina di Castle Rock, e per via delle commistioni con un altro romanzo di King, “La zona morta”.
O, per i non fan, per la validissima prosa, per lo spaccato di provincia, per la rappresentazione dei paesani e della loro quotidianità e per il modo in cui questa viene spezzata, oltre che per la suspense.
Peraltro, trattasi di un buon libro, godibile, avvincente, e che per giunta ci spiazza totalmente nel finale... Ci spiazza, di brutto, in effetti, rovesciando le nostre certezze con una violenta iniezione di realtà, tanto che nel film (che non ho visto, ma in merito al quale avevo letto una dettagliata intervista mille anni fa) il regista si è sentito in dovere di cambiarlo.

A voler essere pedanti si può opinare che il romanzo andrebbe un po' sfrondato. Non per il numero di pagine in sé, che pure ammontano a circa quattrocento (mi pare, ma si consideri che l'ho letto venticinque anni fa), quanto piuttosto perché talvolta la trama subisce digressioni che, laddove si miri solo all'azione, possono risultare scoraggianti...

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