PERFETTI
SCONOSCIUTI
di Paolo Genovese
(2016)
Un
film che mi ha colpita tantissimo: duro, antipatico, pruriginoso, che
tuttavia evita la vuota ordinarietà che rasenta nei suoi presupposti
grazie al geniale colpo di scena finale, che in apparenza salva la
trama dal tracollo, sottraendoci ad una conclusione vera e propria,
ma in realtà rende il contesto ancora più squallido, vile e
drammatico, bloccato in un’impasse che ha il sapore stantio
dell’ipocrisia e che, ahimè, è destinata a rimanere così. E come
tale ancora più infame.
La
vera forza della pellicola, dunque, sta proprio nella sceneggiatura,
con dialoghi serrati che variano dal volutamente banale al
divertente, ma che sono soprattutto lo specchio delle relazioni false
e disfunzionali dei protagonisti.
I
perfetti sconosciuti del titolo, infatti, sono un gruppo di amici di
vecchia data che si ritrovano come di consueto per una cena e quattro
chiacchiere. In apparenza la classica compagnia affiatata e simpatica
appartenente alla media borghesia, in cui ci si conosce da una vita e
si ha condiviso tutto. Poco sotto la superficie, però, solo un
becero insieme di gentaglia che più meschina, maligna e superficiale
non si può.
Ognuno,
infatti, nasconde almeno un segreto e l’escamotage per farlo
emergere è condividere pubblicamente con la tavolata qualsiasi
comunicazione si riceva sul proprio cellulare (e già dalla mancanza
di riguardo per gli ignari interlocutori telefonici si evince quanto
egoisti, immaturi e irrispettosi siano costoro).
Può
sembrare un presupposto poco credibile, pretestuoso, così come altri
passaggi nel prosieguo, ma la verità è che alla luce della pochezza
dei protagonisti e delle malate dinamiche che li accomunano risulterà
invece coerente che ci si comporti così e in modi persino peggiori.
Com’è
logico, infatti, verrà fuori di tutto: corna, menzogne, omissioni,
in un’escalation di miserie umane. Alcune, tutto sommato, quasi
comprensibili, altre sinceramente imperdonabili. Tra tutte, benché
possa apparire poca cosa in confronto a matrimoni saltati e amicizie
rinnegate, quella che ho trovato più fastidiosa e imperdonabile è
la premeditata e abituale esclusione di uno dei membri del gruppo dal
gioco del calcetto, ovviamente alle sue spalle, nemmeno si capisce
bene perché… Esclusione che tuttavia è rivelatrice di come i
rapporti tra questi cosiddetti amici siano invece edificati su
opportunismo e convenienze.
In
conclusione, una pellicola interessante, non tanto per la resa
tecnica o stilistica, e in realtà nemmeno per la trama, che resta
comunque abbastanza vicina al cliché ed evita di approfondire o di
creare spessore, quanto piuttosto perché stimolante a livello di
implicazioni morali e spunti di discussione: c’è di tutto, come si
diceva (rapporto con la prole, sesso, omosessualità, il senso ultimo
di figliare, la difficoltà della convivenza, il significato del
matrimonio…) e sempre in chiave polemica e bacchettona. Unica
grande assente, guarda caso, è proprio lei: l’amicizia.
Ma,
appunto per questo motivo, viene voglia di riflettere anche su di
essa.
P.S.
Sovente,
quando guardiamo un film, MPM mi accusa di vederne un altro, nel
senso che è mia abitudine interpretarlo liberamente e dargli altri
significati che non c’entrano nulla con quello che di fatto ho
davanti. In effetti, a rileggere il post a distanza di qualche
giorno, mi rendo conto di averlo fatto anche questa volta.
La
morale di “Perfetti Sconosciuti” non è: guarda e compiangi
questi miserabili, destinati, a causa dell’ignavia del
protagonista, a rimanere nella loro bolla di cacca nonostante siano
stati smascherati dinanzi a noi.
La
morale del film è: “siamo tutti frangibili” quindi accettiamo
l’ipocrisia che ci aiuta a tirare avanti. In teoria lo spettatore
si dovrebbe immedesimare, riconoscendosi in questa precarietà di
equilibri. Ma, mi dispiace, io proprio non ci riesco. E no, in realtà
nemmeno mi dispiace: questi tizi che ci vengono presentati non sono
frangibili, sono schifosi, spregevoli, vili.
Sarà
che io ho sempre rifuggito le compagnie e le loro dinamiche perverse,
preferendo coltivare rapporti con singoli individui altamente
selezionati (che per comodità, magari, incontro in gruppo) ma…
come si fa a immedesimarsi in gentaglia simile? E, intendiamoci, io
non punto il dito contro corna, bugie e tradimenti in sé – che nel
film vengono proposti come l’elemento più eclatante – le quali
riguardano semmai le ragioni e le situazioni delle coppie, piuttosto
ce l’ho con questi infami anafettivi e senza valori che, grazie a
Dio, non sento come rappresentativi né di me né delle persone che
frequento. Perciò no, non accetto nemmeno l’ipocrisia.
Semplicemente
non sento come necessario che i miei amici mi dicano tutto, se non
vogliono. Non è un diritto acquisito sapere tutto dagli amici: i
fatti loro sono loro. Se vogliono condividerli con me ne sono
onorata, se no, va bene lo stesso, vorrà dire che non me lo sono
ancora meritata, o non è capitato, o ci sono altri motivi. Ma se mai
dovessero emergere dei loro lati oscuri, la reazione dovrebbe essere
di analisi e comprensione, non di scandalo e offesa.
Insomma,
il film è carino, tiene viva l’attenzione, a tratti è divertente.
Ma non lo giudico un capolavoro, e nemmeno lo reputo una pellicola
impegnata. Semmai è un ameno divertissement incentrato su luoghi
così comuni da apparire caricaturali e personaggi privi di umana
tridimensionalità.
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