LA
FAMIGLIA MOSKAT
di Isaac B. Singer
Che
tripudio di vite, di personaggi, di situazioni! Che ricchezza umana!
Questa
la bellezza del romanzo, ambientato nella Varsavia tra l'inizio
Novecento e la Seconda Guerra Mondiale, che, letteralmente, traspone
su carta una numerosissima e vivace famiglia ebrea, con tutti i suoi
membri: il patriarca Meshulam Moskat, e i figli, nipoti, cognati,
vicini... Con le sue tradizioni, ingenuità, cultura, aspirazioni e
credenze... Che fotografa in uno spaccato brulicante e denso di
umori, decadenze, amori e frustrazioni, con lo spettro del Nazismo
che incombe e si avvicina...
Indubbiamente
un capolavoro, impegnativo, intelligente, accurato, ma anche un'opera
godibilissima e coinvolgente (specie da che la famiglia perde il suo
patriarca e i movimenti divengono più frenetici), descritta con
sguardo acuto e minuziosa contezza, ma altrettanta amena semplicità.
Non
si corre nemmeno il rischio di smarrirsi con tutti questi nomi, sia
perché i personaggi sono magistralmente caratterizzati, sia perché
vengono presentati poco alla volta, non sempre con la stessa
rilevanza. Alcuni ci colpiranno per simpatia (Abram, in particolare),
di altri seguiremo le vicende con partecipazione e scoramento
(Hadassah, Adele e quel cialtrone di Asa Heshel), altri si
limiteranno ad incuriosirci (Koppel, Masha, Pinnie), ma di sicuro
anche loro ci terranno compagnia...
In
effetti questo romanzo eccezionale presenta più piani di lettura,
più modi per essere approfondito, si presta ad un'analisi storica
come ad un approccio corale, così come può essere letto per pura,
sana passione narrativa, ma, se devo dire la mia da umile lettrice
senza pretese, non posso fare a meno di tracciare un paragone con “La
Famiglia Karnowski”, di Singer, ma non di Isaac B., bensì di
Israel J. Insomma, non del premio Nobel, ma di suo fratello.
Ebbene,
sono entrambi romanzi stupendi, ma capisco come e perché i Moskat
abbiano conquistato una “fetta più importante di eternità”. La
famiglia Moskat è più variegata, complessa, e ritrae non solo se
stessa ma l'intera società ebraica di Varsavia, divenendone
l'archetipo. La famiglia Karnowski, invece, si concentra soprattutto
(ma non solo) su se stessa e le sue frequentazioni. E'
rappresentativa, ma non così tanto.
Però...
ecco: del romanzo di Israel amo follemente almeno due protagonisti,
che continuerò ad amare per sempre; del romanzo di Isaac ne apprezzo
tanti, ma non amo davvero nessuno. Anche tra i beniamini, infatti,
scorgo difetti insormontabili che non mi permettono di “perdonarli”
o immedesimarmi, e se pure come personaggi sono senz'altro
impeccabili, tuttavia un po' li detesto.
Quindi?
Oh,
quindi.
Quindi
, Nobel o no, i romanzi sono da leggere entrambi.
P.S.
Curiosità:
nella versione europea, a quanto pare, manca l'ultimo capitolo... Per
recuperarlo bisogna rivolgersi ad Erri De Luca... A proposito, se ne
discute altresì ne “Il torto del soldato”...
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