LE
PIETRE DELLA LUNA
di Marco Buticchi
L’ho
letto molti anni fa, il mio primo libro di Buticchi.
E
anche l’ultimo.
Lì
per lì può non sembrare malaccio: a metà tra Wilbur Smith e Clive
Cussler, cerca di sfruttarne la formula: avventura, mistero, amore,
un po’ di sesso… Di buono c’è che la trama è un poco più
complessa del solito, più stimolante, non lineare, con frequenti
salti temporali, più personaggi e vicende che scorrono in parallelo,
e quindi riesce a tenere vivo l’interesse, balzando, in
particolare, tra la Roma delle Vestali (la parte migliore) e i giorni
nostri, con retroscena storici approfonditi e suggestivi.
Invero,
non sono mai stata una gran fan di Cussler. Con Wilbur Smith siamo
partiti meglio, ma poi, quando ho realizzato che i suoi romanzi sono
tutti oscenamente uguali a se stessi (cambia giusto lo schema
narrativo), mi sono serenamente scocciata e l’ho bandito dai miei
acquisti futuri.
Il
problema di Buticchi, però, è più intimo e non è dovuto alla
mancanza di innovazione.
Chi
se ne cale dell’innovazione.
Si
tratta di intrattenimento, e se mi diverto, tanto quanto. Mi basta
evitare la spirale del copia e incolla.
No,
il problema sono innanzitutto i personaggi.
Odiosi,
non se ne salva uno.
Non
facevo che sperare che le cose andassero loro male, e se andavano
male... auspicavo il peggio. Arroganti, presuntuosi,
autoreferenziali. Bleargh!!!
In
secondo luogo c’è il problema dello stile.
Non
posso affermare che Buticchi scriva male, di per sé. E’ rapido,
scorrevole. Ma non c’è bellezza, e soprattutto, mi spiace, ma mi è
antipatico pure lui. Non che sappia niente dell’autore-uomo…
manco ne conosco la faccia, non ho preconcetti, né lo associo a
nulla… E’ solo che dalla tua prosa qualcosa di te trapela, e quel
che trapela qui non mi piace. Mi sa di supponenza. E sento
l’avversione.
La
trama alla base, però, non è brutta. Anzi, si nota un certo sforzo,
una certa capacità di elaborazione. La storia riserva persino
qualche sorpresa e la frammentazione la salva dalla mediocrità,
anzi, se la paragono agli altri esponenti del genere direi persino
che è cinque o sei gradini più su.
Solo
che per me stile e personaggi sono più importanti. E nella
fattispecie non “quagliano”.
Mi
chiedo se, qualora leggessi ora il romanzo, con quindici, se non
venti, anni in più sulla schiena, cambierebbe qualcosa.
Ma
è una domanda oziosa, perché la voglia di verificarlo proprio non
ce l’ho.
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