FRASI
CARINE DEL RAGNO DA PICCOLO
Il
Ragno è mio fratello minore (diciassette anni di differenza, perché,
per citare Mater, ad un certo punto lei si è... distratta). Prima
lo chiamavo Pitone. Poi, dato che al malefico cucciolo questo nome
non piaceva, è diventato Ragno. Adesso è vecchio, frequenta il
primo anno di università, ma il ricordo di quando era picculo,
amoroso e pestifero continua a illuminare gli aneddoti familiari.
Ecco
alcune delle sue perle:
Io:
«Sai
dire la erre?»
R.:
«No,
non ciono capace.»
(No, non sono capace.)
Io:
«Hai
mai provato?»
R.:
«No…
Ma qando ciono gande ci povo!»
(No... Ma quando sono grande ci provo!)
Mater
al Ragno: «Chiama
la Chicca e dille di venire a mangiare!»
(Chicca è nostra sorella.) Il Ragno
va, ma…
R.
(vocina delusa): «La
Chicca non liene...»
(La Chicca non viene...)
Mater:
«Non
importa... Arriverà.»
R.:
«Cì.
Non impotta. Laciamola molile. (Sì. Non importa. Lasciamola morire.)
Ragno,
rivolto a me, indicando la Mater: «Queccia
è mia mamma. Tua mamma è ciul tetto e cià per cadele. E' un po'
paccia.»
(Questa è mia mamma. Tua mamma è sul tetto e sta per cadere. E' un
po' pazza.)
Ragno,
rivolto a me: «Che
bella la tua camera... Quando muori?»
Io:
«Non
puoi comportarti sempre così! Sei cattivo!»
R.:
«Io
no cattilo! Io bimbo!»
(Io no cattivo! Io bimbo!)
Giocando
con i pentolini nella cucinetta giocattolo...
Io:
«Ah,
sta attento! Brucia!»
R.:
«E'
cinto, cema.»
(E' finto, scema!)
R.,
rivolto a me: «Non
ti amo più!»
R.:
«'Acie.»
(Grazie)
Io:
«Prego.»
R.:
«No!
'Acie!»
(No!
Grazie!)
Guardando
“1997: Fuga da New York”, e in particolare la benda sull'occhio
di Jena Plissken (Kurt Russell)...
R.:
«Pecché
è cencia un occhio? Gli dala faccidio?»
(Perché è senza un occhio? Gli dava fastidio?)
R.,
a me: «Tu
perché studi?»
Io:
«Per
diventare una persona istruita.»
R:
«Ma
quando diventi una persona istruita diventi una mamma!»
Litigando...
Ragno:
«Io
ti tilo un attaccapanni...»
(Io ti tiro un attaccapanni...)
Otta:
«Io
ti propongo il teorema di Euclide...»
R.:
«Io
ti ciaccio dilentale un lumole cogì!»
(Io ti faccio diventare un rumore così! - sbatte
qualcosa sul tavolo)
O:
«Io
ti porto al mercato delle pulci e ti vendo come afanittero...»
R.:
«E
io ti potto in cagia di quaccun atto!»
(E io ti porto in casa di qualcun altro!)
O:
«E
io ti attorciglio la lingua attorno a un palo!»
R.:
«E
io ti metto la linga nella mineccia!»
(E io ti metto la lingua nella minestra!)
O:
«Io
ti sgranocchio le dita e le intingo nello sciroppo d'acero!»
R.:
«Io
ti ciaccio dilentale un talolo e ti appoggio la loba sopa!»
(Io ti faccio diventare un tavolo e ti appoggio la roba sopra!)
O:
«Io
ti metto le dita nelle narici e ti tolgo le adenoidi!»
R.:
«Io
ti tolgo il teleciono e il cionno, ce ce l'hai!»
(io ti tolgo il telefonino e la suoneria, se ce l'hai!)
O:
«Io
ti impasto con le olive!»
R.:
«Io
ti ciaccio dilentale un panino e poi ti mangio!»
(Io ti faccio diventare un panino e poi ti mangio!)
O:
«Io
ti metto un topo vivo nelle orecchie.»
R.:
«E
io ti butto bia la pancia!»
(E io ti butto via la pancia!)
O:
«E
io ti aspiro il fegato!»
R.:
«E
io non ce l'ho!»
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