IL
CONTE DI MONTECRISTO
di Alexandre Dumas
Romanzo
monumentale, ma ricco di pathos, incentrato sulla vendetta. Una di
quelle allegramente complesse, atte a colpire più soggetti, che non
si gustano fredde, ma direttamente gelate. E che ti esaltano,
inebriandoti di sadismo, che fa rima con giustizia, con imperativo
categorico, e con dovere morale. Che sono necessarie, dunque.
Irrinunciabili. Fino a che assumono un sapore amaro, e allora il
nostro eroe (che comunque nel frattempo ha “messo un po' di cose a
posto”) comprenderà la vanità delle sue azioni e riuscirà
davvero a ritrovare se stesso, insieme alla forza di perdonare. E,
finalmente, ad una prospettiva di felicità.
Per
fortuna o avrebbe rischiato di dannarsi da solo. Perché è questa la
controindicazione principale della missione.
Il
protagonista è Edmond Dantès, che diverrà, appunto, il Conte di
Montecristo grazie all'immenso tesoro che recupererà su indicazione
del compagno di carcere, abate e scienziato, Faria. Ma come è finito
dentro, Edmond? E' proprio questo il punto: il giovane è stato
vilmente incastrato (niente meno che il giorno delle sue nozze) con
la falsa accusa di bonapartismo (siamo nel 1815, in Francia) e
pertanto imprigionato nel Castello di If.
Per
quattordici, lunghissimi anni.
In
condizioni disumane.
Comprensibile
che dopo essere riuscito ingegnosamente a scappare sia un po'
adiratello... Ma anche pieno di creatività, visto che si diverte ad
assumere diverse sembianze e a recitare più parti...
L'opera
è decisamente di ampio respiro, a tratti prolissuccia, ma ben
strutturata e densa di avventura, di personaggi, di emozioni, di
scene strappalacrime (del resto è la classica rappresentante del
romanzo d'appendice), e quindi scorre velocemente, nonostante il
linguaggio piacevolmente un po' arcaico (ma tanto dipende dalle
traduzioni) e le fiorite descrizioni, non sempre eccezionali.
Gli
unici elementi che ho trovato veramente fastidiosi sono l'insistito
paternalismo di certi ragionamenti e il patetismo imperante di molte
situazioni, esasperato all'eccesso, ma, una volta contestualizzati,
sono comunque quasi perdonabili.
La
trama è coinvolgente, il protagonista fascinoso e carismatico, e
tutti i personaggi, inclusi quelli minori, sono caratterizzati con
cura e analizzati con il cesello a livello psicologico. Invero, non
ho apprezzato tutti gli sviluppi né sempre ho condiviso il
risentimento di Edmond: ad esempio in riferimento al rapporto con
Mercedes, la sua innamorata storica, per cui avrei bramato una
conclusione diversa e più romantica (a questo riguardo, Eddy caro,
mi sei parso davvero uno stolto ed un egoista miope)... O la
questione di Haydée, la principessa greca, che vedo (ingiustamente)
come un'usurpatrice, ma è un opinione del tutto personale.
Nel
complesso, ad ogni modo, un bel romanzo, che si scolpisce nella mente
e nel cuore di chi legge.
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