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sabato 19 aprile 2014

Una prospettiva di felicità


IL CONTE DI MONTECRISTO
di Alexandre Dumas
 

Romanzo monumentale, ma ricco di pathos, incentrato sulla vendetta. Una di quelle allegramente complesse, atte a colpire più soggetti, che non si gustano fredde, ma direttamente gelate. E che ti esaltano, inebriandoti di sadismo, che fa rima con giustizia, con imperativo categorico, e con dovere morale. Che sono necessarie, dunque. Irrinunciabili. Fino a che assumono un sapore amaro, e allora il nostro eroe (che comunque nel frattempo ha “messo un po' di cose a posto”) comprenderà la vanità delle sue azioni e riuscirà davvero a ritrovare se stesso, insieme alla forza di perdonare. E, finalmente, ad una prospettiva di felicità.

Per fortuna o avrebbe rischiato di dannarsi da solo. Perché è questa la controindicazione principale della missione.

Il protagonista è Edmond Dantès, che diverrà, appunto, il Conte di Montecristo grazie all'immenso tesoro che recupererà su indicazione del compagno di carcere, abate e scienziato, Faria. Ma come è finito dentro, Edmond? E' proprio questo il punto: il giovane è stato vilmente incastrato (niente meno che il giorno delle sue nozze) con la falsa accusa di bonapartismo (siamo nel 1815, in Francia) e pertanto imprigionato nel Castello di If.

Per quattordici, lunghissimi anni.

In condizioni disumane.

Comprensibile che dopo essere riuscito ingegnosamente a scappare sia un po' adiratello... Ma anche pieno di creatività, visto che si diverte ad assumere diverse sembianze e a recitare più parti...

L'opera è decisamente di ampio respiro, a tratti prolissuccia, ma ben strutturata e densa di avventura, di personaggi, di emozioni, di scene strappalacrime (del resto è la classica rappresentante del romanzo d'appendice), e quindi scorre velocemente, nonostante il linguaggio piacevolmente un po' arcaico (ma tanto dipende dalle traduzioni) e le fiorite descrizioni, non sempre eccezionali.

Gli unici elementi che ho trovato veramente fastidiosi sono l'insistito paternalismo di certi ragionamenti e il patetismo imperante di molte situazioni, esasperato all'eccesso, ma, una volta contestualizzati, sono comunque quasi perdonabili.

La trama è coinvolgente, il protagonista fascinoso e carismatico, e tutti i personaggi, inclusi quelli minori, sono caratterizzati con cura e analizzati con il cesello a livello psicologico. Invero, non ho apprezzato tutti gli sviluppi né sempre ho condiviso il risentimento di Edmond: ad esempio in riferimento al rapporto con Mercedes, la sua innamorata storica, per cui avrei bramato una conclusione diversa e più romantica (a questo riguardo, Eddy caro, mi sei parso davvero uno stolto ed un egoista miope)... O la questione di Haydée, la principessa greca, che vedo (ingiustamente) come un'usurpatrice, ma è un opinione del tutto personale.

Nel complesso, ad ogni modo, un bel romanzo, che si scolpisce nella mente e nel cuore di chi legge.

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