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venerdì 4 aprile 2014

Acuta rassegnazione dal sapore filosofico...


IL GATTOPARDO
di Giuseppe Tomasi di Lampedusa
 
 
Decisamente meno impegnativo di quanto si potrebbe pensare a dispetto dell'inizio un po' lento, scorre veloce, ammalia, incanta, e offre lo spaccato di un'epoca al tramonto, vissuta con consapevole mestizia e con una sottile, stanca, acuta rassegnazione dal sapore filosofico...

Il protagonista è proprio lui, il gattopardo, il principe Fabrizio Salina, rappresentante di un'aristocrazia decaduta, prossima a lasciare il posto ad una classe in recente ascesa, la borghesia: attiva, rozza, adattabile, vivace e ambiziosa.

Siamo in Sicilia, agli albori del Regno d'Italia, seguiamo le vicende del principe e della sua famiglia, analizziamo i tempi, li commentiamo, e li vediamo spiegare i loro effetti, anche se in modi diversi, sui protagonisti, sia che cerchino di sfruttarli per i loro fini, come il nipote Tancredi, sia che scelgano di farsene dignitosamente travolgere, come il nostro attempato eroe.

A colpirmi, in realtà, non è stato tanto il principe, quanto le sue riflessioni, il suo concetto di “sicilianità”, il suo stile “gattopardesco” (che per molti versi sono la stessa cosa) e poi, a livello più emotivo, il crudele triangolo amoroso tra Tancredi, Concetta, la figlia altera e raffinata di Fabrizio, e Angelica, ricca e dalla bellezza prorompente, dalla sensualità impetuosa, affrontato con pragmatismo e senza troppi drammi, seppur con qualche vampata di fuoco, e la figura quasi macchiettistica del padre di Angelica, Don Calogero Sedara, che per molti versi risulta essere l'antitesi del gattopardo...

Anche stilisticamente il romanzo è notevole. Per il frasario ricercato, per il lirismo che lo pervade, per il gusto stesso della narrazione, che infonde calma e placidità, riuscendo a dipanarsi fra i meandri della storia come nelle profondità dell'animo umano, criticando e facendo autocritica.

Tuttavia, per amor di cronaca, segnalo alcune critiche avanzate dalle mie colleghe: alcune avventatesi contro l'eccessivo maschilismo del libro e del principe, in particolare: addirittura si sono dichiarate oltraggiate e si sono prodotte in smorfie di disgusto. Non nego che il maschilismo ci sia e che tale mentalità retriva dispiaccia, ma, diamine!, siamo nell'alveo del romanzo storico, nella Sicilia ottocentesca, non è che le donne avessero tutta questa indipendenza di azione o pensiero! Non è che il quadro che ne dipinge il nostro autore non sia realistico. Che si aspettavano?

Altre, invece, si sono arrese alle prime pagine, trovando il libro “pesante”. Certo, se non si è tipi da farsi rapire dalla prosa o dalle descrizioni, capisco che la scena del funerale possa risultare un po' monotona, ma basta superare le prime pagine (prime 50, più o meno) per farsi assorbire dalla narrazione, sino al punto che si fatica a staccarsene. A volte è solo questione di avere la giusta disposizione d'animo...

Se l'avete, approfittatene!

2 commenti:

  1. E la cosa brutta è che una della frasi, parafrasate, più famose di questo libro "cambiare tutto per non cambiare niente" a distanza di quasi sessant'anni è ancora estremamente attuale. Povera Italia!

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  2. Concordo tristemente.

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