LA
STRADA
di Cormac McCarthy
Questo
romanzo, dalla prosa secca e incisiva, a volte distaccata e
volutamente incolore, ti mozzerà il fiato, lasciandoti prostrato,
senza speranza, a chiederti perché, se il mondo è ridotto come è
ridotto, devi costringerti a fare la fatica di continuare a vivere
visto che tanto non ti aspetta niente, se non altra fame, altra
paura, altro freddo, e altro dolore.
E
al contempo lo sai perché, lo sai benissimo, e questa consapevolezza
ti spezza ancora di più, il cuore e l'anima, con la sua fiducia e la
sua tenerezza, nell'istante stesso in cui ti dà forza. Il perché è
tuo figlio, che è piccolo e ancora innocente e pieno di domande, che
sta diventando rachitico per la mancanza di vitamine e che non
conosce nemmeno la luce del sole.
Perché
è da dieci anni che il sole non si vede.
Siamo
in un futuro distopico, il mondo è sull'orlo della fine (o è già
finito, e devi solo riuscire ad accettarlo), tu marci in un perenne
pulviscolo, senza quasi vederti i piedi, con tutti i tuoi averi
raccolti in un vecchio carrello della spesa. Il tuo oggi è
determinato esclusivamente dalla sopravvivenza, tua e di tuo figlio.
Ma vuoi che restiate fedeli a voi stessi, integri, onesti. Perché è
importante che il piccolo non perda il concetto di che cosa è giusto
e di che cosa non lo è, non importa se le circostanze invocano altre
leggi. Non importa se l'umanità, per quella che è la tua
esperienza, che si rinnova ogni giorno, è davvero andata in malora.
E ogni giorno, ti sembra, un poco più prossima al baratro.
E
nonostante il panorama non offra niente, salvo una strada spoglia, il
viaggio non sarà mai noioso: la paura è troppa, eternamente vigile.
E in qualche modo le sei persino grato, perché se lei si assopisse
ci sarebbero la pena e lo scoramento ad affliggerti. E i loro morsi
sono più feroci.
Racconti
a tuo figlio del passato che non ha vissuto, di sua madre che si è
suicidata, perché, semplicemente non ce la faceva (e come potresti
biasimarla?) ed era terrorizzata, ma lucida. E tu, lettore, soffri,
empatizzi, stai male per loro, ma al contempo sei avido, e vorresti
sapere di più sul disastro nucleare che ha messo la natura in
ginocchio, e non ti bastano mai i dettagli, e mai sei sazio, e quelli
che ti verranno dati in pasto ti sembreranno solo brandelli e mai
soddisferanno la tua curiosità. Eppure, dentro di te lo sai, che
diavolo c'è da dire di più?
E
incontrerai di tutto, e diffiderai, e forse questo ti salverà la
vita. Forse no. Ma attento, il cibo scarseggia è c'è il buon
vecchio sistema per risolvere il problema... No, non mi riferisco
solo a rapinare e a uccidere, benché anche questi siano mezzi
inflazionati... No, ci sono sistemi più primitivi, più famelici,
più oscuri...
Un
romanzo intenso, fatto di compensazioni tra ciò che si è perduto e
ciò che si deve conservare, tra il grigiore esterno e la forza del
legame che continua a illuminarci, a unire, a sostenere, tra il
disfacimento morale, la violenza e la disumanità e il tuo equilibrio
interiore. Un romanzo bellissimo, che però richiede lunghe pause per
mandare giù i bocconi più amari, più brutali, più truci.
Che
sono parecchi.
Spesso
queste trame di tipo post-apocalittico attirano scrittori
commerciali, dando luogo ad un intrattenimento facile, o meno facile,
magari condito con qualche intuizione interessante, o da uno stile
che si accontenta di essere scorrevole.
Questa
volta, invece, a cimentarsi nell'impresa è un autore immortale.
Ma
se non hai la forza di stringere i denti fino a che li senti
scricchiolare, beh, allora non provarci neanche a leggerlo: ti farà
solo male.
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