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giovedì 24 aprile 2014

Un futuro distopico


LA STRADA
di Cormac McCarthy

 
Questo romanzo, dalla prosa secca e incisiva, a volte distaccata e volutamente incolore, ti mozzerà il fiato, lasciandoti prostrato, senza speranza, a chiederti perché, se il mondo è ridotto come è ridotto, devi costringerti a fare la fatica di continuare a vivere visto che tanto non ti aspetta niente, se non altra fame, altra paura, altro freddo, e altro dolore.

E al contempo lo sai perché, lo sai benissimo, e questa consapevolezza ti spezza ancora di più, il cuore e l'anima, con la sua fiducia e la sua tenerezza, nell'istante stesso in cui ti dà forza. Il perché è tuo figlio, che è piccolo e ancora innocente e pieno di domande, che sta diventando rachitico per la mancanza di vitamine e che non conosce nemmeno la luce del sole.

Perché è da dieci anni che il sole non si vede.

Siamo in un futuro distopico, il mondo è sull'orlo della fine (o è già finito, e devi solo riuscire ad accettarlo), tu marci in un perenne pulviscolo, senza quasi vederti i piedi, con tutti i tuoi averi raccolti in un vecchio carrello della spesa. Il tuo oggi è determinato esclusivamente dalla sopravvivenza, tua e di tuo figlio. Ma vuoi che restiate fedeli a voi stessi, integri, onesti. Perché è importante che il piccolo non perda il concetto di che cosa è giusto e di che cosa non lo è, non importa se le circostanze invocano altre leggi. Non importa se l'umanità, per quella che è la tua esperienza, che si rinnova ogni giorno, è davvero andata in malora. E ogni giorno, ti sembra, un poco più prossima al baratro.

E nonostante il panorama non offra niente, salvo una strada spoglia, il viaggio non sarà mai noioso: la paura è troppa, eternamente vigile. E in qualche modo le sei persino grato, perché se lei si assopisse ci sarebbero la pena e lo scoramento ad affliggerti. E i loro morsi sono più feroci.

Racconti a tuo figlio del passato che non ha vissuto, di sua madre che si è suicidata, perché, semplicemente non ce la faceva (e come potresti biasimarla?) ed era terrorizzata, ma lucida. E tu, lettore, soffri, empatizzi, stai male per loro, ma al contempo sei avido, e vorresti sapere di più sul disastro nucleare che ha messo la natura in ginocchio, e non ti bastano mai i dettagli, e mai sei sazio, e quelli che ti verranno dati in pasto ti sembreranno solo brandelli e mai soddisferanno la tua curiosità. Eppure, dentro di te lo sai, che diavolo c'è da dire di più?

E incontrerai di tutto, e diffiderai, e forse questo ti salverà la vita. Forse no. Ma attento, il cibo scarseggia è c'è il buon vecchio sistema per risolvere il problema... No, non mi riferisco solo a rapinare e a uccidere, benché anche questi siano mezzi inflazionati... No, ci sono sistemi più primitivi, più famelici, più oscuri...

Un romanzo intenso, fatto di compensazioni tra ciò che si è perduto e ciò che si deve conservare, tra il grigiore esterno e la forza del legame che continua a illuminarci, a unire, a sostenere, tra il disfacimento morale, la violenza e la disumanità e il tuo equilibrio interiore. Un romanzo bellissimo, che però richiede lunghe pause per mandare giù i bocconi più amari, più brutali, più truci.

Che sono parecchi.

Spesso queste trame di tipo post-apocalittico attirano scrittori commerciali, dando luogo ad un intrattenimento facile, o meno facile, magari condito con qualche intuizione interessante, o da uno stile che si accontenta di essere scorrevole.

Questa volta, invece, a cimentarsi nell'impresa è un autore immortale.

Ma se non hai la forza di stringere i denti fino a che li senti scricchiolare, beh, allora non provarci neanche a leggerlo: ti farà solo male.

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