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venerdì 25 agosto 2017

Crederci fino alla fine

STREET DANCE 3D e STREET DANCE 2
di Max Giwa e Dania Pasquini
(2010 e 2012)


Lo so quello che state per dire, e non me ne cale.
Avete ragione: la sceneggiatura è tremenda e prevedibile sino all'imbarazzo, gli attori spesso poco convincenti, i personaggi quasi degli stereotipi tagliati con il coltello, i dialoghi ovvi, con momenti di umorismo involontario, quasi obbligatoria, quanto inutile, poi, è la parentesi sentimentale... Ma, ve l'ho detto, non me ne cale.
Tutto ciò che conta in questi film sono i balli, il ritmo e le coreografie, la padronanza dei corpi e l'armonia e la fluidità dei movimenti, e mi sono piaciuti un mondo, emozionandomi. E, alla fine, mi ha emozionato persino la storia, e forse la circostanza che sia così banale ha contribuito positivamente, perché ho ricevuto esattamente quello che mi aspettavo, come quando mi rileggo una fiaba (o un sillogisma, nel senso che il modulo del racconto pare imperniato su tesi, antitesi e sintesi, con svolte drammatiche opportunamente tipizzate).
A parte ciò, tra le due pellicole è decisamente meglio la seconda.


Nella prima (non capisco come sia possibile) spicca Charlotte Rampling, mentre la fusion rivoluzionaria è tra street dance e danza classica. Non è malvagia, ma non mi fa impazzire, e sotto molti aspetti il film sembra un clone di Step Up. I personaggi sono a mala pena abbozzati, la protagonista antipatica, e la final dance in principio risulta un po' barbosa, anche se poi si riprende (e c'è un momento spiritoso in mezzo, che mi ha entusiasmata per il suo valore di rottura dei canoni).


Il secondo film, invece, nei confini del genere di appartenenza, è una bomba. 
L'unico legame con il primo è il personaggio di Eddie (George Sampson), che qui ha un ruolo più importante e si improvvisa manager e motivatore. Per il resto,  collegamenti e riferimenti tra i due capitoli sono inesistenti, e si può benissimo vedere solo il 2. Che, in effetti, sembra un remake del primo, con i ruoli ribaltati, ma migliorato. I protagonisti sono meglio caratterizzati (non sul piano umano – non sia mai – ma come tipologia di soggetti, più curati nel look, nel background e negli atteggiamenti), e colpiscono tutti, tanto che ognuno di loro sarebbe credibile come  leader. Il meno carismatico, in effetti, è proprio lui, il protagonista, ma non ci importa, perché balla bene. E soprattutto la fusion tra street dance e latin dance è davvero una meraviglia. E ci sono più danze, più sfide, e alcune sembrano battaglie, le coreografie sono più variegate, osano di più, mentre la protagonista femminile (Sofia Boutella, la mummia del film con Tom Cruise, tu pensa) spacca. Non tanto, per quanto mi riguarda, per la sua sovraccarica sensualità, quanto perché mi piace come balla, è intensa, e i suoi insegnamenti riguardo allo spirito della latin dance celano in sé riflessioni spicciole non disprezzabili. Inoltre il ritmo è migliore, così la colonna sonora, assai più melodica e trascinante, priva di forzature. La danza qui emerge come un qualcosa di vivo e inafferrabile attraverso cui esprimere se stessi e divenire un tutt'uno con i compagni (rectius con la propria crew) rinunciando e al contempo esaltando la propria individualità. 
Il sottotesto, invece, è lottare per i propri sogni e crederci fino alla fine, e addirittura oltre. 
Per certi versi è ridicolo, è vero. 
Ma, come ho già detto, chi se cale.
Voglio crederci anche io.

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