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venerdì 30 novembre 2018

Due su due

L'ODISSEA DELLA PUNTURA 2


Sembra incredibile, ma è successo. 
Lunedì mi hanno dimessa, come previsto. 
Prima di andarmene ho controllato bene di non aver lasciato nulla nell'armadio, nel comodino, in bagno o sul letto. Ho fatto una pausa. Mi sono vestita con cura. Altra pausa. Ho ricontrollato tutto una seconda volta. Ho salutato la mia nuova compagna di stanza, appena operata. Sono andata all'accettazione per farmi fare il foglio di degenza (hanno impiegato solo dieci minuti per scrivere quattro righe e io mi sono dovuta sedere in sala d'attesa per non stramazzare per terra), ho salutato e sono uscita.
Mentre eravamo sulla via del ritorno, guadagnata con fatica, mi è sorto un dubbio: ma non mi danno le punture da fare a casa? Che strano. L'altra volta le avevo fatte. E fino a ieri le facevo anche questa volta. E le infermiere nel reparto mi dicevano che a casa avrei dovuto continuare a farmele io... Dunque?  
Provo a chiamare l'ospedale (tanto ormai ho il numero diretto).
Fortuna vuole che rispondano quasi subito: mi dicono che in effetti sì, le punture devo farle. Si sono dimenticati. Posso tornare indietro?
Posso. Ci vuole quasi un'ora, ma posso.
Torno indietro.
All'accettazione mi dicono che non sono sicuri che debba prendere l'eparina. Forse no. Io chiedo, senza alzare la voce, e con somma serenità: “Quindi mi avete fatto tornare indietro per niente?”
L'infermiera (gentile) si agita. Argomenta che non lo sa, mi chiede con chi ho parlato. Io dico che la sua collega non si è qualificata, ma mi ha chiamata per nome. Allora lei controlla meglio. Mi siedo in sala d'attesa. In capo ad un quarto d'ora scoprono che sì, devo farmi sei punture, una al giorno per sei giorni. Mi consegnano la scatola, avendo la grazia di scusarsi. Io ringrazio a mia volta e me ne vado. Dio, che sarebbe successo se non mi fosse venuto in mente? Se fossi una donna anziana o solo una persona meno attenta?
A sera faccio per iniettarmi la prima puntura. Apro la scatola. Ce ne sono solo cinque. Ne manca una. 
Dio.
Chiamo in ospedale. Entro un quarto d'ora riesco a prendere la linea. Chiedo se devo fare cinque iniezioni, contrariamente a quel che mi hanno detto, o se invece manca davvero una siringa.
Manca una siringa. 
“Torni indietro e gliela diamo, signora!”
“Impiego tre ore a venire e tre ore a tornare. Non c'è un'altra soluzione? Non posso comprarla?”, chiedo, prossima all'esasperazione. 
“Eh, senza ricetta non gliela danno. Deve andare dal suo medico di base”.
Okay, Mater mi fa la cortesia di andarmi a procacciare la ricetta. (Ma che farei se fossi da sola? Se non avessi nessuno?)
Quando Mater torna dal centro medico mi dice che entro mercoledì avrò la ricetta, quindi tutto bene. Solo un dubbio... L'impiegata del centro si è stranita, perché di solito il dosaggio  è diverso. Misericordia. Vuoi vedere che hanno sbagliato anche quello? Oltretutto, medito, le punture che mi facevano in ospedale erano diverse da quelle che mi hanno dato. Erano più grandi. 
Ritelefono. 
Risponde un'infermiera, abbastanza celermente, e mi sbuffa in faccia. Mi dice: “Signora, se le han dato quelle, vuol dire che vanno bene quelle...”
“Signora”, le faccio il verso io con tutta la calma che riesco ad invocare, “non può farmi la cortesia di controllare?”
“Se le han dato quelle, van bene quelle...”
“Senta, ne avete già cannate due su due. Mi scusi, ma la mia fiducia comincia un po' a scemare... Vorrei che verificasse.”
“Come?”
“'Sta mattina vi siete dimenticati di darmi le punture. Poi me le avete date e ne mancava una. Ora, se fosse pure sbagliato il dosaggio non mi stupirei. Mi fa il favore di controllare? Grazie.”
L'infermiera sbuffa, ma controlla. Mi chiede quanto peso. Il dosaggio corrisponde. Questa volta ci hanno azzeccato, pare. 
E voglio sperare che sia così, dato che ieri ho fatto l'ultima iniezione e ancora non sono morta. 
Che fatica, però!
Finite le mie disavventure ospedaliere, da lunedì, torniamo ai post “normali”.
Bacioni!!!

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