CENT'ANNI DI SOLITUDINE
di Gabriel Garçia Marquez
Scordatevi che mi metta a dissertare di realismo magico e di prolessi... Le mie sono recensioni di pancia, umorali e scarsamente tecniche, quindi vi basti sapere che questo romanzo è una bomba.
Una bomba di grazia e bellezza, umana e stilistica, che talvolta resta sospesa, o si interrompe, ma più spesso si avviluppa ad altre trame, una bomba punteggiata di espressioni sublimi come “sfranta di decrepitezza” o “il bulicare dell'agonia”, ma, soprattutto, pervasa di un'atmosfera meravigliosa, fatta di epifanie e di rivelazioni improvvise, di amori e di guerre, di soprusi e di incanti, senza limite alcuno a ciò che può accadere e personaggi incredibili – in particolare quelli femminili – che si avvicendano, e sempre lasciano il segno.
Lo so, in principio il romanzo pare ostico, involuto, specie considerando che i protagonisti han tutti lo stesso nome, e non è facile distinguere tra José Arcadio, Aureliano, Arcadio Secondo e Aureliano Secondo... Per tacere poi dei diciassette che verranno dopo... A me, a suo tempo, era stato consigliato di munirmi di foglio e matita e di disegnare man mano un albero genealogico, ma, a mio avviso, non è necessario: basta non incaponirsi troppo. Basta lasciarsi trasportare, seguire il flusso della corrente, e farsi stregare. Si susseguiranno emozioni fortissime, momenti di attonita bellezza e vertiginosa poesia, mentre noi verremo avvolti dalla dolcezza tutta latina di Macondo, nonostante le sue piogge e le sue formiche, e delle sette generazioni di Buendìa che andremo a conoscere e a veder morire.
Un classico del Novecento, certo, ma anche una lunga fiaba su base storica, immaginifica ed inesorabile, in cui ogni personaggio è mitico e immortale, a prescindere dal suo nome.
Un romanzo che va letto più volte, anche consecutive, perché cambia di continuo e sempre racchiude verità differenti.
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