ZUCKERMAN SCATENATO
di Philip Roth
Roth sa essere perspicace, e rappresentare realtà, nevrosi e sentimenti in modo capillare e dicotomico, cogliendoli nella loro feroce interezza. Qui, però, come già nell'eccezionale “Il Lamento di Portnoy”, sceglie di essere soprattutto ironico – e autoironico – ed attraverso il suo alter ego letterario Nathan Zuckerman, ricorrente in diverse sue opere, tra cui “Pastorale Americana”, dileggia prevalentemente se stesso, scrittore finalmente giunto all'apice del successo, ma, non per questo, alla serenità. Anzi, la gestione dell'improvvisa celebrità risulta alquanto difficoltosa (tanto da ingenerare, oltre che i commenti e le conclusioni più assurdi, da parte di conoscenti come di perfetti sconosciuti che confondo Carnovsky, il protagonista del suo libro, con Zuckerman stesso, altresì reazioni bislacche, paranoie, e, addirittura, una “ragionevole” richiesta di riscatto).
E così Roth ci fa sorridere sin dalla prima riga, arrivando a farci sbellicare ogni volta in cui compare il logorroico Alvin Pepler (il nome è diverso, ma riguardatevi il film “Quiz Show”, diretto da Robert Redford nel 1994, per quanto successivo: è ispirato ad una storia realmente accaduta che, evidentemente, l'allievo più geniale di Saul Bellow ben conosceva), uno dei personaggi di Roth più riusciti in assoluto, tanto da sembrare vivo e pulsante persino attraverso la pagina scritta, il quale, tuttavia, ha altresì il potere di irritarci coi suoi monologhi interminabili e di suscitarci qualche legittimo sospetto.
Un romanzo imprevedibile, acuto, lucido e incisivo, ma anche breve e succinto, che procede rapidissimo, tra un'autoanalisi e una riflessione, ma sempre con una risata a fior di labbra.
Un romanzo che intrattiene, che fa compagnia, ma che aiuta anche a crescere, che arricchisce, e mette la coscienza di Zuckerman sotto un microscopio, permettendoci di intravedere pure la nostra, senza retorica e senza lo scudo delle consuete difese.
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