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venerdì 20 dicembre 2019

L'incanto tipico del Re

L'ISTITUTO
di Stephen King


Un bel romanzo, molto trascinante, che non arriva ad equivalere ai vecchi, mitici successi di King, ma che è senza dubbio il migliore di questi ultimi anni. Con passaggi squisitamente spaventosi, sebbene non in termini canonici (e per questo, se vogliamo, persino più ipnotici), e l'incanto, tipico del Re, delle descrizioni relative a quella meravigliosa fase della vita sospesa tra infanzia ed adolescenza, con le sue ingenuità e assolutezze. 
Lo spunto di base è davvero stuzzicante e pure la partenza, dopo un primo assestamento, è grandiosa: per tematiche e per modo di narrare, che sa di fiaba, ma anche di verità. E ancora di più, sono i personaggi a conquistarci. Non tanto il protagonista, troppo perfettino e perbenino per piacerci sempre e fino in fondo, quanto il piccolo, dolce Avery, con il suo bagaglio di insicurezze e fragilità.
I brani centrali relativi all'Istituto e ai suoi misteri sono terrificanti e bellissimi, superbamente calibrati in quanto a climax e progressive, misurate rivelazioni, e fanno venire una voglia matta di divorasi il libro a quattro palmenti, senza deludere, peraltro, quando si arriva alle spiegazioni vere e proprie, che, anzi, rendono tutto ancora più terrorizzante. Persino in quanto ai dettagli. 
Il problema è dopo. 
L'ultima parte (cento? Duecento pagine?), in cui King si smarrisce nell'action. La lettura inciampa, diviene più faticosa, e l'interesse scema un po'. Sa di superfluo, di già sentito. E comunque insufficiente persino sul piano del mero intrattenimento, forse a causa del repentino cambio di stato d'animo che si infligge ai lettori, uccidendo i toni della narrazione, ed insistendo con una serie di scene che risultano meno emozionanti dei sentimenti in gioco.  
Ma il complesso è più che buono, oltre che ricco di riflessioni etiche di varia portata, sovente dai contorni illusori. Mai preponderanti sulla trama, ma presenti e stuzzicanti.
Lo stile, in ultimo, almeno nella parte centrale e più lunga del romanzo, è quello impeccabile di Zio Stevie: scorrevole, ironico, disinvolto, ma attento a catturare ogni istante, in ogni sua rifrazione, con tutti i suoi stimoli tattici, olfattivi e visivi. Tra l'altro congiunto, come nel miglior King, ad un'analisi psicologica così raffinata e perspicace – nei confronti dei piccoli protagonisti, ma anche dei cattivi, non sempre stereotipati, ed anzi, tali da sfavillare per realismo anche quando si dimostrano tragicamente irredimibili – da farci dimenticare di muoverci in una realtà fittizia. 
Complimenti!!!

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