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venerdì 3 maggio 2019

Il dio denaro colpisce ancora

IL RITORNO DI MARY POPPINS
di Rob Marshall
(2018)


Avevo ragione a non volerlo vedere: è l'ennesimo sfruttamento di uno dei miti della mia infanzia, che, per l'occasione, viene insozzato e massacrato in nome del dio denaro.
Ma dopo Star Wars non dovrei più stupirmi di nulla.
Ad ogni modo, anche in questo caso, il seguito rasenta pericolosamente il remake: mutatis mutandis (la sindacalista al posto della suffragetta, la gita nella porcellana anziché nel disegno, il lampionaio al posto dello spazzacamino...), i moduli narrativi sono gli stessi, così i conflitti (che qui appaiono pretestuosi, se non ridicoli) e identiche risultano persino le battute. Un omaggio? No, quando le ripetizioni sono così tante, pedisseque e sistematiche la tesi dell'omaggio proprio non regge. 
Le idee nuove, infatti, si riducono alle ovvietà sull'età adulta di Jane e Michael e a qualche concessione nostalgica, ma tutt'altro che rivoluzionaria, per ingraziarsi i fan, frammista a cliché di repertorio stantii. Persino le canzoni sono lagnose e prive di verve.
La squallida ricerca del patetismo è stemperata dai suoi presupposti caracollanti, i colpi di scena sono telefonati, le figure genitoriali, se vogliamo, e Michael in particolare, sono il triste specchio dei tempi. Emily Blunt è brava e si impegna, ma è troppo leccata, pomposa, e priva della grazia leggera e della naturale simpatia di Julie Andrews. Il lampionaio in sostituzione di Berth è vivace, ma non abbastanza. 
C'è qualcosa che ho davvero apprezzato?
Sì, gli effetti speciali.
E il fatto che, Julie Andrews, piuttosto che interpretare il cameo finale – ceduto ad Angela Lansbury –, abbia preferito doppiare il Karathen in Aquaman.

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