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domenica 8 settembre 2013

Però, wow...


TV 3D

 
Dobbiamo ancora decidere se siamo amici o nemici. Di certo non l’ho mai voluta ed anzi sono sempre stata diffidente nei suoi confronti.

Però, wow, è pazzesca!

Ti sembra di essere sulla spiaggia, di venir divorato dagli squali, a tratti ti confondi e ti metti a toccare in giro per verificare se quella farfalla è entrata dalla finestra o è virtuale perché l’effetto 3D non è circoscritto allo schermo ma si proietta nella stanza e si ripartisce su diversi piani di profondità. Però… sono tutti pregi questi?

Di certo la visione non provoca mal di testa e non crea inconvenienti di alcun tipo. Gli occhiali elettronici sono comodi e leggeri e anche se io sono allegramente miope e porto già gli occhialazzi da vista non avverto alcun fastidio, né durante né dopo, ed anzi tendo a dimenticarmi di avere su entrambi in contemporanea. Tecnologicamente parlando è un vero spettacolo, ma è questo il punto… Non è troppo? Non uccide l’immaginazione? La poesia?

Io voglio essere suggestionata dalla trama, dai dialoghi, dall’atmosfera, non solo essere ammaliata da sterili effetti speciali (per quanto yeah!)… Eppure, ammettiamolo, a volte sono divertenti, specie con gli horror! Ti spalancano le porte di un mondo nuovo e ti fanno letteralmente saltare sul divano perché quelle stupide cose zannute ti stanno venendo addosso e anche se razionalmente sai che è tutta finzione la sensazione è così forte che non hai il tempo di rifletterci perché l’istinto ti ha già indotta a riparati dietro un cuscino!

Fico, no?

Ma ogni tanto… Non più di una volta a settimana… Perché i film in 2D sono più poetici, meno faticosi: ti lasciano gustare il film in pace senza costringerti a ginnastica imprevista, concedendoti lo spazio mentale di concentrarti anche sulla storia narrata anziché imbambolarti con il loro fascino ammaliante e superficiale (parzialmente demoniaco)… Oppure, semplicemente, parafrasando Danny Glover in “Arma Letale”, io sono troppo vecchia per queste str…ate.

sabato 7 settembre 2013

Attualissimo...


GENERAZIONE PROTEUS
di Dean Koontz

 
In generale Koontz non mi piace molto: i romanzi che ho letto di lui (non più di due o tre, lo ammetto e più legati all’horror che alla fantascienza) mi sono apparsi banali, noiosi, prevedibili, dallo stile scorrevole ma non eccelso.

“Generazione Proteus”, però, è magnifico.

Attualissimo, eppure scritto circa quarant’anni fa.

Che succede?

Che tu sei una giovane donna e hai una bella casa automatizzata, ma il sofisticato computerone che la controlla decide di imprigionartici dentro e fare un figlio con te. Semplice, affilato e geniale.

E naturalmente solleva una serie di problematiche interessanti, facendoti riflettere, creando malessere, imponendoti di pensare. Ma dopo. Perché prima sei troppo affascinato da questa trama che ti tiene perennemente sul filo del rasoio, con una scrittura che alterna il più totale, sobrio distacco (il narratore è il megacalcolatore) all’ardore dell’innamorato maniaco e tecnologico.

Pura destabilizzante, meravigliosa fantascienza.

Anche perché il nostro Proteus non è impazzito come Hal 9000 in “Odissea dello Spazio”, oh no… Lui, semplicemente, si è evoluto, ha sviluppato emozioni, desideri e tutto sommato cerca di restare al passo con se stesso perseguendo la felicità. A scapito della malcapitata protagonista.

Il romanzo è piuttosto breve (nemmeno 200 pagine), dallo svolgimento rapidissimo, ma ti travolge a furia di colpi di scena tanto che arrivi alla fine col fiatone (in senso positivo).

Una meraviglia!

venerdì 6 settembre 2013

Siamo al cospetto di un capolavoro...


JONAS FINK
di Vittorio Giardino

 
Per me questa graphic novel rappresenta il Giardino migliore: il più poetico, il più intimo, il più impegnato socialmente e politicamente, privo di paternalismo o retorica, ricco invece di umanità e sentimento, eppure asciutto, essenziale, efficace… E ciò nonostante meticoloso, accurato, nei testi e nei disegni, poiché qui nulla è superfluo, benché dettagliato, e tutto è perfetto. In ogni immagine, in ogni dialogo sono sottesi significati, allusioni, implicazioni che consentono una lettura a più livelli e che coinvolgono il lettore senza la necessità di esplicitare o di mostrare a tutti i costi.

Siamo nella Praga stalinista del 1950 quando il papà di Jonas, il nostro protagonista, viene arrestato in qualità di “nemico del popolo”, reo di essere un dottore. Jonas e sua madre, quindi, ex borghesi benestanti, devono velocemente apprendere l’arte della sopravvivenza e imparare a lottare contro la diffidenza e la discriminazione.

Questo, sommariamente, è quel che avviene nel primo volume “L’infanzia”, mentre nel secondo “L’adolescenza” (da millenni aspetto con ansia il terzo e ultimo volume, e finalmente pare sia di imminente pubblicazione) la vicenda si fa più complessa, più avvincente, aumenta di spessore, si accresce il numero dei personaggi e Jonas scopre l’amore, naturalmente difficile e contrastato.

La verità è che siamo al cospetto di un capolavoro.

Il tratto di Giardino è il solito: raffinato, elegante, pulito, degno della tradizione del fumetto d’autore alla francese. La storia è intima, tetra (anche se “la notte più scura eterna non è” – cito a memoria, potrebbero esserci inesattezze), realistica, ma non melensa, i riferimenti storici sono importanti, ma non invadenti: sono occasione, pretesto, benché non si trascuri la denuncia sociale. La narrazione è superba, mentre i personaggi, compresi quelli che occupano appena poche vignette, sono sempre connotati da una forte identità umana, seppur magari sottintesa.

Un romanzo di formazione tra i più splendidi che abbia mai letto, profondo, toccante e incisivo.

Sperando solo che arrivi presto il tanto sospirato volume conclusivo, che attendo ormai dai tempi dell’Università… Perché, al momento, per quanto mi riguarda, l’unico difetto di “Jonas Fink” è che… non è finito!

giovedì 5 settembre 2013

Senza eccessivi entusiasmi...


LA NOTTE HA CAMBIATO RUMORE
di Maria Duenas

 
Sono stata attratta dallo splendido titolo, peraltro riconducibile al romanzo solo in virtù di uno sforzo ermeneutico, ma non sono rimasta delusa.

Il testo conquista sin dalle prime righe, però subisce qualche calo di ritmo nelle successive 700 pagine, tanto che, distratta anche da altre letture, ad un certo punto ho temuto di abbandonare... La verità è che non bisogna scoraggiarsi, perché vale la pena di arrivare alla fine.

In effetti, non è proprio il tipo di libro che sono portata ad amare (più destinato ad un pubblico di donne che a me, più simile ad un'amanita muscaria, ossia ad un fungo allucinogeno, che ad una persona), però l'ho letto volentieri, senza eccessivi entusiasmi, magari, ma con ponderato, quieto piacere, come una tisana dal gusto classico sorseggiata in un tramonto autunnale.

Mescola melodramma amoroso e avventura, thriller e storia, senza essere troppo impegnativo e rinnovandosi nel cambio di registro. La vicenda punta ad emozionare (per quanto mi riguarda, incuriosisce più che travolgere di passione) con uno stile scorrevole che però non rinuncia del tutto alla bellezza in ragione della funzionalità, ed anzi il romanzo vanta alcune descrizioni pregevoli, costruendo un'atmosfera soffusa, speziata, femminile e fascinosa, con delicate pennellate di colore locale.

La vicenda si dipana tra gli anni '30 e '40, fra Madrid, Tangeri, Tetuàn e Lisbona, proponendo una protagonista - la sartina Sira Quiroga - dal carattere un po' esasperante, che però riesce a reinventarsi in fretta regalando una svolta inaspettata alla trama.

Se vogliamo, benché non manchino spunti originali (quanto ho apprezzato la rappresentazione del lavoro in atelier!), l'opera sfrutta formule abbastanza ricorrenti nella narrativa contemporanea, ma sorreggendola, appunto, con la scrittura garbata, un'atmosfera ammaliante, e anche uno stuolo di personaggi variegati e caratteristici, che mi sono piaciuti tutti, benché non mi sia affezionata a nessuno. Nel complesso: carino.

mercoledì 4 settembre 2013

Sbrodolamenti sentimentali ottimamente calibrati


LA LEGGENDA DEL CACCIATORE DI VAMPIRI

 
E va bene, a sentire la trama è proprio una boiatina... Perché Abramo Lincoln, il Presidente USA, oltre che impegnato politicamente, è stato addirittura un epigono di Van Helsing e ha giurato vendetta alla stirpe delle tenebre dopo che i succhiasangue hanno ucciso la sua mamma mentre era un ragazzino... Improponibile? Barbaro? Atroce? Forse… Però il film non è malaccio, ed anzi io me lo sono proprio gustato: buon ritmo, combattimenti vivacissimi e ultra-spettacolari (che non si limitano alle armi tradizionali, ma che, ad esempio, coinvolgono pure... i cavalli!!!), qualche risvolto storico abbastanza apprezzabile, sbrodolamenti sentimentali ottimamente calibrati, il problema del razzismo sviluppato su almeno due piani, l’esaltazione dell'amicizia (elemento graditissimo) e persino... una trama quasi credibile, chi l'avrebbe detto? Non che uno possa scambiarla per una rivisitazione veritiera, ma certamente ha la sua coerenza narrativa e finisce per essere piacevole... Seppure, poi, qualche perplessità alla fine ti resti, ma trascurabile.

Ad ogni modo l'obiettivo, che presumo fosse realizzare un buon film di intrattenimento, leggero e adrenalinico con tocchi di epicità, è stato centrato, e tanto basta, con tutto che anche la miscela horror/azione/storia è discretamente riuscita...

I vampiri sono cattivissimi come raccomanda la tradizione, ma c’è anche qualche momento divertente, i personaggi (compreso quello della moglie di Lincoln) sono azzeccati, e la fotografia è notevole.

Insomma, nonostante le pessime premesse, l'ho visto volentieri (ma in alcuni punti mi è parso una versione alternativa di “Fever Dream” - di cui ho letto solo il fumetto - di George “ Trono di Spade” Martin) per cui, in altri termini, a meno che non siate degli “snobissimi snob” (nel qual caso mi spiace per voi) posso anche consigliarvelo!

martedì 3 settembre 2013

Un romanzo che va centellinato


IO SONO FEBBRAIO
di Shane Jones

 
Un romanzo insolito, che si costruisce a piccoli brani, con minuscole frasi, preziose e suggestive (i bambini che giocano alla Profezia...) e spazi vuoti, che compongono quadri astratti, ma anche emozioni sanguinanti.

E' una fiaba dolcissima, più bianca che nera, per via di tutta quella neve, per adulti cui piaccia sognare... Un po' apocalittica, decisamente poetica, narra di una guerra... a Febbraio. Sì perché il mese più freddo dell'inverno ha deciso di trattenersi per sempre nella nostra piccola cittadina di un tempo che non sappiamo e alla fine la scelta degli sventurati abitanti (che non possono più far volare aquiloni e mongolfiere) non può che essere la ribellione... Alle armi, dunque! Ma anch'esse saranno inconsuete.

Un'allegoria che sa di magia, musicale, evocativa e piena di puntini di sospensione, che porta seco riflessioni stratificate, talvolta ambigue, sfuggenti, che non si riescono ad afferrare del tutto, e pensieri funesti, immagini crudeli, ma che permettono anche di intravedere la luce.

Si tratta di un volumetto brevissimo pubblicato da ISBN in edizione tascabile ma molto curata, con tanto di cofanettino.

Mi è piaciuto abbastanza, pare scritto per me, ma la sua frammentarietà non consente una lettura troppo rapida, o si corre il rischio di stancarsi, o di smarrire qualcosa per strada (magari la sanità mentale...) o di perdersi nei meandri nella narrazione, rimandone prigionieri per sempre, avviluppati da un senso soffocante di tristezza.

E' un romanzo che va centellinato, invece, gustato lentamente, immagine per immagine... In questo modo, è una promessa, il profumo di fumo e di miele non vi lascerà mai più.

lunedì 2 settembre 2013

Niente si può fare! Se si è me...


IL REGIME TIRANNICO DEL MIO PERFIDO MARITO


 
A conoscerlo superficialmente tutti pensano abbia studiato da Santo, invero il MPM nasconde un'anima bieca e oppressiva che lo induce alla tortura psicologica dei familiari, soprattutto a spese mie e di Dado.

Intanto ci ammorba con le sue ridicole classifiche di disobbedienza (io di solito sono etichettata come la più cattiva), neanche io e il nostro coniglietto fossimo i suoi sottoposti... Poi, come i santoni nelle sette sataniche, ci impone una serie di regole assurde e contraddittorie cui non possiamo che sottrarci o, è sicuro, impazziremo. Qualche esempio?

Devo usare cinque asciugamani diversi a seconda di quel che mi asciugo (ma guai a confondere i miei coi suoi, per dire, o a invertire faccia e mani... Anche se naturalmente lui ha diritto di farti i test per confonderti), mentre staziono sul divano devo andare a lavarmi le mani ogni volta che tocco qualcosa (telefono, pc, I-pod...), non posso giocare a Ruzzle perché tendo (secondo lui) alla tossicità, non posso “far parlare” peluches o calzini o altro (queste iniziative vengono accolte come attentati alla sua sanità mentale), non posso farmi minibibliotechine posticce sul divano (che sono un amore! E cui mi dedico solo in occasione dell'arrivo di un nuovo pacco libri da Amazon, e per non più di un paio d'ore), devo sempre indossare le ciabatte: guai ad andare scalza! (il mio prof. di criminologia lo identificava come il primo sintomo di un ambiente domestico afflittivo)... per tacere del fatto che, se guardiamo un film... Devo stare attenta!!! Non sto scherzando, peggio che a scuola, vengo pure interrogata! Neanche gli approfondimenti su IMDB mi sono concessi, magari per controllare la filmografia di un attore, o una ricerchina veloce su Wikipedia, per controllare un periodo storico o la biografia di un personaggio noto... Niente si può fare! Se si è me... Lui invece può dedicarsi a quel che gli garba, incluso trastullarsi con il portatile o con l'e-Book... Ogni tanto penso di ordinare un'ascia su Internet per decapitarlo, ma poi chi mi metterebbe su i miei Post?

P.S.

Chissà se questo in particolare subirà censure...

domenica 1 settembre 2013

Disturba, destabilizza, emoziona.


IL CIGNO NERO
(2010)
Un film allucinante, ossessivo, che prende le tue poche sicurezze, i tuoi punti di forza, rivelandotene la fragilità e poi stracciandoteli in faccia, mentre tu, complice con il volto incrinato, scottato, incerto, sei costretto a calpestarli e scendere nell'abisso, alla ricerca del tuo cuore, per scoprire che ad aspettarti c'è soprattutto la tenebra.
Le paure e le ansie di Nina, la protagonista, eterea e talentuosa ballerina classica, diventano le tue, e se vuoi conquistare il ruolo della tua vita (e forse la tua vita stessa) e non fartelo soppiantare dalla tua rivale, se vuoi crescere come artista e come persona, devi lottare contro di lei (o contro di te?) per raggiungere la perfezione. Che però non è solo tecnica, ma anche passione, violenza, sensualità... Ma se vuoi interpretare il Cigno Nero, oltre che quello bianco (che già ti calza a pennello, poiché ti rispecchia) devi spingerti oltre, corromperti, trovare il tuo lato oscuro. Ma attenta, perché quando quello emerge è avido e fagocita tutto. Anche noi.
Un dramma a tinte horror, con qualche tocco mèlo e qualcuno osé. Simbolico, allusivo, con intense sequenze oniriche, che ti scuotono e percuotono, fino alla paranoia.
Le inquadrature e gli stacchi diventano sempre più frenetiche, le atmosfere più angoscianti e claustrofobiche, le scene più morbose, finché la mente cede, crolla, ergendosi in tutto il suo splendore, rilucendo all'esterno, vibrando. Per la prima volta e per l'ultima, esaltata e travolta dalla follia .
Idealmente può essere considerato il seguito di “The Wrestler”, ma a me ha fatto pensare più a “Requiem for a dream”, sempre di Aronovsky, meno lineare, ma più intenso, più duro, senza riscatto alcuno e più ricco di spunti. “Il Cigno Nero” non è alla sua altezza, però è interessante, e se non posso affermare che si guardi volentieri (vocabolo inopportuno), resta comunque da guardare.
Disturba, destabilizza, emoziona.
E senz'altro rimane impresso.
Da segnalare la magistrale Natalie Portman, dall'espressività senza limiti, che, come al solito, quando compare illumina lo schermo. Ottima nei panni della “se stessa bianca”, superba come “se stessa nera”.

sabato 31 agosto 2013

Una figata assurda...


TWISTED TOYFARE THEATRE

 
Questo fumetto è una figata assurda e senza ritegno (e porrei l'accento su “senza ritegno”)!

Per ora ne sono usciti tre volumi (Saldapress), e sono uno più delirante dell'altro.

Sicuramente non può piacere a tutti: per apprezzarlo sono richiesti nerditudine vintage estrema e almeno un disturbo mentale... Io sono affetta da entrambi, e quindi sono un'accanita fan.

Intanto, perché questa serie mi fa schiantare dal ridere... E' divertente vedere i pupazzetti della Mego Corporation in azione: Spiderman o Thor uscire con le Barbie, i personaggi di Star Trek alle prese con i problemi quotidiani che può avere un giocattolo... O le incursioni occasionali de “I Masters, i Dominatori dell'Universo”...

Sì, le vignette non sono disegnate: il modello può essere davvero quello del fotoromanzo di Barbie, con le foto delle action figures cui vengono applicate le nuvolette parlanti... Ma questo è parte del fascino della serie, i cui protagonisti (tra i più svariati dei giocattoli anni '70) sono persino resi espressivi grazie agli occhi di plastilina.

Gli altri pregi sono lo humor, il senso del paradosso, e i numerosi riferimenti alla cultura Pop, puro cibo per nerds. Le guest star, infatti, sono innumerevoli e quando pensavi di aver visto tutto: voilà, salta fuori un Puffo!

Okay, sono delle scematine... Ma, per quanto mi riguarda, odorano di genialità e sono un vero sollazzo.

Come vivere senza?

venerdì 30 agosto 2013

Ha il culto per il vocabolo...


ALESSANDRO BARICCO

 
Credo di aver letto tutto di lui, compreso il saggio musicale su Rossini e “L'anima di Hegel e le mucche del Wisconsin” . Ho amato più di tutti “Oceano mare” e “Castelli di rabbia”, ma forse il più bello, quello meglio costruito, il più coerente, è “Seta” (magari dico così perché è il solo di cui davvero ricordo la trama). Le sue ultime pubblicazioni, “Mr Gwyn”, “Tre volte all'alba”, “Emmaus”... etc., mi entusiasmano meno, mi sembrano sempre più vuote di contenuti, ma pazienza.

Diciamo la verità: spesso gli incipit sono suggestivi, i personaggi interessanti (all'inizio), ma la trama si perde in se stessa, nel proprio autocompiacimento, nel proprio manierismo narrativo senza sbocchi che diviene gongolante autocompiacimento.

Invero, addirittura, talvolta la trama quasi non c'è, è più un pretesto per costruire scene, per permettere all'autore di mostrare quanto è bravo. A se stesso, si ha l'impressione, più che al suo pubblico. I personaggi sono nomi, atteggiamenti. Ombre.

Ho dei conoscenti che mi hanno confessato di tirare i libri di Baricco contro il muro per spregio. Di trovarli irritanti, stupidi, fini a se stessi. E quando Andrea De Carlo in “Villa Metaphora” fa lamentare il personaggio di Tiziana Cobanni per l'insulso e sterile libercolo alla moda che le ha regalato la figlia, ho proprio l'impressione che si alluda al buon Alessandro...

E quindi? E' davvero così terribile?

Può darsi, ma io lo adoro... Perché, sarà davvero l'equivalente letterario di un presuntuoso, vanesio, pieno di sé, però, misericordia, scrive da Dio!

Ha il culto per il vocabolo, per la parola, e la capacità di scegliere sempre quella esatta. L'unica. Quella che ti accoltella. O che ti permette di assaporare ogni frase come se fosse un dolce squisito, di coglierne l'aroma fruttato e l'intensità, di titillarti il palato con il suo retrogusto...

E' vero, di per sé questo non dovrebbe bastare, ma i suoi romanzi sono piccoli, brevi, e per quanto mi guarda, anche quando la loro consistenza è nulla, sono un piacere immenso. Più per le orecchie che per il cuore, va bene, ma sempre piacere e sempre immenso.

Per questo ho voluto anche i saggi, pure quando gli argomenti trattati non mi interessavano.

Perché a me Baricco fa davvero godere.

Perché quelli che scrive non sono romanzi, ma poesia in prosa, perpetui inni alla bellezza.

Se leggessi solo quelli, forse, lo ammetto, mi sparerei... Ma visto che leggo anche altro, aspetto fremente la sua prossima uscita.

giovedì 29 agosto 2013

Leggibilissimo, anche in treno...


I FRATELLI KARAMAZOV
di Fedor Dostoevskij

 
I punti di forza di Dostoevskij sono soprattutto quattro: lo stile perfetto, la profonda capacità di analisi, i personaggi e la trama.

Qui, in più, abbiamo una delle più sublimi e originali interpretazioni del Diavolo della produzione letteraria mondiale, espressione (secondaria, forse, ma così bella!) del dramma spirituale che pervade l'opera, e che ne è il paradigma, discendente dalla contrapposizione tra morale e libero arbitrio, fede e ragione.

Il romanzo è dunque sorretto da un impianto “filosofico” solido e particolarissimo che ne e la summa e il significato ultimo, fortemente religioso e profondamente umano ad un tempo.

Il pretesto narrativo è dato dall'omicidio di Fedor Karamazov, il terribile capofamiglia, che coinvolge tutti i membri della stessa e vede come primo indiziato il figlio maggiore, Mjtia... ma sarà davvero lui il colpevole? Ed è poi così essenziale scoprirlo?

La vicenda viene ricostruita nel dettaglio e trasuda turbolenta passione quanto riflessioni speculative. I tre fratelli (che in realtà sarebbero quattro) e i loro rapporti sono il vero motore dell'azione: stupendamente tratteggiati, completamente diversi, eppure tutti notevoli... Il più importante è Alëša, puro e spirituale, che in più passaggi ricorda il Principe Myskin de “L'idiota” e che costituisce il vero sostegno della famiglia. Ma il mio preferito, nonostante anche l'impetuoso peccatore Mjtia (poi redento) mi entusiasmi, è senz'altro Ivan, tormentato e arguto, intelligente e stimolante, il cui rapporto con Dio (la cui esistenza egli mette in discussione) affascina oltremisura e contribuirà a condurlo alla follia.

I tre giovani sono simboli, dunque, allegoria, esempio: di come affrontare il Supremo, di come vivere... Del Peccatore, dunque (Mjtia, il maggiore), dell'Uomo afflitto dai dubbi (Ivan), dell'Eletto di Dio (Alëša, il minore).

E poi c'è Smerdjakov, l'illegittimo, il tortuoso... E se Mjtia si redime, non a tutti è sempre concesso...

Lo stile è descrittivo, minuzioso, riesce a cogliere le infinite sfumature dell'animo umano nella loro intrinseca complessità, con i meccanismi e i ragionamenti che le muovono e determinano, arrivando persino a rivelare al lettore quelle di cui lo stesso è ignaro portatore. Ci si ritrova, dunque, in questo profondo sentire, ci si riconosce, come individui e come esseri umani, ritrovandosi ad avere maggior coscienza di sé.

A livello di trama, è una sorta di “Delitto e castigo” più “L'idiota”, più avvincente del secondo, più variegato del primo, e più bello di entrambi (anche se quell'attimo di consapevolezza che corre tra Resumichin e Raskolnikov, in “Delitto e castigo”, se non erro alla fine della IV parte, come singolo momento rimane insuperato).

All'inizio può essere un po' difficile da leggere: maestoso, immenso, richiede attenzione, concentrazione, ma quando vi si entra dentro davvero (e non è che occorrano poi troppe pagine) ci si sente risucchiare. La scrittura si fa fluida, scorrevole, con altissimi picchi di bellezza, istanti in cui ci si avvicina all'Assoluto, sentendo la vita pulsare tra le pagine e Dio guardarci negli occhi.

E l'ampollosità di alcune frasi, di certi costrutti, non si nota più, sparisce: il romanzo diviene leggibilissimo, anche in treno, possibilmente in occasione di un viaggio lungo. Perché la vera difficoltà, a questo punto, è riuscire ad interrompersi.

mercoledì 28 agosto 2013

Navigatori impalamentofili...


L'INSOSTENIBILE FASCINO DELL'IMPALAMENTO

 
Eh, sì, secondo le statistiche il mio post più popolare è quello sul disgustoso “Cannibal Holocaust”, da settimane in pole position, e le indagini sui motori di ricerca rivelano che molti (dal Brasile, dalla Spagna, dagli Usa e pure dalla Svizzera) approdano qui per caso, cercando “impalamento” o “impalamento donne”.

Che dire, se non: “Wow!”?


Ma che avrà mai sto impalamento da essere tanto appetibile?

E' un sistema di condanna/tortura dolorosissimo (che ovviamente porta alla morte del malcapitato), che, se vogliamo, è anche bello scomodello e poco dignitoso (indovinate un po' quali sono le varianti per l'inserimento del palo?)... Non è preferibile la buona vecchia crocifissione? (Su un numero della rivistina horror “Scanner”, in gioventù, avevo anche reperito un prezioso articolo sull'arte dell'autocrocifissione. Una vera chicca!)



Oh, lo so, pure l'impalamento vanta una tradizione nobile e antica: come non ricordare, ad esempio, la buona abitudine di Vlad Tepès (alias Dracula, ma non il vampiro di Stoker: l'ameno personaggio storico che lo ha ispirato), di pasteggiare nel suo bosco di impalati (chissà che buon profumino... Mmmm...)?

Però, davvero, come mai l'impalamento è così popolare? Morbosità? Sadismo? Gusto del macabro?

Su Wikipedia c'è una bella descrizione dettagliata su come praticarlo in modo corretto, perché, se si sbaglia, ahimè, non ci si può più godere l'agonia della vittima e si rischia che questa schiatti subito (Dio non voglia!).



Magari uno, scegliendo la morte per impalamento, pensa di andare sul classico, ma al momento non mi viene mente niente di più atroce... Però sarebbe davvero interessante conoscere le motivazioni intrinseche dei navigatori “impalamentofili”, quindi invito chi di loro dovesse inopinatamente capitare di nuovo in loco, di usarmi la cortesia di deliziarmi con un commento, adducendo, già che c'è, le sue motivazioni.

Grazie, e baci a tutti!

martedì 27 agosto 2013

Ironico e divertente, ma può irritare...


INTERROGATIVE MOOD
di Padgett Powell

 
Ossia un libro fatto solo di domande.

Una di fila all'altra, senza tregua.

Tante, diversificate.

Banali (ma che possono non esserlo a seconda di come le interpreti), provocatorie, pruriginose, profonde, intelligenti, personali e non.

Alcune destabilizzano.

Altre aiutano a riflettere.

Altre ancora ti lasciano lì, tra uno gnu e la critica kantiana.

Che il libro – indiscutibilmente originalissimo e geniale – piaccia o no dipende esclusivamente dal lettore, da quello che mette nelle risposte, da come accoglie le domande.

E' ironico e divertente, ma può irritare.

E' surreale, improntato al paradosso, ma può avere risonanze terribilmente serie e impegnative.

E' colto e non lo è.

Non si deve leggere troppo in fretta, né tutto di seguito, o il cervello rischia un sovraccarico, però è estremamente interessante, perché ti guida alla ricerca di te stesso, ti sprona, ti punzecchia. Ti stimola e ti disturba.

Un esempio?



Eccolo, tratto direttamente dal volume:

Le tue emozioni sono pure? I tuoi nervi flessibili? Che rapporto hai con le patate? Costantinopoli dovrebbe chiamarsi ancora così? Un cavallo senza nome ti rende più o meno nervoso di uno che il nome ce l’ha? Secondo te, i bambini hanno un buon odore? Se li avessi davanti a te in questo momento, mangeresti salatini a forma di animale? Potresti stenderti sul marciapiede e riposarti un po’? Volevi bene al padre e alla madre, e i Salmi ti sono di conforto? Se finisci all’ultimo posto in tutte le categorie, la cosa ti secca abbastanza da spingerti a risalire? Ti suonano mai alla porta? Hai qualcosa sul gozzo? Un novello Mendeleev ti potrebbe incasellare con precisione in una tavola periodica delle identità, oppure ti ritroveresti un po’ in tutti gli elementi? Quante flessioni consecutive riesci a fare?“



Pensi che leggerai questo libro?

lunedì 26 agosto 2013

Centra il bersaglio...


BLACK MIRROR

 
Che succede quando il progresso avanza e l'uso della tecnologia si distorce, sino a degenerare? Ce lo illustra questa serie Tv inglese, intelligente, alienante e feroce, con altissime punte di genio, consistente, per ora, in due stagioni di soli tre episodi ciascuna.

Ma si tratta di capitoli indipendenti, a sé stanti, che possono essere visti come minifilm da un'ora circa.

Il primo episodio, “Messaggio al Primo Ministro”, è micidiale: un terrorista mediatico rapisce la bellissima, amatissima (e immaginaria) principessa britannica: o il Primo Ministro si accoppia con un maiale in diretta Tv, o lui la uccide. Le decisioni vengono prese a suon di sondaggi... La visione ti smembra, un po' ti diverte, ti fa indignare ed inorridire. Soprattutto ti aiuta a riflettere, ma alla fine non offre soluzioni, solo una dimostrazione che ti lascia attonito, con la mascella per terra. Disarmante.

Il secondo, “15 milioni di celebrità”, è più lento, meno brutale, più romantico. Ma non per questo meno aberrante. A furia di pedalare su una cyclette puoi comprare gadget per il tuo personaggio virtuale: questo ha da offrirti la vita (e sei ancora fortunato, perché se non pedali a dovere vieni retrocesso)... Oppure, se accumuli abbastanza punti, ti guadagni il diritto di coronare il tuo sogno (o quello di chi ami) e partecipare ad un Talent show... Ma non è il più bravo ad essere premiato, e il premio può non essere proprio quello che credi...

Nel terzo, “Ricordi Pericolosi”, i ricordi possono essere registrati e rivisti a piacere, al costo di un caffè al giorno... E nel riguardarli si possono ingrandire i dettagli, ascoltare i dialoghi sullo sfondo, o nella stanza accanto... E scoprire cose che è meglio ignorare... Allucinante e desolante al massimo, ti lascia davvero l'amaro in bocca ed un senso di solitudine pazzesca, inconsolabile.

La seconda stagione conserva intatte le caratteristiche della prima, rinnovandole senza ripetersi: “Torna da me” è l'episodio che mi è piaciuto meno, troppo straziante (e un po' lento), in cui una donna perde il compagno e lo rimpiazza con un clone, ma “Orso Bianco” è un capolavoro (ma bisogna arrivare alla fine, per capirlo, benché io mi sia gustata ogni truce, abominevole dettaglio), mentre “Vota Waldo!”, in cui un comico virtuale vince le elezioni (ops!), è così attuale (e preoccupante) da far paura. Fanno quasi tutti paura, invero, questi episodi, perché toccano corde profonde, dolenti, attingendo alla fantasia di realtà distopiche, ma non così lontane, che ci ammoniscono, mostrandoci che cosa si nasconde al di là dello specchio... Perché la verità è che se continuiamo su questa china finiremo per scivolarci dentro anche noi, nello specchio, e ogni giorno facciamo un passo in più in questa direzione...

Una serie critica, grottesca, senza troppe sfumature (e qualche caduta di tono ogni tot), ma che sicuramente centra il bersaglio... E ci annichilisce.

domenica 25 agosto 2013

Un bell'intreccio intelligente...


IL NOME DELLA ROSA
di Umberto Eco

 
Umberto Eco, sommamente dotto, col pretesto di scrivere romanzi, modella invece trame (di solito dall'incipit accattivante) plasmandole a forma di contenitore per infilarci stralci di saggi travestiti da digressioni.

Tanti lo criticano per questo, ma a me (con l'eccezione de “Il Cimitero di Praga”, che ho trovato un po' noioso) questo suo vizietto piace da matti: in primis perché lo caratterizza rendendolo unico e diverso da tutti (e a me la varietà stuzzica), in secondo luogo perché o imparo qualcosa di nuovo o mi compiaccio di quel che già so, e intanto mi diverto a balzare da un argomento all'altro, come in una sorta di brain stroming. Insomma, viva Eco!

Ne “Il nome della Rosa”, però, mi sembra che la sua menzionata mania si sposi benissimo con la trama, che magari ne risulta appesantita nelle pagine iniziali (diciamo approssimativamente per le prime 200, che comunque ho letto volentieri), ma che poi decolla e finisce col fondersi perfettamente con essa, mentre l'azione prende il sopravvento sulle speculazioni storico-filosofiche.

Ad ogni modo, in questo romanzo (a differenza, ad esempio che ne “Il Pendolo di Foucault”, “Baudolino” o “La misteriosa fiamma della Regina Loana” in cui, al di là delle incursioni culturali, non c'è molta sostanza, né troppa fantasia, sebbene mi siano piaciuti tutti quanti) la storia è predominante e magnificamente costruita, e sono persino splendidi i due protagonisti, Guglielmo e Adso, perfettamente complementari, laddove di norma Eco sforna invece personaggi un po' piatterelli (senza offesa).

E' un giallo di ambientazione medievale, quello che andiamo affrontando, con un bell'intreccio, intelligente e ben congegnato, a cavallo tra bene e male, con risvolti semi-horror densi di fascino e inquietudine. A tratti, anzi, fa quasi accapponare la pelle dal terrore, rivelando i lati oscuri di un monastero, ma anche ammaliandoci mentre ci permette di scoprirne la quotidianità e le abitudini, calandoci nel contesto storico (XIV secolo) e dotandoci degli strumenti per comprenderlo appieno.

E' un libro impegnativo, d'accordo, ma, anche appassionante, e se si hanno fiducia e pazienza, è uno di quei capolavori che restituisce moltiplicato ciò che pretende. Personalmente l'ho trovato bellissimo, e quando l'ho finito mi sono sentita arricchita: non solo sul piano culturale, ma soprattutto spiritualmente e umanamente.

sabato 24 agosto 2013

Non è scritto in modo impeccabile...


AVVISO

Per una volta io e il Mio Perfido Marito abbiamo letto lo stesso libro, quindi abbiamo deciso di tentare un esperimento: recensione doppia. Qui la mia, sul suo blog (delittando.blogspot.com) la sua, con l'avvertenza che il mio tenero consorte pubblica alle 18:00 esatte. Bau! 



LA VERITA' SUL CASO HARRY QUEBERT
di Joel Dicker

 
Si tratta di una sorta di giallo, non proprio il mio genere, quindi procederò a tentoni, spiegando che cosa ho apprezzato e che cosa no, e infine tirando le somme.

La vicenda ruota attorno a molti interrogativi, ma il primo, il più importante, è: chi ha ucciso Nola Kellerman nel 1975? Il suo corpo è stato ritrovato oggi (2008) nel giardino del grande scrittore Harry Quebert, il quale diviene quindi il primo indiziato dell'omicidio e, a sorpresa, e con scandalo di tutti, ammette di aver avuto all'epoca (lui trentenne, lei quindicenne) un'intensa relazione con la ragazzina. Ad indagare allo scopo di scagionarlo, il suo pupillo, Marcus, affermato romanziere in crisi creativa.

Ebbene, ciò che ho amato di più sono l'atmosfera di sospensione, di mistero, ma anche di lieta quotidianità, che si respirano nella cittadina di Aurora, specie nel 1975 – che sì, sotto molti profili ricorda Twin Peaks (chi ha ucciso Laura Palmer?) ma questo è un punto su cui voglio tornare dopo –, e le disquisizioni sul significato (che diviene struggente alla luce delle rivelazioni finali) di scrivere e di “essere scrittore”, sul piacere e sull'impegno di dedicarsi solo a quello, e sul coraggio di rinunciare a tutto per coltivare il proprio sogno... E sono belli i consigli che Harry dà a Marcus a riguardo e che scandiscono i capitoli, e gli spostamenti temporali, e l'ambientazione...

Ci sono poi un buon montaggio (che pure potrebbe essere più rapido e incalzante), una solida struttura di base, edificata con intelligenza, e almeno un colpo di scena geniale, oltre che due momenti (quando Harry e Marcus si sono conosciuti, e alla festa in giardino di Tamara Quinn) di puro, assurdo, squisito divertimento.

Il libro, però, non è scritto in modo impeccabile: i dialoghi, che all'inizio si presentano come brillanti, vivaci e spiritosi, alla lunga appaiono tutti uguali ed assumono una nota di sempre più evidente stonata petulanza. I personaggi non sono quasi per nulla caratterizzati: ci vengono descritti, ma non mostrati, identificati più dal ruolo che rivestono che dalla loro (superficialissima) psicologia. E la tanto osannata Nola, in particolare, che cosa ha di speciale? Perché ad Harry Jenny sembra noiosa e Nola interessante? Misericordia, proprio non si comprende in che cosa si differenzino le due fanciulle, salvo che per l'età più consona della prima. In realtà, quasi tutti i personaggi si somigliano, sono piatti, incolore, e le loro motivazioni, spesso, risultano pretestuose. Il tentativo di sfumare il temperamento di Tamara con lo stratagemma del diario, poi, è totalmente gratuito e sembra un po' buttato lì. In effetti, i protagonisti, Marcus, soprattutto, sono uno più odioso e insulso dell'altro (Nola è inutile, persino irritante), con l'eccezione del marito di Tamara (adorabile e rassegnato), di Jenny (solo perché mi fa pena), e di Harry, che, almeno nelle prime pagine, mi suscita una punta di simpatia.

In quanto ai colpi di scena, è mirabile come si alternino, ma, con l'eccezione di uno (stupendo), li ho trovati prevedibili, già sentiti, per quanto non così spesso addizionati con tale copiosa abbondanza. Lo stile è scorrevole, funzionale, e le espressioni infelici (e sgradevolmente prosaiche) che fanno capolino ogni tanto, alla fine, nel contesto, sono scusabili...

Però non è credibile, a giudicare dagli estratti che ci vengono proposti nel corso della narrazione, che il celebratissimo successo di Quebert “Le Origini del Male” possa essere considerato un capolavoro! Da quel che emerge è a malapena un coacervo di banalità stucchevoli e senza sugo!

E veniamo al paragone con Twin Peaks. Qualche eco c'è, è innegabile, ma senza i fantasmagorici personaggi di Lynch, senza il lato oscuro della Loggia Nera, l'esoterismo, le magnifiche presenze inquietanti, il campionario immaginifico, la pazzia dilagante e l'ermetismo! Insomma, Aurora è graziosa, ma siamo ben lungi dal genio del Maestro!

Infine, la circostanza che, dietro la facciata incantevole del paesino, spuntino solo marciume e ipocrisia non è da confondere con la denuncia del perbenismo americano, ma semplice motore dell'azione, senza velleità (o capacità) di analisi o introspezione.

Ciò nondimeno, il mio giudizio complessivo sull'opera è positivo. “Harry Quebert” non mi ha fatto sognare e non è certo un capolavoro, ma è un buon romanzo di intrattenimento, gradevole, leggero, che scorre bene, e i cui pregi sovrastano i difetti.

Sono contenta di averlo letto, ringrazio a chi me lo ha regalato (con tutto che, in generale, mai nulla mi è più gradito di un libro)! In ultimo, già che al MPM piace dare le palle (a me no, ma mi adeguo)... et voilà 2,8 palle su 5. Meritatissime.