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giovedì 10 ottobre 2013

Spacciato come giallo


IL BIRRAIO DI PRESTON
di Andrea Camilleri

 
Un romanzo curioso, divertente e godibilissimo che si può cominciare dalla fine come da metà (o dal principio, se proprio si vuole...), in cui ogni incipit reinterpreta quello di un capolavoro della letteratura mondiale, e la cui trama si compone poco a poco, di tassello in tassello, colmando lacune e offrendo spiegazioni per fatti inspiegabili, ricalcati da verità storiche locali...

In effetti, la caratteristica più notevole è proprio il montaggio magistrale, anche se ragguardevoli (e forse più preziosi) sono altresì lo spaccato del mondo siciliano e vivacissimo di fine '800, le varie macchiette: toscane, lombarde etc. (e il relativo scontro di mentalità), la strabordante vis comica dell'autore, lo stile impregnato di dialetto, ma immediato e di facile lettura, e l'amaro e l'assurdo fusi insieme in una farsa ridicola, che però, come spesso avviene in Camilleri, riecheggia anche la denuncia sociale...

Invero, “Il birraio di Preston” che dà il titolo al romanzo è un'opera lirica che il prefetto toscano di Montelusa vorrebbe far rappresentare nel nuovo teatro di Vigàta... I Vigàtesi però si oppongono, ma il prefetto si incaponisce...

Seguiranno: incendi, colpi di moschetto, romanticismo e drammi...

Spacciato come giallo, è invece narrativa. Della più gustosa, breve e incisiva.

mercoledì 9 ottobre 2013

Film imperdibile!


CLERKS - COMMESSI

(1994)


Ai tempi, quando avevo saputo che il neo regista Kevin Smith aveva dovuto vendersi la collezione di fumetti per produrre questo film, girato in bianco e nero con un gruppo di amici per economizzare, mi ero intenerita e avevo comprato la VHS a scatola chiusa, senza aspettarmi granché, più che altro con l'intento di contribuire, pur nei limiti delle mie possibilità, a finanziare questo sconosciuto e coraggioso artista...

Ebbene, la verità è che ero rimasta più che entusiasta, quasi folgorata! Questa pellicola è una perla! Insuperata da tutta la futura produzione di Smith, inclusi i film in cui ritornano i miticissimi personaggi di Jay e Silent Bob (interpretato dallo stesso regista).

Dunque, che dire?

Che mi piacciono la trama, i personaggi (soprattutto Randal, è inevitabile), le situazioni, la “nerdaggine”... Che i dialoghi sono una meraviglia, specie la discussione sulla trilogia di “Star Wars”. Che è innovativo, divertente, caustico, dissacrante, alternativo e geniale. Che è pure politicamente scorretto, qualità che apprezzo sempre, con accenti grotteschi e continue sorprese.

Racconta di una giornata tipo di Dante, commesso in un negozio di alimentari nella periferia del New Jersey, con una fidanzata dolce e premurosa che spesso viene a trovarlo portandogli spuntini e cavandolo dagli impacci, e un amico come Randal, commesso al vicino videonoleggio, irresponsabile, cinico, e dispettoso provocatore. Poi ci sono i piccoli spacciatori locali, Jay e Silent Bob (che di norma non parla, ma quando apre la bocca dice sempre qualcosa di profondo), la colorita clientela (tra cui un vecchio signore che necessita della toilette :)) e... Maledizione, la vecchia (opportunista e fedifraga) fiamma di Dante, mai dimenticata, sempre rimpianta, che torna all'attacco e si dichiara ancora innamorata di lui, complicandogli un bel po' le cose...

La verità è che capita di tutto, si muore dal ridere (o si muore e basta, a seconda dei casi), si gioca a hockey, ci si delizia con dialoghi surreali, e si medita un po' sulle cose della vita (niente di troppo elevato o filosofico, magari, ma non per questo meno importante)...

E' vero, lo spaccato che ne risulta alla fine può risultare desolante, ma non ci deprime, perché prevale il lato pittoresco e brioso...

Film imperdibile!

Curiosità: 1) come già accennato, Jay e Silent Bob ritornano in svariate pellicole di Smith, ma anche in qualche (strepitosa) avventura a fumetti;

2) di Clerks esiste un sequel, Clerks II, del 2006 (cronologicamente successivo, ma che in realtà sembra più un remake), molto, molto, molto carino (come dimenticare il troll Pio Bernardo?), ma purtroppo non all'altezza del primo.

martedì 8 ottobre 2013

Sulla collina


CONIGLI

racconto dedicato al Ragno picculo
(e a Dado che oggi compie due anni!)
 

C’è una collina isolata, bellissima, su cui splende sempre il sole: è quella dei conigli.
Sulla collina non ci sono ciliegie gialle o ciliegie blu. E’ un luogo vero, reale e le ciliegie sono tutte rosse, solo rosse, ma di solito i bambini preferiscono le fragole.
Sulla collina ci sono Jim e Stacey e hanno dodici anni e sono amici e trascorrono molto tempo insieme. Stacey abita in una casetta su un albero con la sua sorellina Patty; Jim vive da solo in una caverna, ma i conigli lo vanno spesso a trovare.
Non ci sono adulti sulla collina.
E un giorno Jim si è avventurato a valle per cercarne qualcuno, e ha trovato un vecchio che stringeva in bocca imprecazioni, solo imprecazioni e qualche dente, e Jim l’ha preso a sassate e l’ha fatto morire.
Per forza, perché gli adulti sono cattivi.
Sulla collina ci sono le uova, tantissime, nascoste, le uova che fanno i conigli.
Più colorate, meno regolari, più vive di quelle che fanno le galline. Si chiamano bambini.
Ma solo se indicate tutte insieme. I loro nomi, altrimenti, sono: Jim, Stacey, Patty, Alan, Lulù, Thomas, Horace, Deedee, Noddy, Ugo, Ricky, Greta.
Un giorno Stacey ha fatto notare a Jim che i bambini sono dodici, e che dodici è un bel numero e che forse piace anche ai conigli, perché a volte i bambini cambiano, ma il numero dodici è sempre costante.
Di tanto in tanto si incontra un fiore, ma pochi, perché ai conigli piace mangiarli. I fiordalisi, soprattutto.
Nel bosco, però, c’è anche un sentiero. Non è in mattoni gialli come quello della storia di Dorothy, ma ugualmente è bello, anche se sottile e difficile da vedere, e i bambini non sanno che esiste, e, se lo trovano, non lo dicono agli altri.
Il sentiero porta sulla cima della collina, all’imboccatura della grande tana dove dormono i conigli.
E chi ci entra viene sbranato.
Anche se è un bambino, e soffre, e grida.
Ma la cosa più spaventosa – la più terribile di tutte – sono i conigli con i baffi e le zampine e la bocca pieni di sangue.
Sangue di bambini, di solito.
Sulla collina ci sono Thomas, Deedee e Greta.
Thomas e Deedee ricordano vagamente un bambino che prima stava con loro al posto di Greta, e si chiamava Guy e aveva gli occhi scuri e luminosi, ma hanno perso ogni altra memoria, e vogliono troppo bene a Greta per cercare risposte.
Sulla collina non ci sono libri, non ci sono cuscini e neppure bambole e soldati di piombo. Però c’è una cesta di vimini, non grande, ma con disegni intrecciati e bei colori, e i bambini la usano come nave da viaggi, se riescono a entrarci, e ridono e immaginano luoghi diversi. Ma nessuno è bello come la collina, e i bambini lo sanno perché così hanno detto i conigli.
Un giorno Patty, immaginando, si è trovata in un mondo di giochi di luce e dolci squisiti, ma dopo alcune ore di divertimento, ha pianto perché non sapeva tornare, e voleva tornare. Non perché le mancassero Stacey o Noddy, a cui pure è affezionata, ma perché lì non era la collina e la collina è il posto più bello, e lei aveva perso del tempo in un posto che non era il più bello.
Ma i conigli la fecero cadere dal cesto e lei li abbracciò dicendo che l’avevano salvata.
Sulla collina è pieno di ciliegi, ma c’è anche una quercia e nella quercia dimora Alan, mentre sopra essa, in mezzo alle ghiande, sta Ugo con le lentiggini e un buffo nasino.
A volte Ugo porta con sé un coniglietto sugli alti rami, a fargli compagnia, o invita Jim e Thomas, ma più spesso si chiede perché non ci siano altri nel bosco, oltre ai bambini e ai conigli, perché dall’alto della quercia vede le mucche, gli uccelli e i cani. Ma non fa domande perché sa che nessuno risponderebbe, perché sulla collina è vietato rispondere alle domande, soprattutto se sono impertinenti.
Sulla collina non ci sono stagioni o minuti, ma esistono gli anni e i giorni, e questi passano, come negli altri luoghi, ma solo per i bambini – i ciliegi e i conigli non conoscono età – e quando diventano troppo grandi, e non sono più bambini, ma tredicenni, non possono rimanere sulla collina.
Probabilmente diventano conigli, pensano i piccoli, e così sono ansiosi di crescere perché nulla è più bello che essere conigli.
Sulla collina è venuto un pezzetto di cielo e si è disteso sino a formare un laghetto. ‘E turchino e stupendo e nel mezzo sta la ninfea di Noddy, e sotto, sotto il lago, il cunicolo della Grande Tana che porta all’aula del Consiglio. Qui si prendono le decisioni importanti, qui si decidono i nomi delle uova, qui i conigli stabiliscono come educare i bambini.
Un giorno il consiglio ha decretato che Ugo guardasse troppo lontano, dalla sua quercia, e così l’ha fatta tagliare, e anche Alan è rimasto senza casa, ma mentre lui è andato ad abitare con Deedee e Greta, Ugo ha preferito dormire sull’erba, per non guardare più, sebbene il ciliegio di Horace sarebbe stato più comodo, perché sentiva che sarebbe potuto succedere qualcosa di brutto.
Sulla collina ci sono Noddy e Ricky, e Noddy vuole bene soprattutto a Lulù e Patty, mentre Ricky è più affezionato ad Alan e a Greta, ma a volte giocano insieme tutti e sei e si divertono un mondo.
Sulla collina l’erba è sempre verde e soffice e rigogliosa e i bambini sono contenti che oltre a loro la calpestino solo i coniglietti, che sono leggeri e delicati, perché temono che altrimenti potrebbe rovinarsi.
Un giorno Thomas ed Horace hanno scoperto un animale che cammina a quattro zampe e si chiama cane scorrazzare sul prato. Prima hanno avuto paura, perché non sapevano che esistesse ed era grosso, poi l’hanno picchiato con un ramo di ciliegio, e forte, così da azzopparlo e farlo sanguinare, e il cane è scappato lontano, forse a valle, e la loro erba si è salvata.
Sulla collina si celebrano i compleanni e si mangiano ciliegie e fragole e tutti sono invitati, e si prende la cesta di vimini e si viaggia e si ride e si balla, insieme, conigli e bambini.
Un giorno Jim e Stacey hanno compiuto tredici anni e i conigli li hanno invitati presso di loro, nella Grande Tana, ma Jim e Stacey non sono più usciti, né sono usciti due conigli nuovi, ma solo i coniglietti di prima con le zampine e i baffi un po’ arrossati, con due uova diverse e piccole, Jessie e Sean, che però non c’entrano niente con Jim e Stacey, ma i bambini non ci fanno caso.
Non ci fanno mai caso.
Sulla collina abitano i conigli, e sono tanti, tantissimi, e non invecchiano né diminuiscono di numero, e hanno gli occhi rossi e sgranati, e con essi guardano ovunque, persino fra i pensieri. E chi pensa troppo a volte trova il sentiero che conduce alla Grande Tana, e i conigli lo aspettano con gli occhi rossi che vedono al buio e che non invecchiano.
Un giorno un bimbo di nome Guy l'ha trovato ed è sparito dalla memoria dei suoi amici.
Ma non è stato l’unico, l’unico non è stato, sulla collina.
La collina dove vivono i conigli.

lunedì 7 ottobre 2013

Domani...


CONIGLI

 
E' un racconto che ho scritto per il Ragno quando era piccolo e che sarà disponibile da domani (così è più difficile che mi si accusi di “Post lunghi”).

All'epoca Dado, il mio cucciolo peloso, non era ancora nato e io avevo un rapporto ambiguo con queste bestiole. A metà tra l'incanto e l'orrore.

In effetti, durante la mia infanzia c'era stato l'episodio che ho narrato nei “Raccontini Malati” (“Coniglietti”), mentre nei primi anni di scuola/catechismo venivo periodicamente costretta alla visione di quello che per me era un cartone animato truculento e tragico: “La Collina dei Conigli”, anche se ho già chiarito il punto nell'omonimo post dedicato al romanzo di Richard Adams...

Insomma, quando ho scritto “Conigli” del film ricordavo poco e niente, ma mi ero comunque ispirata alla mia percezione dei lagomorfi rielaborata dalla mia testa alla luce della nefasta pellicola (come mi appariva allora).

Il Ragno, che ai tempi aveva sui quattro anni, dopo che gli avevo letto la storia era scappato di corsa sull'orlo delle lacrime, traumatizzato. E aveva detto che io ero cattiva.

A Dado, invece, non l'ho mai mostrata.

domenica 6 ottobre 2013

Letteratura come fonte di riscatto


LE ORE
di Michael Cunningham

 
Romanzo breve e intenso in cui tre vicende, apparentemente slegate, compongono invece un unico affresco incentrato su Virginia Wolf (cui si fa omaggio sin dal titolo atteso che “The Hours” era “la prima stesura” di “Mrs Dalloway”).

Si narra della scrittrice e della sua depressione, che la condurrà al suicidio; si narra della apparentemente perfetta casalinga anni '50, Laura Brown, che leggendo la Woolf si deciderà a affrancarsi dalla sua prigione dorata, ed infine di Clarissa, editor newyorkese, simile al personaggio della Woolf, Mrs Dalloway, e così soprannominata, che deve affrontare la malattia del suo migliore amico...

La storia, però, alla fine è una, e parla della letteratura come fonte di riscatto e di significato. Le trame si annodano, si sovrappongono, a volte scopriamo che sono una la prosecuzione dell'altra, anche se non sempre i fili che le uniscono sono perfettamente coincidenti: nel tempo, a volte, qualcosa si sfalda, si perde o si sfasa, e questo rende la narrazione ancora più vera.

Un romanzo profondo, introspettivo, ricco di echi, in cui le cose non vengono dette, ma mostrate, cose che possono assumere sfumature diverse a seconda dello stato d'animo del lettore e che spesso, come nella vita reale, sono drammatiche, se non tragiche.

La struttura è perfetta, con un finale che unisce i puntini, i personaggi credibili, bellissimi, si riflettono l'uno nell'altro, mentre la scrittura, essenziale senza essere spoglia, è densa di atmosfere, percorsa da riflessioni intime e da attimi di autentica poesia...

Ho letto altri romanzi di Cunningham ma nessuno così eccelso, ed anzi altri, pur complessivamente gradevoli, mi sono risultati un po' lenti (“Giorni Memorabili”), e a tratti (“Una casa alla fine del Mondo”) persino vagamente dispersivi.

Da questo gioiello è stato tratto il film con Nicole Kidman, Susan Sarandon e Meryl Streep, splendidamente realizzato.

sabato 5 ottobre 2013

Straniante e tragico


AMERICAN PSYCHO
di Bret Easton Ellis

 
Violento, crudo, eccessivo, efferato, disturbante. Folle (la scena della pantegana e della vagina con il formaggio mi è rimasta scolpita in testa a distanza di millenni).

Il lato oscuro dello yuppie anni '80 che sotto i prodotti per la faccia nasconde solo il vuoto sospinto, specchio del malessere di una società senza valori, o meglio con valori privi di sostanza, superficiali, che sono pura esteriorità, come il conto in banca o il fisico palestrato... In cui persino i rapporti umani sono mera convenzione, senza sentimento e senz'anima, portati avanti perché questa è la normalità e in qualche modo il mondo ce la impone (ad esempio, si vedano le relazioni di Patrick, il nostro protagonista, con la fidanzata e con l'amante... Una via di salvezza forse ci sarebbe, con la segretaria, verso cui nutre qualcosa di autentico, che forse è amore, chissà, ma, ahimè, il fiore non viene colto)... Per cui, alla fine, assurdamente, la violenza è davvero l'unica via di fuga, la sola per affermare se stesso al di là dei capi firmati... Ed ecco perché deve essere così feroce, raccapricciante, distruttivo, ed ecco a che cosa è dovuto quel senso di impunità che permea il romanzo: perché, in questa accezione, la violenza è quasi un diritto, se non addirittura un dovere.

Ed in fondo, nonostante tutto il male che pone in essere, Patrick Bateman non è cattivo, per niente... E' soltanto amorale.

E questo, naturalmente, rende il quadro ancora più destabilizzante e straniante e tragico.

E lo stile? Com'è lo stile? Lo stile è brutto, chirurgico, senza bellezza, senza pathos, vuoto, maniacale, didascalico. Ovvero l'unico possibile, quindi, Bret, complimenti anche per questo.

Del resto, prima di arrivare alla parte violenta, l'autore ci esaspera q.b. con capillari descrizioni di prodotti estetici e abbigliamento griffato che a volte, più che ad un romanzo, fanno pensare a meri elenchi.

Personalmente questo libro mi è piaciuto molto, anche se certo non lascia sensazioni piacevoli e non è consigliato a persone impressionabili. Anche perché, sinceramente, è molto probabile che vi impressioni comunque. E non poco.

venerdì 4 ottobre 2013

Tre effervescenti nuclei familiari


MODERN FAMILY

 
Ossia la famiglia moderna in tutte le sue varianti attraverso l'esempio di tre effervescenti nuclei familiari imparentati tra loro che si raccontano con la tecnica (non troppo invadente) del finto documentario.

Indubbiamente bisogna riconoscergli il pregio di saper affrontare temi delicati e talvolta spinosi in modo onesto e disinvolto, senza ammorbarci con triti moralismi, ma puntando dritti al cuore delle cose. Sbagliando, sovente, ma sempre in modo costruttivo e divertente. Infatti, anche se purtroppo viene relegata in orario anti-bambino, questa è una sit-com e lo scopo è innanzitutto far ridere. E lo raggiunge: siamo ormai alla quarta-quinta stagione, e lungi dallo stancare, questa serie, in cui abbiamo potuto osservare i figli crescere e la famiglia ingrandirsi, ci ha regalato allegre risate come momenti in cui è impossibile non sbellicarsi... Senza dimenticare, però, di aiutarci a capire meglio le cose del mondo...

Il merito va anche ai personaggi, assai ben caratterizzati e pittoreschi, che tuttavia riescono a rimanere fedeli a se stessi, senza quegli assurdi cambi di personalità dovuti alle esigenze della sceneggiatura che affliggono altri telefilm (si vedano, ad esempio, “Glee” e “Desperate Housewives”).

Le famiglie sono tre: la prima, quella più “classica”, composta da Claire e Phil (uno squinternato agente immobiliare) e i loro tre figli: Haley (bellissima e non troppo sveglia), Alex (una “secchionaccia”, ma è il genietto di casa), Luke (dolce, creativo e tontolino).

Poi c'è la coppia gay formata da Mitch e Cam (e Cam è un mito!), che hanno adottato una bimba vietnamita (adorabile. Come direbbe Luke: è psicopatica e i suoi occhi non esprimono emozioni), rispettivamente figlio e genero di Jay, sposato in seconde nozze con la caliente colombiana Gloria (bomba sexy coetanea di sua figlia Claire, sorella di Mitch), divorziata e con un figlio di dieci anni circa, Manny (il mio preferito), ragazzino sgraziato e romantico, sensibile, iper-responsabile, amante della bellezza e straordinariamente colto.

Si tratta di una serie davvero frizzante, spesso imperniata sui contrasti fra i personaggi, che di primo acchito possono apparire un po' stereotipati, ma che invece sono ricchi di sfumature... Imperdibile!

giovedì 3 ottobre 2013

Si scivola nella paranoia...


L'INQUILINO DEL TERZO PIANO
di Roland Topor

 
Un romanzo brevissimo ed essenziale, dalle atmosfere kafkiane, che ti divora l'anima e il fegato lasciandoti spossato e angosciato...

Si comincia piano, in modo insinuante, per poi precipitare in un'escalation di tensione e orrori mentali che ti spersonalizzano, intaccano la tua identità, mettendoti in discussione sotto tutti i profili, portandoti a dubitare di tutto e in primis di te stesso...

La vicenda inizia quando il protagonista, il quieto ed educato signor Trelkovsky, si trasferisce in un appartamento la cui precedente inquilina è morta suicida. A poco a poco l'ordinaria vita condominiale si trasformerà in un inferno a causa dell'inspiegabile complotto architettato dai vicini.

Spesso si scivola nella paranoia, si cerca di razionalizzare, e ci si ingarbuglia ancora di più...

La fine è inevitabile, e per certi tragici versi giunge persino gradita, nonostante tutto, eppure quel tocco di circolarità che la caratterizza la rende infinita, spogliandola anche di questo, dell'amara e miserabile consolazione finale...

Curiosità: il fumetto “Dylan Dog: Gli inquilini Arcani” di Tiziano Sclavi e Corrado Roi, pubblicato eoni fa da Comic Art, è parzialmente ispirato al romanzo di Topor, specie in rapporto al primo episodio “Il fantasma del terzo piano”. Il tema della congiura dei vicini ritornerà più volte all'interno della serie regolare (mi pare di ricordare, ad esempio, una storia pubblicata in uno dei primi Albi Giganti, forse il secondo, e disegnata da Casertano... Il titolo potrebbe essere proprio “L'inquilino del Terzo Piano”, ma a volte la mia memoria fa cilecca...).

Curiosità 2: dell'opera esiste anche una versione cinematografica del 1976 (che però non ho mai visto) niente meno che di Roman Polanski.

mercoledì 2 ottobre 2013

Una nota malinconica e triste


FRANKENWEENIE

 
Nei lungometraggi animati di Tim Burton non mancano mai uno spiccato quanto delizioso gusto del macabro, una nota malinconica e triste, personaggi dolcissimi e un po' di magia astrattamente intesa... Questo film non fa eccezione, ed è stupendo!

I cani non mi sono mai piaciuti granché (troppo inflazionati e spesso gravati da padroni psicotici e odiosi), ma Sparky, così festoso, sorridente e con il musetto appuntito, è davvero irresistibile, soprattutto come interprete di “Godzilla” (vedi la pellicola casareccia che realizza con Victor, il suo geniale padroncino)! In un certo senso tutto dipende da lui, perché appena impariamo a conoscerlo e ad amarlo, il cucciolo viene investito da un'auto e Victor (che di cognome fa Frankestein!), un ragazzino/scienziato delle elementari, solitario e introverso, lo riporta in vita...

Questa la vicenda principale, con tutte le sue conseguenze, le sue implicazioni, e la sua morale, semplice ma condivisibile (non c'è scienza cattiva o scienza buona, ma gli usi che possono farsene sono svariati... e a breve ne avremo la dimostrazione pratica...), frammista, peraltro, ad altre tematiche care a Mary Shelly (l'autrice del Frankestein letterario... Con tutto che Burton sembra più memore dei film con Boris Karloff che del romanzo e che il suo Victor, sensibile e gentile, non è animato dalla sete di potere, ma dall'amore per il suo cagnolino) accennate, ma non approfondite e affrontate in modo soft, come ad esempio la reazione degli stupidi ignoranti nei confronti di ciò che non capiscono o le problematiche legate “al diverso”...

Ciò che però rende il cartone animato una vera perla sono le continue allusioni-citazioni horror (il maestro in stile Vincent Price, l'amichetto stramboide chiamato Edgar, come Poe, la barboncina con una “pettinatura” tipo sposa di Frankestein... etc.), i mostriciattoli che appaiono col dilagare degli esperimenti (con una risatina dedicata a Colossus e al suo padrone) e soprattutto i delicatissimi e adorabili personaggi: Sparky e Victor in testa, ma anche il maestro (che quando parla all'assemblea dei genitori fa un discorso magnifico, anche se induce i suoi unici sostenitori a mettersi le mani nei capelli), Toshiaki, splendidamente infido, e gli altri bizzarri compagni di scuola, molti dei quali danno l'idea di essere bambini defunti...

Che altro dire? Che “i pupazzetti” (mossi con la tecnica dello stop motion, in alcuni punti resa evidentissima, forse per riecheggiare i film di mostri alla Godzilla-Gamera) sono bellissimi, percorsi da una vena tenera e nostalgica, e che l'idea di realizzare il tutto in una sorta di morbido bianco e nero è davvero indovinata!

martedì 1 ottobre 2013

Avanguardistica e anticonvenzionale


ELFQUEST
di Richard e Wendy Pini

 
Un fumetto fra i più espressivi e splendidamente disegnati, in cui gli elfi vengono reinterpretati in modo accattivante ed originale dando luogo ad una società disinibita e tollerante, in cui tutti vengono accettati per quello che sono, la libertà sessuale è totale, avanguardistica e anticonvenzionale (per quanto resti fra le righe), e naturalmente vengono incoraggiati valori positivi quali coraggio, amicizia e amore.

Personalmente trovo alcuni personaggi un po' irritanti (tra cui Cutter, il protagonista), ma altri come Skywise, il suo migliore amico, sono così belli da superare l'antipatia per gli altri.

La saga (americana) risale al 1978 e qui in Italia è stata un po' bistrattata, arrivata in sordina quando ero all'università (con un discreto ritardo) e forse mai più ristampata, per questo, temo, non ha avuto il successo che meriterebbe... Miscela umorismo e avventura narrando le vicissitudini dei guerrieri Wolfriders, i nostri Elfi appunto, chiamati così perché cavalcano i loro amici lupi. La partenza è abbastanza tradizionale, con trascurabili risvolti fantascientifici, per cui la storia, in principio, mi ha avvinto più per i disegni che per le trame, ma poi ha cominciato ad evolversi, a trovare il suo filone, aggiungendo personaggi, approfondendo gli aspetti relativi alla vita degli Elfi, ai loro valori e abitudini, e, in pratica, acquisendo spessore.

Magari non è un capolavoro, ma sicuramente ha molti motivi di interesse, vanta idee innovative e un'anima libera.

Il mio augurio è che presto possa trovare il modo di essere riscoperta.

lunedì 30 settembre 2013

Shockante


Il PIANETA DELLE SCIMMIE
di Pierre Boulle

 
Classico della Fantascienza che ha ispirato film e telefilm, parzialmente diverso dal capostipite con Charlton Heston, ma comunque un capolavoro.

La breve cornice introduttiva (con i due personaggi che nello spazio recuperano il messaggio nella bottiglia – ossia sostanzialmente il romanzo – e che nel finale, scettici, si rivelano scimpanzé) è terribilmente scontata ormai (ma l'opera risale agli anni '60), tanto che non mi sono auto-censurata nemmeno lo spoiler... Tutto il resto, però, è intramontabile...

In sostanza atterriamo su questo mondo identico alla Terra in cui uomini e donne sono bellissimi (grazie all'evoluzione), ma ridotti allo stato bestiale, senza nemmeno facoltà di favella, ed infatti vengono cacciati dalle scimmie alla stregua di selvaggina. Scimmie che invece, suddivise in caste, governano il pianeta, indossano abiti, parlano e fanno esperimenti scientifici.

Il protagonista, il giornalista terrestre Ulisse Mérou, il narratore, dopo molti sforzi, riesce a farsi notare da una studiosa scimpanzé come creatura senziente, ma farsi accettare dal resto della comunità è un altro paio di maniche...

Il libro solleva molte problematiche, dando applicazione pratica (e fantasiosa) a teorie scientifiche quali la relatività e l'evoluzionismo... Mette in guardia gli uomini dall'impigrirsi troppo, specie a livello cerebrale, poiché è così che le scimmie hanno preso il sopravvento, e ci permette di immedesimarci nel prossimo sia esso “il diverso” o “l'inferiore”, invitando alla tolleranza e alla comprensione... Soprattutto, però, è coinvolgente (davvero non possiamo evitare di sentirci chiamare in causa in prima persona), fascinoso (soprattutto nelle parti relative alla descrizione della società scimmiesca e al destino dell'umanità), straniante, benché, inevitabilmente e volutamente, affligga il lettore con ondate di malessere toccando in lui corde profonde e dolorose. Shockante, ad esempio, è la sorte del Professor Antelle o di Arturo Levain, compagni di avventura di Ulisse Mérou.

Nel complesso, una lettura veloce, fluida, dallo stile asciutto, ma sovente percorso da afflati poetici. Una trama geniale e annichilente.

domenica 29 settembre 2013

Denso di risonanze


LA LUNGA VITA DI MARIANNA UCRIA
di Dacia Maraini

 
Soprattutto un romanzo sulla miserevole condizione della donna nell'arcaica e contraddittoria Sicilia del 1700, aberrante sotto molti aspetti, allucinante sotto altri, la cui protagonista, Marianna, nobile della famiglia Ucrìa, costretta a tredici anni a sposare il vecchio zio, tuttavia, anziché abbattersi su se stessa e ammutolire nella rassegnazione (espressione non casuale) riesce a trovare un modo per sopravvivere ed affermarsi, elevandosi al di sopra del mondo gretto e meschino che la circonda.

Il suo apparente handicap, infatti, il sordomutismo, non congenito ma sopraggiunto nell'infanzia, è dovuto ad un terribile segreto, facilmente intuibile, certo, ma che qui desta scalpore non tanto in virtù della prevedibile rivelazione -colpo di scena, quanto piuttosto per le sue implicazioni e per l'analisi puntuale – mostrata, più che argomentata – che l'opera svolge a livello sociale, storico e intimo.

Una vita lunga, dunque, quella di Marianna – come ci informa il titolo – in cui non accade nulla e succede tutto, in cui assistiamo al destino dei suoi familiari e seguiamo il suo, quello che lei decide di costruirsi, scoprendo a poco a poco che non è costretta a seguire le regole imposte dal suo ceto, e in cui i fatti sono importanti nella misura in cui assumono il suo punto di vista e con lei si confrontano.

Sotto il profilo narrativo è sicuramente un romanzo piacevole, con espressioni interessanti e garbate, uno stile scorrevole, ma puntiglioso, capace di emozionare e di suggestionare con le parole, senza limitarsi a confezionare frasi scontate, ma ricercando la bellezza in ogni vocabolo.

Breve, rapido, ma complesso, denso di risonanze, di musicalità, di dettagli fra le righe, e capace di lasciare una traccia di sé.

sabato 28 settembre 2013

L'uso improprio della "forza"

 
Caro MPM,
mi chiamo Luca Cielocamminatore e ti scrivo dal pianeta Tatooine, una amena località tra le stelle che ha tra i suoi maggiori eventi turistici il Rally delle Valli e l'annuale raduno dei cloni alpini, pressappoco come il vostro Col di Nava. Ultimamente ho litigato con il mio babbo che ha pensato bene di amputarmi la mia mano preferita, la destra, Federica. Come siamo giunti a tanto è presto detto... Poiché su Tatooine la vita sociale è inesistente, quando ho raggiunto la pubertà gli zii, presso i quali mi aveva mandato a stare papà, hanno pensato bene di regalarmi un bidone di lubrificante ed un bambolotto dorato dal nome impronunciabile. Ero talmente depresso... Fortunatamente, un giorno, il vecchio Chenobbio mi ha spiegato che noi uomini non abbiamo bisogno delle donne, basta che usiamo la mano con la "forza"! Quando è venuto a saperlo il babbo, miiii come si è arrabbiato! Ha detto che se avessi continuato, sarei diventato cieco. Mi ha costretto a fare i bagagli e ad andare dal nonno, Yomario, un vecchio botanico esperto di funghi e muffe. Forse pensava di farmi pensare ad altro, grazie a tutte le minestre del nonno e ai successivi "viaggi" che ci facevamo con le spore che il vegliardo raccoglieva. Poi però è arrivata mia sorella, con il fidanzato ed il cane, ed io ho sentito nuovamente pulsare con forza nella mano. Papà voleva portarmi da un chiropratico delle palpatine, io però mi sono chiuso nel suo ufficio,  allo Studio di Architettura Morte Nera, facendolo andare su tutte le furie. Avessi sentito come sbuffava! Così ha sfondato la porta e mi ha tagliato la mano. MPM, come posso fare ora?
 
Con i miei più cari saluti,
Luca Cielocamminatore
(luke@deathstar. sw)


Caro Luca,
il problema mi pare di facile soluzione. Hai mai sentito parlare di ambidestri? Occorre solo un po' di pratica e sono sicuro che troverai qualcuno che sarà disposto a darti una "mano". Magari chiedi al vecchio Chenobbio.

Un abbraccio
MPM

venerdì 27 settembre 2013

oh!


KILLER JOE
(2012)

C’è chi (My Movie), a proposito di questo film, parla di “un aggiornamento coraggioso dello stile tarantiniano” (parafraso)… Non sono assolutamente d’accordo! Ma che c’è di Tarantino, qui? Magari si può far riferimento ai fratelli Coen, ma non c’è abbastanza virtuosismo o divertimento per l’autore di Kill Bill… Violenza sì (ma neanche così tanta e sicuramente non così goduta), elementi pulp, okay, personaggi interessanti, sì… Ma, sul serio, mica basta, accipigna!
Ben inteso, il film è molto carino, una sorta di truce noir (che avrebbe potuto esagerare parecchio di più) che diverte e impietosisce al contempo, con una trama intelligente e sfiziosa e qualche colpo di scena… Però, davvero, le similitudini con il Maestro finiscono qui e sono superficiali! La pellicola è troppo amara, troppo dolente… Non che sia un difetto, è che le differenze sono più dei punti in comune, quindi che senso ha il richiamo? E’ sviante!
Comunque, la pellicola è assai gradevole, piena di tensione, un lieve tocco poetico, ma anche una manciatina di curiosità… Persino Matthew McCounaghey azzecca la parte, laddove di norma è solo un bellimbusto rigido e senza espressione, qui riesce a dimostrarsi eclettico, simpatico, dolce e… terrorizzante.
Interpreta Joe, un sicario a pagamento che viene ingaggiato dalla scalcinata famiglia di Emilie Hirsh (poveri diavoli senza un soldo e con poco cervello che abitano in una roulotte) per ucciderne la madre, separata e convivente con la nuova fiamma e che pare abbia una succulenta assicurazione sulla vita a favore della figlia minore. Ma naturalmente le cose non sono destinate ad andare lisce…
Sinceramente sono rimasta piacevolmente sorpresa, ma non ho avvertito l’esaltante scarica di energia tipica dei film di Tarantino… La maggior parte dei colpi di scena è prevedibile (ma non per questo meno apprezzabile), a tratti il film rallenta, si perde, inciampa, e nel complesso si ghigna meno… Però… Ecco, la fine è pazzesca.
Ti lascia lì, letteralmente, tra un’imprecazione e una “oh!” di sconcerto.
C’è chi non la troverà soddisfacente, ma per me è assurda quanto perfetta. Magari non originalissima, tutto considerato, ma calza così a pennello che: chi se ne cale? E alla fine non importa se sono stata tratta in inganno e di Tarantino spunta a mala pena l’ombra perché la varietà è sempre gradita.

giovedì 26 settembre 2013

Un dipinto del Romanticismo


PRIMAVERA

 
L'ideale quando si è ormai ufficialmente in autunno, ossia, come dico io, prossimi alla fine della vita... Ad ogni modo questo è il mio disegno più recente e risale, mi pare, a due anni orsono (non sono molto prolifica, in effetti).

E' ispirato ad un dipinto del Romanticismo, di cui, come al solito, non ricordo né autore né titolo e che sono troppo pigra per controllare. Del resto, dell'originale non resta più di tanto, perché l'ho “mostricizzato” e i colori tenui e delicati hanno assunto qui una sfumatura violenta... Se ha una forma inconsueta, sviluppata eccessivamente in orizzontale, è perché era nato per essere sfruttato come disegno su tazze... Solo che, dopo aver realizzato i prototipi (che ho regalato senza conservarne esemplari), il MPM si è dimenticato di proporle sul suo sito ufficiale e io non ne ho saputo più nulla...

Forse mon amour si era un po' scoraggiato perché alcune erano giunte difettose e la malvagia ditta realizzatrice non aveva voluto sostituirle, adducendo che rispondeva solo in caso di cocci...

La prossima volta provvederemo a spaccare le tazze, in caso di sbavature, e non far cenno ad altro.

Va mu... perché “Primavera”?

Perché a questo il disegno mi fa pensare...

Bau!

mercoledì 25 settembre 2013

Uno dei miei romanzi preferiti


IL BUIO OLTRE LA SIEPE
di Harper Lee

 
Dapprima si rimane incantati dalla prosa semplice e immediata della scrittrice, capace di coinvolgere sin dall'incipit, con simpatia e con leggerezza, anche se la storia che ci verrà narrata, per quanto vissuta attraverso gli occhi di due bambini, per quanto ci farà ridere e spesso sorridere, già lo sappiamo, ci toccherà nel profondo, scuotendoci la coscienza, commuovendoci, ed arrivando dritta al nostro cuore.

Poi sono i personaggi a rapirci: Scout, piccola e pestifera (sei-otto anni), irresistibilmente pragmatica, con una logica ferrea e implacabile capace di spiegare qualunque cosa, ma anche di porre le domande giuste, quelle che davvero ti mettono a nudo; Jem, suo fratello maggiore, più riflessivo, più sensibile, dolcissimo; e poi lui, Atticus Finch, il papà, l'avvocato che tutti vorrebbero avere, un uomo che, parafrasando le parole della vicina, “in casa si comporta come fuori”. Idealista, coraggioso, integerrimo. Eppure a vederlo è solo uno stanco gentiluomo di mezz'età, colto, gentile, placido, con un discreto senso dell'umorismo e la passione per la lettura serale. Chi lo direbbe che in gioventù con il fucile era il migliore della contea? Odia le armi e non ne possiede...

Conosciamo il paesino di Maycomb, nell'Alabama degli anni '30, le sue ipocrisie – che spesso ci suonano divertenti, fino a che non ci fanno indignare – la sua multiforme umanità (che sovente è qualcosa di più di quel che sembra, ma a volte anche qualcosa di meno), le vicine, l'assurdo metodo di insegnamento di Miss Caroline, e personaggi bellissimi, magari tratteggiati con poche righe, come la signora Maudie, o il signor Cunningham, o boo Radley...

La parte più intensa, però, quella più bella di tutte, è quella del processo, in cui sogghignamo con il Giudice, ci commuoviamo con Dill, speriamo con Jem... E poi ci arrendiamo di fronte alla realtà, trovandoci a fare i conti con essa.

E forse dei motivi per consolarci ci sono lo stesso, ma così piccoli, così minuscoli, che non è semplice coglierli.

Il tema affrontato è quello del razzismo, della discriminazione, che viene studiato da più punti di vista (“mettendoci nei panni degli altri”), svolto in modo quasi corale, grazie a più verità sovrapposte, di contorno alla vicenda principale, con un'acutezza dolorosa ed esatta, che Atticus, Scout e Jem ci permettono di interpretare nel modo più tollerante, ma anche più impietoso, accompagnandoci mentre traiamo le nostre conclusioni, dopo lo SBAM! che abbiamo preso in faccia.

Il finale, poi, ci sorprende con una morale implicita, suscettibile di ermeneutiche difformi, che potrebbe far discutere molto, ma che io trovo realistica, brillante e perfetta.

Sinceramente, questo è uno dei miei romanzi preferiti.

E Atticus è uno dei personaggi più belli della letteratura (anche se, non posso farci niente, io preferisco Scout).