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martedì 12 agosto 2014

Un romanzo ammazza ideali


Il GRANDE GATSBY
di Francis Scott Fitzgerald
 
 
In cui il protagonista, Jay Gatsby, appunto, rinuncia a tutto per coronare il suo sogno, che può assomigliare ad ambizione, successo e ricchezza, ma che in realtà è l'amore (anche se...). Solo che poi, una volta che ogni obiettivo pare conseguito, ogni impedimento defalcato, e ci si sente prossimi alla realizzazione di ciò per cui si è lottato, il sogno ci sputa in faccia e per noi rimangono solo la tenebra, il nulla e l'oblio.

Un romanzo ammazza ideali (ma forse perché si fondavano su premesse fallaci e illusorie) che denuncia un bel po' di storture e l'animo più grigio delle persone, che gioca sugli equivoci e la banalità, ma che al contempo ci conquista con il suo stile perfetto (il punto di vista dell'ingenuo Nick Carraway, l'unico personaggio realmente positivo di tutta l'opera) offrendoci splendidi ritratti: quello nudo e dorato di un'epoca, gli anni '20; quello di un uomo fascinoso e perennemente insoddisfatto, favolosamente pieno di contraddizioni e di ombreggiature, per cui non possiamo che provare ammirazione e compassione ad un tempo; e infine quello di una società sfarzosa, vivace, mondana e scintillante, fatta di polvere e di superficialità, effimera e traditrice.
 
  (Francis Scott Fitzgerald, caricatura del nostro disegnatore)
 
La trama di per sé non è eccezionale, ha il pregio di avere un sapore spietatamente realistico, di stuzzicare il lettore, di incuriosire, ma non va molto oltre. Eppure il romanzo è eccezionale lo stesso: per le sue descrizioni, per lo stile placido e inesorabile, ricco di verità presentate con brutale noncuranza e feroce arguzia, analitico, elegante, capace di cogliere con poche pennellate sensazioni e significati e risonanze, e poi di collocarle sotto la lente del microscopio, restituendocele avvolte in una luccicante carta da regalo.

E per il senso generale, che, se non conosciamo in anticipo la trama (e io non la conoscevo) prima ci spiazza e poi ci uccide. E a quel punto ci dà ancora un calcio. Ed è allora che finalmente realizziamo. Che capiamo che non è mero intrattenimento quello che abbiamo appena consumato, ma qualcosa di più profondo, di sofferto, di intenso, che va al di là della tragedia in sé, che comprendiamo essere un grido silenzioso che ci ha accompagnato sin dalla prima riga, pur mascherato, incantandoci, solo che non lo abbiamo saputo scorgere subito, rapiti com'eravamo da altre illusioni, e che ancora strilla, oltre l'apparenza, oltre l'esteriorità, nel dramma della solitudine.

Un urlo che è quello di Gatsby, ma anche quello di Fitzgerald.

2 commenti:

  1. Io avevo cominciato a leggerlo ma dopo qualche pagina mi ha "ucciso" e non sono riuscito ad andare oltre. Non è il libro giusto per me ... o forse era il momento in cui avevo iniziato a leggerlo a non essere giusto.

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  2. Essendo un classico, penso sia giusto per tutti... Certo, è vero che ne cogli per intero la bellezza solo dopo la fine... Io gli darei una seconda possibilità... Ciao!

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