Il
GRANDE GATSBY
di Francis Scott Fitzgerald
In
cui il protagonista, Jay Gatsby, appunto, rinuncia a tutto per
coronare il suo sogno, che può assomigliare ad ambizione, successo e
ricchezza, ma che in realtà è l'amore (anche se...). Solo che poi,
una volta che ogni obiettivo pare conseguito, ogni impedimento
defalcato, e ci si sente prossimi alla realizzazione di ciò per cui
si è lottato, il sogno ci sputa in faccia e per noi rimangono solo
la tenebra, il nulla e l'oblio.
Un
romanzo ammazza ideali (ma forse perché si fondavano su premesse
fallaci e illusorie) che denuncia un bel po' di storture e l'animo
più grigio delle persone, che gioca sugli equivoci e la banalità,
ma che al contempo ci conquista con il suo stile perfetto (il punto
di vista dell'ingenuo Nick Carraway, l'unico personaggio realmente
positivo di tutta l'opera) offrendoci splendidi ritratti: quello nudo
e dorato di un'epoca, gli anni '20; quello di un uomo fascinoso e
perennemente insoddisfatto, favolosamente pieno di contraddizioni e
di ombreggiature, per cui non possiamo che provare ammirazione e
compassione ad un tempo; e infine quello di una società sfarzosa,
vivace, mondana e scintillante, fatta di polvere e di superficialità,
effimera e traditrice.
(Francis Scott Fitzgerald, caricatura del nostro disegnatore)
La
trama di per sé non è eccezionale, ha il pregio di avere un sapore
spietatamente realistico, di stuzzicare il lettore, di incuriosire,
ma non va molto oltre. Eppure il romanzo è eccezionale lo stesso:
per le sue descrizioni, per lo stile placido e inesorabile, ricco di
verità presentate con brutale noncuranza e feroce arguzia,
analitico, elegante, capace di cogliere con poche pennellate
sensazioni e significati e risonanze, e poi di collocarle sotto la
lente del microscopio, restituendocele avvolte in una luccicante
carta da regalo.
E
per il senso generale, che, se non conosciamo in anticipo la trama (e
io non la conoscevo) prima ci spiazza e poi ci uccide. E a quel punto
ci dà ancora un calcio. Ed è allora che finalmente realizziamo. Che
capiamo che non è mero intrattenimento quello che abbiamo appena
consumato, ma qualcosa di più profondo, di sofferto, di intenso, che
va al di là della tragedia in sé, che comprendiamo essere un grido
silenzioso che ci ha accompagnato sin dalla prima riga, pur
mascherato, incantandoci, solo che non lo abbiamo saputo scorgere
subito, rapiti com'eravamo da altre illusioni, e che ancora strilla,
oltre l'apparenza, oltre l'esteriorità, nel dramma della solitudine.
Un
urlo che è quello di Gatsby, ma anche quello di Fitzgerald.
Io avevo cominciato a leggerlo ma dopo qualche pagina mi ha "ucciso" e non sono riuscito ad andare oltre. Non è il libro giusto per me ... o forse era il momento in cui avevo iniziato a leggerlo a non essere giusto.
RispondiEliminaEssendo un classico, penso sia giusto per tutti... Certo, è vero che ne cogli per intero la bellezza solo dopo la fine... Io gli darei una seconda possibilità... Ciao!
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