DIVERGENT
di Veronica Roth
Il
capostipite della saga fantascientifica per adolescenti ambientata in
un futuro distopico in cui la città di Chicago del futuro è
suddivisa in Fazioni: gli Abneganti, votati all’altruismo; i
Pacifici, che hanno come obiettivo la pace; gli Eruditi, dediti alla
conoscenza; gli Intrepidi, i coraggiosi, sostanzialmente dei soldati;
i Candidi, che dicono sempre la verità.
Gli
Abneganti governano, ma gli Eruditi vogliono il potere per loro…
La
protagonista, Beatrice/Tris, ha sedici anni, è un’Abnegante per
nascita, e ora deve scegliere a quale fazione apparterrà la sua
vita. C’è un test, una simulazione, che aiuta i candidati a
decidere: peccato che quello di Beatrice risulti inconcludente. Lei,
infatti, è una Divergente, non ragiona secondo schemi prestabiliti,
e questo è un problema, perché può decretarne la morte.
Fortunatamente viene aiutata… e opterà per gli Intrepidi.
Ebbene?
Ebbene,
il romanzo mi è piaciuto.
Sì,
è per ragazzine ed a tratti è un poco scontato, con molti risvolti
videoludici, però… però è coinvolgente, appassionante, e in
alcuni elementi si discosta dagli stereotipi del genere: Beatrice
stessa, ad esempio, non è la tipica bellona depressa, anzi è di
aspetto insignificante: bassina, minuta, con il naso troppo lungo e
gli occhi troppo grandi…
Anche
l’impianto fantascientifico è interessante, al di là dello
schematismo iniziale (come si è arrivati alle Fazioni? Che c’era
prima? Che c’è oltre la recinzione?) e spero che nel prosieguo
verranno approfonditi.
Lo
stile dell’autrice è semplice e diretto, la narrazione in prima
persona favorisce l’immedesimazione, ma di tanto in tanto compare
qualche sfumatura originale, qualche espressione particolarmente
secca e felice, che aggiunge valore.
Ma
soprattutto è avvincente la trama, che dà spazio all’azione, ma
altresì all’introspezione, al sentimento: all’amicizia, alle sue
asperità, all’amore, e ai suoi risvolti oscuri, ai legami
parentali e alla loro fragilità (la Fazione prima del sangue) o
forza… Non è un romanzo unidimensionale, dunque, presenta
ribaltamenti, insinua dubbi. Ma ha pure un ottimo ritmo, senza cali
di tensione, e più ci si avvicina alla fine, più è difficile
scollarsene. Anche perché, persino nei momenti in cui risulta più
prevedibile, riesce sempre a tirar fuori qualcosa di nuovo dal
cappello, che inevitabilmente attirerà la nostra attenzione.
D’accordo,
ricorda un po’ “Hunger Games”, ma le differenze sono maggiori
dei punti in comune, e poi… e poi chi se ne cale? “Hunger Games”
assomiglia a “Battle Royale”…
L’importante
è che “Divergent” sia riuscito a trovare un suo spazio e una sua
dimensione!
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