PASTORALE
AMERICANA
di Philip Roth
Dove
si canta del sogno americano e di come questo si infrange
tragicamente, in modo orribile e inaspettato, stagnando poi nel suo
stesso orrore, avvelenando e guastando ogni cosa, in dietro e in
avanti, fin nel midollo, rimettendo tutto in discussione dal
principio, tra sensi di colpa, lucide disillusioni e tremendo
sconcerto.
Il
narratore, come spesso accade in Roth, è il suo alter-ego Nathan
Zuckerman, che prende la storia alla lontana, precipitandoci in essa
a poco a poco.
Ci
presenta Levov, di origini ebraiche, ma soprannominato lo Svedese per
il fisico statuario e la chioma bionda, magnifico atleta, gentile e
popolare, ai tempi della scuola, e poi uomo realizzato, imprenditore
di successo, ricco, generoso, retto, che in più ha una moglie
bellissima.
Zuckerman
lo invidia, e se scorge delle ombre in lui, delle ferite aperte, le
minimizza: l’uomo
perfetto che ha avuto una vita perfetta, meritandosela,
l’incarnazione della realizzazione del sogno americano, doti e
fortuna amabilmente mescolate insieme.
Fino
a che non apprendiamo la verità. Che l’unica, adoratissima figlia
di Levov è in realtà una fanatica terrorista, che si è macchiata
di omicidio, che è scomparsa, senza fornire spiegazioni o scuse, e
che ha sempre attribuito la responsabilità di ciò che ha compiuto
ai genitori. Che odia.
E
questo, naturalmente, ha inghiottito tutto.
Una
storia cruda, straziante, indagata in termini psicologici di totale
assolutezza, catturando ogni ragionamento, ogni passaggio logico,
esitazione, tentennamento, sospiro. Sentiamo il peso del dolore, che
negli anni, anziché sbiadire, si fa più acuto, e che al contempo ci
permette di comprendere tante cose, sul piano umano e familiare, ma
anche sociale e antropologico.
Viene
infatti messa in luce la precarietà dell’equilibrio familiare, che
pensavamo certo e conseguito, e che invece è sempre stato pronto a
crollare, persino quando tutto ci sembrava andare bene ed eravamo
convinti che nostra figlia, dolce, intelligente, e graziosa,
ricambiasse il nostro affetto.
Un
romanzo bellissimo, e al contempo un’allucinante doccia gelata,
intensa, cerebrale, con momenti di cinica ironia e altri di fredda,
consapevole lucidità.
Illuminante
per lo stile sublime, pregevole per la grandezza della trama, per la
disinvoltura con cui ci vengono esplicate le contraddizioni della
società e della falsità di certe sue aspettative mal riposte,
l’ipocrisia radical-chic della cultura sinistrorsa e
pseudo-buonista, che in realtà è la cultura dell’odio,
rappresentata con dettagliata e chirurgica efficacia, nella sua
genesi individuale quanto nei suoi sviluppi e conseguenze.
Superbo.
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