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lunedì 24 luglio 2017

Gridare spesso non basta

TREDICI
di Jay Asher


Da dove cominciare?
Rispetto alla Serie Tv ci sono un sacco di differenza, relative ad eventi, successione temporale, personaggi e sviluppi.
Anche qui ci sono forzature e pretestuosità (la faccenda del cartello continua a non convincermi), però la maggior parte dei fatti risulta più logica, più naturale, specie per quanto concerne la psicologia di Hannah e il suo evolversi.
La circostanza, inoltre, che si rinunci a tante parentesi, digressioni, approfondimenti, sebbene in parte determini un impoverimento, nel complesso rende la trama più snella e incisiva, aumentando altresì l’impatto del finale.
Che è diverso, qui, non contagiato dalle esigenze della serialità.
E che, anzi, nei “Bonus Track”, offre persino una versione alternativa (la prima), decisamente più ottimistica, per quanto meno intensa e riuscita.
Per il resto, a livello di spunti e di stile, questo è davvero un romanzo ispirato. Mi piacciono i temi trattati, ma ancora di più il “racconto duale simultaneo” che Asher realizza grazie allo stratagemma delle cassette frammiste ai pensieri di Clay, che le ascolta. Ed è affascinante non solo confrontare i due punti di vista, ma pure la prospettiva adolescenziale maschile con quella femminile. 
Per il resto, Hannah ci viene dipinta come una vittima di atti più o meno gravi, più o meno diretti, che hanno un effetto catastrofico su di lei proprio in quanto collegati fra loro, poiché tutto si ripercuote su tutto, come ci viene meglio illustrato nella postfazione.
E tuttavia a me non basta.
Quello che mi fa innervosire di questo libro è che la sequela di eventi non è comunque sufficiente a spiegare il suicidio della protagonista. Che appare davvero troppo fragile. E senza ragione, alla luce del quadro che ne deriva (è bella, talentuosa, amata dai genitori, intelligente, spiritosa, tutti sembrano andarle dietro). Senza dubbio la faccenda migliora, a paragone della Serie Tv, ma ancora non ci siamo. Né concepisco come si possano colpevolizzare tanti dei destinatari delle famose cassette (il Prof Porter, ad esempio)… la verità è che se tu per primo non vuoi essere aiutato, nessuno può darti una mano. Gridare spesso non basta. A parte ciò, se gli adolescenti (o le persone in generale) sono davvero così fragili (e non lo metto in dubbio, ma il percorso psicologico deve essere diverso, così le premesse) la causa non va cercata nella solitudine o nelle angherie dei compagni di classe di per sé (che certo, contribuiscono, ma diamine, la mia vita da liceale è stata assai più dura, logorante e difficoltosa di quella di Hannah. E non solo la mia. Ma non si è suicidato nessuno), ma va cercata a monte. Nei valori e nelle risorse che ciascuno deve portare con sé già da prima e che vanno apprese durante l’infanzia. Perché, Liceo o no, nella vita si cade sempre. Il punto è che bisogna avere la volontà di rialzarsi. E quella si trova prima in se stessi e poi negli altri. Che aiutano e sono preziosi. Ma se non basti a te stesso, non sei nemmeno in grado di afferrare le mani che ti vengono porte.
E a bastare a te stesso, quando sei adolescente, devi essere già capace.

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