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lunedì 9 luglio 2018

A casa di Hitler

IL BAMBINO IN CIMA ALLA MONTAGNA
di John Boyne


Devo ammetterlo, sono rimasta un po' scioccata. 
All'inizio mi è parsa la solita variazione sul tema de “Il Bambino con il Pigiama a Righe”: stessa ambientazione storica, stessa tematica, prospettiva dell'infante. Pare persino lo stesso bambino. Certo, qui si chiama Pierrot, ma il prototipo è sempre quello di Bruno, o di Alfie di “Resta Dove Sei e Poi Vai”: tenero, buono, ingenuo, coraggioso e ben intenzionato. Con la differenza che ormai io comincio a patire questo linguaggio da dodicenni: scorrevole e semplice, senza dubbio, ma pieno di riflessioni inutili, spesso dai toni quasi paternalistici.  
Solo che poi la faccenda cambia. 
Intanto il ragazzino finisce a casa di Hitler. 
Quindi si corrompe irrimediabilmente.
Davvero, non me lo aspettavo.
Con questo, non urlo neppure al capolavoro: ci sono alcuni sviluppi un po' forzati, alcune frasi (tra l'altro poco coerenti con i personaggi che le pronunciano) che mi sanno di captatio benevolentiae a tutti i costi, unite, per giunta, ad un ritmo non eccelso, specie nella prima parte. 
Di buono, però, devo rilevare che nulla è superfluo sotto il profilo dell'azione, nel senso che anche le precisazioni e le divagazioni che di primo acchito possono sembrare puramente decorative, in realtà servono a delineare il contesto o a farci comprendere delle cose per contrasto. Inoltre, non si tratta della solita storiella educativa a lieto fine: la prospettiva è quasi completamente ribaltata. E ancora, riceviamo un discreto numero di pugni nello stomaco.
Insomma, checché si dica, magari il romanzo è pure stato studiato a tavolino, ma di sicuro non è stato fatto con lo stampino.
Curiosità: a pagina 61 viene citato Alfie Summerfield, protagonista del testè citato “Resta Dove Sei e Poi Vai”.

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