IL MESTIERE DELLO SCRITTORE
di Haruki Murakami
Tra tutti i libri letti di Murakami, senz'altro il più deludente.
Persino il titolo è sviante, tutt'al più potrebbe chiamarsi: “Murakami racconta se stesso”. Per giunta, molte di queste cose sono già state dette in “L'Arte di Correre” o nella prefazione di “Vento & Flipper”, ma in quei contesti sembravano necessarie o comunque costituivano un arricchimento. Qui non si arriva da nessuna parte, semplicemente Murakami si incensa e si leva un po' di sassolini dalla scarpa. Senza, peraltro, uscirne benissimo.
Il tono di questo volume è autocelebrativo e autoreferenziale, della serie me la suono e me la canto. Il resto è banalità e qualunquismo. Che diamine, non sembra neanche uno che scrive da oltre trent'anni (come rimarca ad ogni pié sospinto) o uno che ha e ha avuto successo (come non fa che ripetere). Pare uno che per caso un giorno ha preso una penna in mano, ma in realtà pensava fosse un temperino.
E poi ci sono digressioni talmente personali e soggettive da essere prive di valore intrinseco. I passaggi più significativi sono citazioni di altri (Oliver Sacks, Joyce).
Riconosco che ci sono anche brani interessanti di Murakami, ma più spesso incappiamo in panegirici che sanno di apologia o di difesa preventiva (o consecutiva), come se, nonostante le numerose proclamazioni in senso inverso, l'autore non avesse davvero il coraggio di dire la sua senza timore di venir criticato e quindi senza sentire il bisogno di giustificarsi.
Indubbiamente, ad ogni modo, il saggio (?) non è sgradevole e l'esposizione è chiara. Ogni tanto fa capolino qualche suggerimento utile, ma non illuminante.
Insomma, non è davvero brutto, ma siamo ben lontani da “On Writing” di Stephen King.
E anche da un qualsiasi manuale di scrittura creativa.
Solo per fan sfegatati.
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