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martedì 17 luglio 2018

Oscar? No, grazie.

LA FORMA DELL'ACQUA
di Guillermo Del Toro
(2017)


Solo una domanda: ma come diavolo hanno fatto a dargli l'Oscar per il miglior film, specie considerando che in lizza c'era anche lo strepitoso “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”, oltre a “L'ora più buia”? Per premiare, per una volta, la fantasia? Ma allora non era meglio “Scappa - Get Out”? Certo che era meglio! Più incalzante, ma, soprattutto, assai più originale!
“La Forma dell'Acqua” è indubbiamente una pellicola gradevole, curata per fotografia, scenografie e atmosfere, dai contorni indefiniti e fiabeschi, i colori ineffabili e sfumati, e supportata da un ottimo cast, ma, misericordia, è derivativa da uccidersi! Sembra la solita minestra riscaldata cui sono state aggiunte un po' di (squisitissime) spezie e un bel po' di parmigiano.
Certo, c'è la tematica del diverso, c'è l'amore che soverchia ogni barriera, c'è l'incanto, c'è la poesia, etica ed estetica... Però... La creatura acquatica sembra presa a forza da “Hellboy” (le cui trasposizioni cinematografiche sono sempre di Del Toro), e in particolare, come mi ha fatto notare MPM, dal suo amico Abe Sapiens (sempre interpretato da Doug Jones), mentre la trama pare quella de “Il Mostro della Laguna Nera” se, anziché di una bellona, il nostro anfibio si fosse innamorato di una dolce inserviente dalle corde vocali recise che possa ricambiare il sentimento... In più il film è troppo lento. Non una lentezza snervante (vedi “Il Filo Nascosto”), bensì una lentezza che culla, che arrotonda, che zucchera, ma comunque eccessiva se non è sostenuta – come ad esempio nel meraviglioso “Il Labirinto del Fauno”, ancora di Del Toro – dalla peculiarità della trama e delle situazioni. Qui, invece, ogni svolta, ogni soluzione è prevedibile, quasi scontata. Non arriva ad inficiare il piacere della visione, ma... un Oscar? Per favore. E, se non si fosse notato, io di Del Toro sono fan.
La verità è che, narrativamente parlando, l'unico elemento de “La Forma dell'Acqua” che davvero ho apprezzato senza riserve è il personaggio dello scienziato russo, che, prima di qualunque altra cosa (mi tengo sul generico per non rivelare troppo) resta, appunto, un uomo di scienza. Così rigoroso e lungimirante da avermi quasi commossa, cosa che, invece, mi dispiace, la sofferta storia d'amore e libertà dei due protagonisti non è riuscita a fare. 
Trita.

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