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venerdì 20 marzo 2015

Un romanzo che graffia


IL BAMBINO CHE SOGNAVA LA FINE DEL MONDO
di Antonio Scurati


Il titolo è bellissimo, ma non allude ad un'opera horror o fantascientifica: il tema centrale, infatti, riguarda la pedofilia (o il Male, se vogliamo), ed è di ustionante attualità... Invero, siamo a metà tra un romanzo, un saggio ed un'inchiesta, con articoli di giornale che ogni tanto fanno da intermezzo... Eppure le descrizioni sono altamente evocative, tanto che spesso mi è parso di intuire echi leopardiani – ad esempio – opportunamente parafrasati...

Quello che ci viene presentato, dunque, è uno scorcio possibile, relativo alle conseguenze e implicazioni di una serie di abusi perpetrati ai danni di bambini dell'asilo in quel di Bergamo.

Ma è davvero così o è il clima da caccia alle streghe ad aver ingenerato il panico? Ad aver creato mostri inesistenti ingigantendo e snaturando la realtà? E quanto è degradata e sordida quella in cui viviamo?

Ci sono parallelismi, rimandi, richiami... E molte sono le accuse che finiscono nel mirino.

Il punto è che si tratta di questioni così delicate che non ci sentiamo di sottovalutarle, perché, davvero, dopo certi avvenimenti il mondo per un bambino può finire...

Oscilliamo dunque fra vari convincimenti, subito smentiti e ritrattati, alla ricerca della verità e attraverso svariate prospettive, che spesso, però, si contraddicono...

Abbiamo modo di riflettere e di mettere tutto in discussione (inclusi noi), vagolando nel dubbio e nell'incertezza...

Certo, non è un romanzo di intrattenimento, questo, pur ingentilito dallo stile. E' un romanzo che graffia, opprime e fa pensare, percorso da psicosi e ansie. E che ha i toni accesi della denuncia sociale, che analizza, che esamina, che giudica.

Antonio Scurati visto dal nostro vignettista


L'idea è indubbiamente interessante. L'unico neo (ma forse è voluto) è che il coinvolgimento emotivo – al di là di quello inevitabilmente determinato dall'argomento – è assai limitato. Non partecipiamo delle vicende dei protagonisti, semplicemente li seguiamo come seguiremmo una cronaca. Che sentiamo come vera, reale, a tratti confusa (non è un difetto: rispecchia il nostro modo di essere). Ma troppo distante. Perché segretamente e irrazionalmente siamo sempre convinti che questi fatti non tocchino noi, ma qualcun altro. Di lontano, remoto. Di sconosciuto.

Peccato.

Perché l'opera sarebbe stata probabilmente più efficace (e più facile) se avesse puntato di più sull'immedesimazione.

Nel complessso, comunque, l'ho letta volentieri e l'ho trovata stimolante.

Da leggere, anche solo per formarsi un'opinione.

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