PAURA
di Stefan Zweig
...essenzialmente
quella di essere scoperta: di veder crollare la tua vita, di perdere
i figli e la reputazione... E tutto per una scappatella con un
pianista di cui in fondo nemmeno ti importa!
Questo
è il dramma che deve affrontare la fatua protagonista, Irene Wagner,
irritante gattamorta della buona borghesia viennese degli anni '20...
La detestiamo fin dalle prime righe, per quanto è vacua e pavida, ma
al contempo è così disastrosamete patetica da suscitarci pietà e
quindi seguiamo con partecipazione le sue peripezie...
C'è
infatti una vecchia volgare e malefica che la ricatta e che, anzi,
presto comincerà a tormentarla (e lei è già una paranoica
naturale, vigliacca e debolina)...
Tutto
qui?
Naturalmente
no.
Intanto
c'è il colpo di scena finale: di per sé non è eccezionale, non per
i tempi attuali, e probabilmente lo intuiamo abbastanza in fretta, ma
all'epoca della pubblicazione magari sì, magari era una sorpresa da
sbalordimento... E, comunque, anche adesso, un minimo di godimento ce
lo dà... Almeno per l'ironia che sottende.
I
pregi veri, peraltro, sono altri due, che ora comincio a riconoscere
come tipici di questo particolarissimo autore.
Innanzitutto
il magistrale approfondimento psicologico: Zweig ci permette di
scendere nel profondo dell'anima di Irene, di scrutarla
minuziosamente, di scandagliarla, assaporandone la discesa nel
terrore e i temporanei, illusori, sollievi, fino a darci un senso di
angoscia, di claustrofobia, nonostante la brama che a tratti abbiamo
di prendere la protagonista a sberle. E magari di tirarle pure una
secchiata d'acqua fredda (e sporca), possibilmente mentre sfoggia un
cappellino nuovo (non che la vecchia laida ci garbi di più...).
In
secondo luogo, la prosa del suo autore: puntuale, elegante,
descrittiva, ma non ridondante, dagli accenti desueti, vintage,
persino, ed al contempo scorrevole e fluida.
E
poi, se vogliamo, il personaggio del marito... che resta parzialmente
sullo sfondo, ma che, poveretto, proprio non si meriterebbe una
moglie così...
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