LA
SPOSA GIOVANE
di Alessandro Baricco
Prima
di comprare questo volumetto mi sono imbattuta in una recensione che
ho trovato squisitamente esatta, seppur non riesca a condividerla del
tutto. Parafrasandola nel ricordo, suppergiù diceva: “affermerei
che Baricco scrive da dio, se il suo odioso autocompiacimento non mi
facesse venire i vermi”...
Ebbene,
per quanto mi riguarda Baricco scrive davvero da dio.
E,
sì, ha l'abitudine di autocompiacersi.
Di
indugiare nel virtuosismo sterile senza dire nulla, fermandosi al
gesto senza contemplare l'azione.
A
volte penso sia questo il suo lato migliore.
A
volte lo trovo anche io sinceramente fastidioso, perché, in effetti,
finisce per essere discontinuo e persino per annoiare un po'.
Dimentica troppo spesso la regola aurea di King (che pure lui, ogni
tanto, se ne scorda, ma assai più di rado... uh, a proposito:
curiosamente circa a metà romanzo – mi pare – si allude
simpaticamente a Shining), quella che recita: “la storia, non colui
che la racconta”.
Perché
lo stile da solo non basta. Non sempre.
Intendiamoci,
la trama de “la sposa giovane” è carina, in alcuni punti bella,
con perle sparse che sfolgorano di luce... E' raccontata in modo
accattivante, suggestivo, con questi monologhi improvvisi che ti
aiutano a mutar prospettiva, e costellata – come sempre – di
tocchi surreali, assurdi...
Il
punto, però, è che raramente arriva al cuore.
Ci
sono alcune brevi stilettate efficaci, però si smarriscono in
fretta, fagocitate dalle altre parole meramente ornamentali.
Accade
quasi sempre, sì, nei suoi rimanzi, ma di solito non me ne curo.
Alessandro Baricco, visto dal nostro vignettista
In
“La sposa giovane”, però, la trama è veramente troppo esile per
occupare le pagine che occupa (che, invero, non sono molte, neanche
arrivano a 200).
Se
il romanzo fosse stato scorciato di, poniamo, sessanta pagine, allora
avrei potuto essere più indulgente: Baricco ha tanti difetti, lo so,
ma di norma tendo ad ignorarli, a soprassedere, accontentandomi della
bellezza delle sue frasi e dei (rari) concetti che esprime (il senso
dell'attesa, della morte, il significato delle liturgie dalla
famiglia...).
Questa
volta, tuttavia, a tratti la lettura inciampa e impiega troppo per
ricominciare a scorrere. Non bastano le morbosità o il sesso malato
a suscitare interesse. Piuttosto sono elementi che appesantiscono
ulteriormente, creando dei mini-shock di nessuna importanza, che
subito si archiviano come essenzialmente irrilevanti, se non alla
stregua di mezzucci narrativi, e che presto si annullano e nemmeno
stupiscono più.
I
personaggi sono artificiosi, statici. Decorativi. Senz'anima.
Il
giudizio complessivo è comunque positivo, supera la sufficienza, e
anzi, ho letto romanzi di Baricco che mi sono piaciuti assai meno,
però...
Ecco,
sono rimasta lo stesso un po' male.
Forse
perché le premesse erano valide, più del solito, e mi sembra siano
state sprecate...
Piccola
delizia: la copertina è di Tanino Liberatore.
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