OUTCAST
di Robert Kirkman e Paul Azaceta
“The
Walking Dead” (il fumetto, non la Serie Tv) mi piace molto,
tuttavia ero un po’ titubante rispetto a questa nuova graphic
novel, più che altro perché temevo fosse la stessa minestra
riscaldata.
Non
la è.
Gli
zombie non c’entrano nulla.
Ma
soprattutto l’impostazione è diversa, decisamente più realistica
(la finzione può benissimo confondersi con la realtà, la realtà
può essere spiegata con la finzione).
L’opera
è piacevolmente innovativa, per quanto classica nei suoi connotati,
e potenzialmente può ancora crescere parecchio.
Il
protagonista, Kyle Barnes, è una sorta di reietto con un passato
travagliato, estremamente ingombrante, che gli viene continuamente
rinfacciato, e con un carico emotivo difficile da portarsi appresso.
Scopriamo la sua storia a poco a poco (ma mai del tutto), e a poco a
poco ci incuriosiamo…
Solo
che, per quanto la vicenda, in principio, si dipani umanissima e
plausibile, Kyle non è il solito marito/padre violento, pentito dopo
l’inevitabile, quanto piuttosto un poveraccio che ha, in qualche
modo, il potere di cacciare il demonio… E che, per questo, è
spesso costretto ad effettuare scelte difficili, suscettibili di
essere fraintese.
Siamo
nel campo delle possessioni diaboliche, dunque.
Ma
non è tutto qui.
I
risvolti oscuri sono numerosi, le questioni ancora non chiarite
parecchie, e la minaccia del Male assai più terribile di qualche
occasionale episodio isolato…
C’è
un disegno, infatti, dietro alle varie possessioni. E non sempre i
soggetti che paiono sanati, lo sono davvero (non se è stato il
Reverendo Anderson da solo ad operare l’esorcismo).
E
poi che cos’è esattamente Kyle? Come fa ad avere questi poteri?
Che cosa è accaduto nel suo passato?
Al
momento siamo all’albo numero cinque (mi pare), e sebbene i numeri
successivi non eguaglino l’incisività del primo, devo riconoscere
che il livello si mantiene alto.
I
pregi sono soprattutto tre: l’efficacia del montaggio, il ritmo
eccellente, e il contesto disturbante, che pare “storto” in ogni
dettaglio. Anche i disegni, spigolosi e sporchi, sono perfettamente
intonati alla trama.
Questo,
ad un primo sguardo.
Ad
un secondo, ciò che apprezzo di più va oltre la storia e la
narrazione in sé per sé, e riguarda piuttosto l’ambiguità delle
varie situazioni: la realtà che fa da specchio all’immaginazione,
e viceversa.
E
poi, e questo, sì, è tipico di Kirkman, le reazioni umane.
Indagate
in profondità, ma senza parentesi superflue.
Notevole.
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