ODISSEA
di Omero
Seguito
ideale dell’Iliade, questo poema narra, com’è noto, delle
traversie di Ulisse, reduce dalla Guerra di Troia, per tornare a
casa, a Itaca, dalla povera moglie Penelope, insidiata dai Proci, e
dal figlio Telemaco… L’eroe, infatti, in balia del volere degli
dei, è il solo greco che, dopo nove anni, non sia ancora riuscito a
congiungersi con i suoi cari…
Per
valorizzare al meglio i pregi dell’opera, soprattutto a livello
poetico, consiglio la traduzione del Pindemonte, davvero
indispensabile nei cosiddetti “punti noiosi” (e qui mi richiamo
al post del 12 febbraio 2014 relativo al’Iliade, perché più o
meno la questione è la stessa)…
Intendiamoci,
la parte vera e propria dedicata al viaggio di Ulisse è una
meraviglia e non richiede particolari sforzi: ci sono splendide
creature mostruose (Scilla, Cariddi, le Sirene…), maghe tremende e
possessive (Circe, ma se vogliamo anche la Ninfa Calipso), e persino
amene perle splatter (si vedano le descrizioni relative a Polifemo),
in più si alternano gioiosamente avventura ed orrore, incursioni
“fantasy” e sense of wonder, e la lettura è avvincente e
piacevolissima… La difficoltà, però, è arrivarci, qui, perché
ci vuole un po’ per giungere al fatidico viaggio.
Omero nell'interpretazione del nostro vignettista
All’inizio,
infatti, più che di un’Odissea (e qui cito la mia vecchia
letteratura greca) si tratta di una Telemachia, visto che il poema,
nei primi quattro libri, è incentrato, appunto, sul personaggio di
Telemaco e sulle sue difficoltà con i malvagi Proci... E,
personalmente, per quanto interessante sotto molti profili (ad
esempio quando andiamo a bussare alla porta di Menelao, per avere
notizie), non è proprio appassionante.
La
faccenda, però, si ribalta in fretta, a partire dal V libro (fino al
XII), quando, appunto, Ulisse narra delle sue peregrinazioni (e devo
dire che ci sono alcuni passaggi davvero potenti e magistrali)!
L’ultima
parte, d’altro canto, dedicata al ritorno dell’eroe (con
abbondanza di momenti sentimentali e commovente), e, soprattutto,
alla macchinosa (per i miei gusti), ma esaltante, vendetta nei
confronti dei Proci, vanta un ritmo più altalenante, ma
complessivamente buono, nonostante alcune lungaggini superflue...
tuttavia sempre sublimate dalla poesia.
Il
più, dunque, è superare la Telemachia, poi si va abbastanza in
discesa, e con entusiasmo!
Sinceramente,
in gioventù l’Odissea mi piaceva assai più dell’Iliade: mi
appariva più varia, più movimentata, più “fantastica”…
Adesso, invece, forse perché mi sono resa conto che la parte
fantasiosa non è poi così cospicua (sebbene più bella di quanto mi
fossi immaginata), sono più orientata per l’altro capolavoro
omerico, soprattutto grazie al montaggio più efficacie, al maggior
numero di personaggi e alla maggior varietà di vicende umane…
Ma
ovviamente l’ideale è leggerli entrambi, magari di seguito,
sebbene, a mio avviso, anche a livello poetico (forse grazie
all’eccezionale traduzione di Vincenzo Monti), l’Iliade risulti
comunque superiore (ma questa è la mia opinione).
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