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martedì 13 ottobre 2015

L'Urban Fantasy di Murakami


L’UCCELLO CHE GIRAVA LE VITI DEL MONDO
di Haruki Murakami
 
 
Un romanzo lungo, che inizia lento, introspettivo, con più parentesi, ripetizioni e digressioni del solito, e che ha indotto mio fratello – che pure è un discreto lettore – ad abbandonare attorno a pagina 200.

Se si supera questo traguardo, però, si sarà premiati: perché presto tante cose acquisiranno un senso, il ritmo inizierà ad aumentare, diverrà seduttivo, e si comincerà ad intuire il mistero attorno a cui ruota la trama, a comprendere per quali meandri vuole condurci l’autore, e quali sono i presupposti da accettare nella realtà, rarefatta ed evanescente, del romanzo, che, sotto numerosi profili (pur non avendo, invero, nessun punto in comune con esso), mi ha ricordato l’universo di Twin Peaks, con i riferimenti alla Loggia Nera… Ed in effetti, sembra sempre di essere lì, dietro la tenda rossa…

Haruki Murakami visto dal nostro illustratore.

Ci troviamo, dunque, nel filone di Murakami dedicato all’Urban Fantasy: come spesso accade il protagonista si chiama Toru, e questa volta il suo gatto sparisce. Poi sua moglie. Compaiono, però, strani personaggi, alcuni per aiutare, altri per infittire il caos. Avvengono fatti curiosi, e altri sono avvenuti anni fa, apparentemente slegati, ma che ovviamente non lo sono, e a poco a poco si potrà dar loro un senso, tracciare una “mappa”, mentre sopra tutto aleggia un uomo, un uomo oscuro, il cognato del protagonista, che non è quello che sembra, ma qualcosa di tremendo, che va accumulando potere (e qui, un po’, mi è sovvenuta “La zona morta” di Stephen King) e che ha a che fare, in qualche modo, con la funerea Casa degli impiccati…

Personalmente, c’è stato un punto in cui anche io ho esitato, ed un altro, più avanti, in cui sono stata tentata di disertare: non per noia o mancanza di movimento, ma per fastidio… Non entro nei dettagli, ma c’è una situazione – che si protrae per giorni – che coinvolge Toru, May (una ragazza di sedici anni molto particolare) e un pozzo, che mi ha innervosita parecchio. Non si immaginino sconcezze o altro, è piuttosto un fatto mentale, legato ai rapporti fra i due personaggi, e in particolare alla logorante reazione di lei, dinnanzi alle peculiarità del (come lei chiama Toru) Signor Uccello Giraviti… Dopo arrivano blande giustificazioni (anche piuttosto fascinose), ma la questione non mi è comunque parsa meno intollerabile, e ho fatto davvero fatica a mandarla giù (e ciò rivela la bravura dell’autore).

Per il resto devo ammettere che ci sono molte scene forti, decisamente di più rispetto ai soliti parametri di Murakami (lo zoo, Boris lo scorticatore…), e che una delle scene finali (quella in cui il protagonista scende nel pozzo per l’ultima volta), è davvero sublime: ci sono tantissimi dettagli che sanno di sogno, dei paralleli stupendi, simbolici, che sarebbero da indagare a fondo (e che, ancora una volta, mi hanno fatto pensare all’Uomo Pecora), che danno i brividi lungo la schiena e deliziano allo stesso tempo (quei tizi nella sala d’attesa, ad esempio).

Fiabesco, onirico, metafisico.

Con un nonsoché di irrisolto, che però costituisce non una pecca, ma un valore aggiunto.

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