L’UCCELLO
CHE GIRAVA LE VITI DEL MONDO
di Haruki Murakami
Un romanzo
lungo, che inizia lento, introspettivo, con più parentesi,
ripetizioni e digressioni del solito, e che ha indotto mio fratello –
che pure è un discreto lettore – ad abbandonare attorno a pagina
200.
Se si supera
questo traguardo, però, si sarà premiati: perché presto tante cose
acquisiranno un senso, il ritmo inizierà ad aumentare, diverrà
seduttivo, e si comincerà ad intuire il mistero attorno a cui ruota
la trama, a comprendere per quali meandri vuole condurci l’autore,
e quali sono i presupposti da accettare nella realtà, rarefatta ed
evanescente, del romanzo, che, sotto numerosi profili (pur non
avendo, invero, nessun punto in comune con esso), mi ha ricordato
l’universo di Twin Peaks, con i riferimenti alla Loggia Nera… Ed
in effetti, sembra sempre di essere lì, dietro la tenda rossa…
Haruki Murakami visto dal nostro illustratore.
Ci troviamo,
dunque, nel filone di Murakami dedicato all’Urban Fantasy: come
spesso accade il protagonista si chiama Toru, e questa volta il suo
gatto sparisce. Poi sua moglie. Compaiono, però, strani personaggi,
alcuni per aiutare, altri per infittire il caos. Avvengono fatti
curiosi, e altri sono avvenuti anni fa, apparentemente slegati, ma
che ovviamente non lo sono, e a poco a poco si potrà dar loro un
senso, tracciare una “mappa”, mentre sopra tutto aleggia un uomo,
un uomo oscuro, il cognato del protagonista, che non è quello che
sembra, ma qualcosa di tremendo, che va accumulando potere (e qui, un
po’, mi è sovvenuta “La zona morta” di Stephen King) e che ha
a che fare, in qualche modo, con la funerea Casa degli impiccati…
Personalmente,
c’è stato un punto in cui anche io ho esitato, ed un altro, più
avanti, in cui sono stata tentata di disertare: non per noia o
mancanza di movimento, ma per fastidio… Non entro nei dettagli, ma
c’è una situazione – che si protrae per giorni – che coinvolge
Toru, May (una ragazza di sedici anni molto particolare) e un pozzo,
che mi ha innervosita parecchio. Non si immaginino sconcezze o altro,
è piuttosto un fatto mentale, legato ai rapporti fra i due
personaggi, e in particolare alla logorante reazione di lei, dinnanzi
alle peculiarità del (come lei chiama Toru) Signor Uccello Giraviti…
Dopo arrivano blande giustificazioni (anche piuttosto fascinose), ma
la questione non mi è comunque parsa meno intollerabile, e ho fatto
davvero fatica a mandarla giù (e ciò rivela la bravura
dell’autore).
Per il resto
devo ammettere che ci sono molte scene forti, decisamente di più
rispetto ai soliti parametri di Murakami (lo zoo, Boris lo
scorticatore…), e che una delle scene finali (quella in cui il
protagonista scende nel pozzo per l’ultima volta), è davvero
sublime: ci sono tantissimi dettagli che sanno di sogno, dei
paralleli stupendi, simbolici, che sarebbero da indagare a fondo (e
che, ancora una volta, mi hanno fatto pensare all’Uomo Pecora), che
danno i brividi lungo la schiena e deliziano allo stesso tempo (quei
tizi nella sala d’attesa, ad esempio).
Fiabesco,
onirico, metafisico.
Con un
nonsoché di irrisolto, che però costituisce non una pecca, ma un
valore aggiunto.
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