CRONACHE MARZIANE
di Ray Bradbury
Indiscusso capolavoro fantascientifico per genialità e lirismo, e, tuttavia, non una delle opere di Ray Bradbury che preferisco.
Per l’eccesso, a volte, di stucchevolezza e per l’eccessiva prolissità di alcuni passaggi. Ma ciò a voler essere noiosi e ultra-critici, perché, in effetti, questa antologia di racconti è davvero grandiosa, soprattutto se si valutano i sotto testi e le idee che fanno capolino sotto – ma non troppo sotto – la patina di divertimento.
Come è proprio della miglior fantascienza, infatti, Bradbury applica alla colonizzazione di Marte da parte dei terrestri le paure, le contraddizioni e i difetti dell’uomo ricamandoci abilmente sopra e confezionando storie ironiche, talvolta spassose, talaltra pregne di nostalgia e solitudine, o ancora satiriche e spiritose, che hanno in comune la capacità di rivelare qualcosa di profondo e di farci riflettere, facendo emergere il subconscio individuale e collettivo. Talvolta assestandoci, contemporaneamente, un sonoro sberlone che ci scuoterà nel profondo.
Il filo conduttore, si diceva, è la colonizzazione di Marte iniziata nel 1999 e protratta, con alterne fortune, sino al 2026. Chiaramente, essendo il libro stato scritto nel 1950, è come dire nel prossimo futuro.
I personaggi variano, benché qualcuno ogni tanto ricompaia, ma la successione è cronologica e ci consente di osservare le tappe della conquista del pianeta rosso. Che avviene in modo pacifico (salvo qualche decesso accidentale, ma non troppo drammatico), senza dispiegarsi di effetti speciali o astruse meraviglie scientifiche. Il centro della narrazione, in un modo o nell’altro, è sempre dato dalla sensibilità – umana come pure marziana –, dal confronto tra le culture (e in particolare l’autoanalisi della propria) e dall’evoluzione terrestre… che, quando sulla Terra scoppia la guerra, impone alla coscienza della maggior parte dei coloni di tornare in patria.
Un classico senza tempo.
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