TRAIN TO BUSAN
di Sang-ho Yeun
(2016)
Sono entusiasta.
Il tema è sempre quello, ormai inflazionato, degli zombie (anche se questa volta sono velocissimi, ciechi al buio, e disarticolati in modo spaventoso), tuttavia la pellicola è un insieme di sorprese formidabili, adrenalina e novità, che la rendono qualcosa di unico e che, per giunta, offre più piani di lettura (si rifletta sul contrasto, sottolineato dal montaggio, tra la paura suscitata dal clochard senza biglietto e quella che, in prima battuta, NON provoca il morto vivente, nonché sull’andamento fulminante dell’infezione, che neutralizza i privilegi – pretesi e ottenuti – delle classi agiate).
Per cominciare, l’epidemia – con contorno di denuncia sociale, appunto, a fronte delle sue possibili cause e delle sue tragiche reazioni – che si propaga alla velocità della luce, regalandoci scene impressionanti, di grande effetto, che ipnotizzano e sconcertano per il tasso elevatissimo di dramma umano e orrore.
Prima di ciò, le avvisaglie, sottili e magnificamente dosate, tanto da farci venire i crampi allo stomaco anzitempo, in un contesto che più quotidiano e ordinario non si può, ma che, proprio per questo, appare azzeccato.
Quindi gli zombi, gli infetti: lontani dal canone romeriano e più terrorizzanti del solito a causa dei movimenti frenetici e sconnessi e dell’espressione feroce, anziché vuota e rassegnata.
E poi i personaggi: non la solita carne da macello insopportabile (beh, alcuni sì). Soggetti profondamente umani (tanti apprezzabili), commoventi, indifesi o dotati di spessore e della capacità di evolvere e cambiare, passando da una concezione egoistica imperniata sulla sopravvivenza ad una di collaborazione e altruismo, con cui è facile immedesimarsi ed empatizzare. Che ci faranno gridare, sperare, inveire, dalle nostre poltrone, coinvolgendoci come non mai.
Senza dimenticare l’ambientazione, davvero insolita per un horror (benché ci ricordi Snowpiercer): il treno (per fortuna dei protagonisti non i trenacci di Trenitalia, dato che siamo in Corea). Un treno da cui si vede di tutto e su cui capita di peggio, straziandoci persino sotto il profilo della solidarietà. E che oscilliamo tra il voler lasciare e il voler barricarci dentro.
In ultimo, il ritmo: eccezionale. L’inizio è tranquillo, ma si inserisce quasi subito la quarta, senza concedere un attimo di tregua, tenendoci sulla corda fino all’ultima scena.
Che è tenerissima e ci spiazza.
Direi, senza esitare: l’horror migliore di quest’anno.
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