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venerdì 29 dicembre 2017

Tutto lo Sclavi del Mondo

TIZIANO SCLAVI IL NARRATORE DELL’INCUBO
A cura di Franco Busatta e Federico Maggioni


Tiziano Sclavi mi manca da morire.
Quello dei primi Dylan Dog (fino al numero 66, più o meno), quello di “Roy Mann”, di “Altai & Jonson”. Ma anche di “Tre” e di “Dellamorte Dellamore”. Quello che sentivo come autore geniale, ma anche come persona sensibile e unica, e come “i mostri”, che ho sempre adorato anche io. Quello che consideravo un mentore, un pungolo intellettuale e uno specchio (più bello) della mia anima.
Perché io non ero una di quelle fanciulle che amavano Dylan Dog, in quanto figo e tormentato.
Io amavo lui, Tiziano Sclavi, ben conscia che ciò che adoravo in Dylan era un riflesso di lui, di Tiziano.
E’ stato Sclavi che, in un modo o nell’altro, ha fatto da tramite per la maggior parte delle mie passioni, letterarie e non (Da King a Borges, da Magritte a Froud & Lee, da De André a Tartini). Forse prima o poi ci sarei arrivata lo stesso, e i germi spesso c’erano già, ma così, alla ricerca disperata dei suoi riferimenti e dei suoi percorsi culturali, ci sono arrivata prima. E’ stato Sclavi che mi ha aiutato a chiarirmi molte cose di me stessa, offrendomi un salvagente ogni volta in cui ne ho avuto bisogno.
E’ stato lui, in qualche modo, a farmi diventare me.
Tuttavia pensavo che se ad un certo punto ho smesso di amarlo e celebrarlo è perché sono cresciuta.
Ma leggendo questo libro mi sono accorta che forse, invece, è cresciuto lui, Sclavi, e che io non ho affatto smesso di amarlo. Non quella parte di lui resa immortale dalle opere che ho venerato (e ancora venero). 
La verità è che Sclavi si è evoluto, è cambiato, ha raggiunto un equilibrio o un disequilibrio o “un centro di gravità permanente” (o quel che si vuole), che lo ha reso adulto, portandolo, ormai da anni, lontano da me, che invece sono rimasta ancorata al suo precedente essere. 
Perché io, invece, in tante cose, sono rimasta come ero e ora so che quello Sclavi continuo perdutamente ad amarlo e a sentirlo parte di me.
Ebbene, ho capito tutto ciò perché questo libro mi ha finalmente restituito qualcosa di lui.
Come autore e come uomo.
E quindi mi ha restituito qualcisa di me. 
Come persona e come lettrice.
L’ho comprato per collezionismo, per completezza, per nostalgia. E ho impiegato un bel po’ prima di iniziarlo. Lo guardavo con diffidenza, con sospetto. 
Invece.
Invece coniuga tutto quel che deve coniugare (immagini, testi, pensieri, testimonianze, stralci di opere, citazioni, foto, ricordi. Persino foto di casa di Sclavi, dei suoi libri, delle sue statue), come neppure il film di Giancarlo Soldi è riuscito a fare. 
Non dice granché di nuovo, è vero. Ma lo dice bene ed è nuovo lo stesso. Perché riesce a catturare emozioni, situazioni, contesti. E anche qualcosa di lui. Di Sclavi. Del suo mondo. Del suo spirito. Della sua persona.
E per circa due ore l’ho amato di nuovo.
Come ai tempi del Liceo.
Ed è stato bello e intenso e dolce e commovente.
E per circa due ore il resto del mondo è sparito. 
E così quello che è venuto prima e quel che è venuto dopo.
Nonostante abbia detestato quasi ogni commento di Recchioni (che, peraltro, detesto anche come autore e come umano – anche se, ovviamente, non lo conosco di persona) e (non l’avrei immaginato) di Berardi (che pare rosicare. Ma perché? Julia fa schifo, okay, ma Ken Parker è pura arte!!!). Mentre ho amato teneramente ogni rigo di Alfredo Castelli, di Grazia Nidasio, di Carlo Ambrosini e di Bartezzaghi… Ad esempio. Perché sono in tanti a parlare e a proporre spunti, offrire dettagli, suggerire interpretazioni o frammenti di Sclavità.  
E poi la grafica... Stupenda! Caratteri chiari e grandi, ottimamente amalgamati con le foto, i disegni, gli sfondi. 
Che cosa avrei voluto di più?
Forse qualche elenco.
Di libri, di film, di Serie Tv, di autori e personaggi amati da Sclavi.
Tanto per essere sicura che non mi sia sfuggito qualcosa.
Anche se non abbiamo gli stessi gusti. Non sempre.
Lo deduco dagli “assaggini” verso fine volume, peraltro preziosissimi e stimolanti.

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