I
RAGAZZI BURGESS
di Elizabeth Strout
Dove
lo stupido scherzo di un ragazzino triste (perché di quello si
tratta) diventa un crimine d'odio, e come tale viene affrontato dalla
giustizia e dai Media, fino a che il tessuto
della quotidianità si sfalda, e tu (chiunque sia tu, dei tre
protagonisti principali) ti accorgi, seppur per motivi diversi, di
aver sempre vissuto in una quieta disperazione... E sullo sfondo, a
complicare ulteriormente le cose (che sono la somma dell'oggi, ma
anche dei molti ieri) un trauma del passato... Non poi così
misterioso, ma diverso da come ci si ricorda.
E
allora, a guardarti dentro, ti scopri differente dall'idea che avevi
di te, oppure ti senti un bluff (e magari lo sei davvero), dinnanzi
alle aspettative o al giudizio degli altri, che, plausibilmente, sino
ad ora ti hanno mitizzato, accecati dall'ammirazione e
dall'affetto...
Il
romanzo indaga su quel che si cela tra i rapporti fra fratelli (e
sorella), sul peso del silenzio, del non detto (classico tema della
Strout), e su quel che si trova grattando sotto la patina della
superficie... Ma non ogni prova finisce male: gli equilibri si
ricompongono e le dinamiche familiari trovano un nuovo ordine; ciò
che si è diviso si unisce in una forma più genuina, più autentica;
e ciò che si è unito si divide, seppur, come abbiamo appreso, nulla
sia per sempre.
Nel
complesso, l'opera risulta più lineare rispetto alle precedenti
della Strout, più immediata, e sì, più semplice, più piacevole,
ma non meno profonda, acuta e perspicace. La storia ti avvolge nelle
sue volute, come fumo, ma anziché allungarsi, e biforcarsi (come è
accaduto, ad esempio, in “Olive Kitteridge” o in “Resta con
me”), va sempre più in fondo, scoprendo che cosa c'è dopo ogni
strato... Come a dimostrarci – anche con il confronto
somali/americani – quanto molteplici siano le spigolature di ogni
verità, che non è mai una, nemmeno per le questioni del passato,
sempre date per assodate e certe.
In
una parola: letteratura.
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