IL
BELL'ANTONIO
di Vitaliano Brancati
Catania,
anni 30. Antonio Magnano è figo da paura, icona della virilità e
della bellezza maschile, e questo è un problema perché le ragazze
impazziscono per lui, e in paese si mormora, il prete si lamenta. Con
tutto che lui, Antonio, pare sempre distante, distratto, poco
interessato... Almeno finché non conosce la bellissima Barbara
Puglisi, di cui si innamora e con cui ben presto convola a giuste
nozze.
I
due sono ammirati ed invidiati da tutti, orgoglio delle rispettive
famiglie, fino a che... tre anni dopo, non salta fuori che mai gli
stupendi giovani abbiano consumato. Perché Antonio, poveretto, è
impotente. Ed è scandalo, ed è vergogna.
E
non c'è cura, solo colpa.
Un
classico, questo, davvero peculiare.
Non
solo per il tema scottante e controverso, in anticipo sui tempi
(pubblicato nel 1949, e all'epoca discusso e censurato), ma anche per
il quadro acuto e spietato che viene fatto della realtà paesana, che
si nutre di pettegolezzi, sui quali sempre il popolino – e chi non
ne fa parte? – si sente in obbligo di ricamare e di cucire giudizi
e congetture... E per la denunciata mal conoscenza del sesso e del
modo pudibondo in cui questo viene vissuto, almeno dalle donne
perbene (finché la domestica non le ha aperto gli occhi, Barbara
pensava che i figli si concepissero con gli abbracci), perché gli
uomini invece... In tal senso, esemplare, seppur macchiettistica e
tragicomica, la figura del papà di Antonio, Alfio, che nella prima
parte del libro si vanta con chiunque delle “cavalcate” del
figlio, e che nella seconda, con la moglie – per chiarire che non è
colpa sua se Antonio è così – fa l'inventario delle storie
clandestine e degli illegittimi che ha avuto, prima e durante il
matrimonio con lei (per tacere dell'epilogo)...
E
qui sta anche il maggior pregio del romanzo a livello stilistico: la
commistione di registri. Si passa dal grottesco al drammatico, dal
comico all'amaro. Perché se da un lato la situazione è ironica,
dato che chi ha il pane non ha i denti, o meglio, chi è pieno di
femmine vogliose non ha il pene (funzionante), dall'altra è tremendo
che un uomo debba essere ridotto all'efficienza del suo pipino, come
se non contasse nient'altro, come se non avesse né cervello, né
sentimenti...
Un
romanzo particolare, che può apparire pesantino, in principio, con
un linguaggio un po' arzigogolato, lento, e con un protagonista, che,
okay, è figo, ma pallosetto, addormentato e senza carattere. Ma ove
tutto deve essere così, sia riguardo allo stile, che sa essere
garbato ed elegante, come buffo, con qualche barocchismo e un po' di
dialetto qua e là; sia riguardo ad Antonio, la cui psicologia, così
come le varie reazioni di parenti, amici, vicini e conoscenti, sono
rese ad arte, sottolineando perfidie e malizie, ignoranza e
stupidità.
E
poi ci sono la questione del Fascismo, le disillusioni che ha
implicato anche presso i più convinti, il quadro storico,
l'anticlericalismo di fondo...
Un
romanzo su cui ragionare e discutere, con cui arrabbiarsi e
rattristarsi... ma anche concedersi qualche crudele, ma
irresistibile, risataccia.
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