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mercoledì 8 luglio 2015

L'obbligo di ricamare e di cucire giudizi

IL BELL'ANTONIO
di Vitaliano Brancati


Catania, anni 30. Antonio Magnano è figo da paura, icona della virilità e della bellezza maschile, e questo è un problema perché le ragazze impazziscono per lui, e in paese si mormora, il prete si lamenta. Con tutto che lui, Antonio, pare sempre distante, distratto, poco interessato... Almeno finché non conosce la bellissima Barbara Puglisi, di cui si innamora e con cui ben presto convola a giuste nozze.
I due sono ammirati ed invidiati da tutti, orgoglio delle rispettive famiglie, fino a che... tre anni dopo, non salta fuori che mai gli stupendi giovani abbiano consumato. Perché Antonio, poveretto, è impotente. Ed è scandalo, ed è vergogna.
E non c'è cura, solo colpa.
Un classico, questo, davvero peculiare.
Non solo per il tema scottante e controverso, in anticipo sui tempi (pubblicato nel 1949, e all'epoca discusso e censurato), ma anche per il quadro acuto e spietato che viene fatto della realtà paesana, che si nutre di pettegolezzi, sui quali sempre il popolino – e chi non ne fa parte? – si sente in obbligo di ricamare e di cucire giudizi e congetture... E per la denunciata mal conoscenza del sesso e del modo pudibondo in cui questo viene vissuto, almeno dalle donne perbene (finché la domestica non le ha aperto gli occhi, Barbara pensava che i figli si concepissero con gli abbracci), perché gli uomini invece... In tal senso, esemplare, seppur macchiettistica e tragicomica, la figura del papà di Antonio, Alfio, che nella prima parte del libro si vanta con chiunque delle “cavalcate” del figlio, e che nella seconda, con la moglie – per chiarire che non è colpa sua se Antonio è così – fa l'inventario delle storie clandestine e degli illegittimi che ha avuto, prima e durante il matrimonio con lei (per tacere dell'epilogo)...
E qui sta anche il maggior pregio del romanzo a livello stilistico: la commistione di registri. Si passa dal grottesco al drammatico, dal comico all'amaro. Perché se da un lato la situazione è ironica, dato che chi ha il pane non ha i denti, o meglio, chi è pieno di femmine vogliose non ha il pene (funzionante), dall'altra è tremendo che un uomo debba essere ridotto all'efficienza del suo pipino, come se non contasse nient'altro, come se non avesse né cervello, né sentimenti...
Un romanzo particolare, che può apparire pesantino, in principio, con un linguaggio un po' arzigogolato, lento, e con un protagonista, che, okay, è figo, ma pallosetto, addormentato e senza carattere. Ma ove tutto deve essere così, sia riguardo allo stile, che sa essere garbato ed elegante, come buffo, con qualche barocchismo e un po' di dialetto qua e là; sia riguardo ad Antonio, la cui psicologia, così come le varie reazioni di parenti, amici, vicini e conoscenti, sono rese ad arte, sottolineando perfidie e malizie, ignoranza e stupidità.
E poi ci sono la questione del Fascismo, le disillusioni che ha implicato anche presso i più convinti, il quadro storico, l'anticlericalismo di fondo...

Un romanzo su cui ragionare e discutere, con cui arrabbiarsi e rattristarsi... ma anche concedersi qualche crudele, ma irresistibile, risataccia.

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