LE
AVVENTURE DI TOM SAWYER
di Mark Twain
Uno
dei romanzi più amati nella mia infanzia, anche perché, lungi
dall’indulgere al melodramma o al patetismo, è davvero scanzonato
e divertente, con punte di riso autentico e qualche ameno momento
brividoso… o persino commovente! E poi per la simpatia del
protagonista, Tom Sawyer, un monello astuto e manipolatore, ma
fondamentalmente buono, che ne combina di tutti i colori, con
irresistibile, sofisticata bricconeria… Come dimenticare, ad
esempio, la vicenda dello steccato da dipingere o la partecipazione
al suo stesso funerale? E poi c’è la faccenda semi-paurosa del
temibile Joe L’indiano, o quella “amorosa” della dolce Becky…
per tacere di quando lei e Tom si sono persi nelle caverne…
Insomma,
avventure a non finire, ma raccontate non come se ci si rivolgesse a
dei mocciosi minorati, ma a chiunque: semplici, ironiche, genuine,
incantevoli e magiche, con vari tocchi autobiografici, adatte a tutti
i palati e sempre attuali, per quanto legate al tardo 1800…
In
realtà ci sarebbe altresì da aprire una lunga parentesi su Huck,
l’amico di Tom, un orfano totalmente libero e selvaggio, laddove il
nostro eroe, invece, è più “addomesticato”, grazie, anche alla
zia Polly, che lo ha adottato e si occupa di lui. Solo che per me Tom
era già il massimo, mentre trovavo Huck, da sempre il prediletto di
Twain, eccessivamente abbandonato a se stesso (con tutto che,
precisiamo, anche lui è un bravo giovincello), tanto che con il
seguito ideale del romanzo, “Le avventure di Huckelberry Finn”,
mi ero presto arenata. Del resto ero piccula e delicatina, e, forse,
se non faticavo ad immedesimarmi con Tom, spesso alle prese con
familiari, amici e disavventure scolastiche, la vita di Huck mi
appariva troppo distante dalla mia e, a tratti, persino dolorosa,
nonostante i toni fossero leggeri. Come si faceva, pensavo allora, a
non andare a scuola e a non avere nessun adulto di riferimento? C’era
la vedova Douglas, okay, ma… Non mi bastava e non riuscivo a
sintonizzarmi con lo spirito del romanzo, finendo con il crucciarmi
troppo, anziché sorridere divertita.
Tornando
a Tom, invece, mi ero appassionata da subito, complice lo stile
“arzillo” di Twain, diretto e sornione, capace di rendere i
pensieri di un ragazzino con ariosa freschezza e di sedurre con la
sua immediatezza priva di banalità.
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