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venerdì 16 giugno 2017

Colori e testosterone

BUNRAKU
di Guy Moshe
(2010)


Iconico, coreografico, scenografico, curato nella fotografia e nell'estetica, sopra le righe, costellato di combattimenti spettacolari ed eleganti, è pure cromaticamente acceso, sovraccarico, e per giunta coniuga il piacere dell'affabulazione fiabesco-violenta ad un'ammiccante autoironia, con punte di simpatico compiacimento.
Dopo cinque minuti, mentre io ero già innamorata, MPM, con tono di sufficienza, mi interroga: “Ma ti piace?”, come ad intendere che non avrebbe dovuto. 
Al mio entusiastico: “Certo!!!”, lo sventurato ha sospirato: “Sembra un cartone animato russo anni 70...”
Sì, magari un po'. E un po' anche un Wuxiapian, ma giapponese, un western, ma senza pistola, e un fumetto... con un pizzico di Tarantino.
Tutto è calcato, eccessivo, saturo di colori e di testosterone. Si fa attenzione ai costumi (ai Kimono, ma più ancora agli abiti dei cattivi) e si sguazza fra i personaggi bizzarri (il Killer n. 2 e i suoi colleghi, Yoshi, e il Barista/Woody Harrelson, con l'hobby dei Pop-Up), che al contempo sono archetipi, ma con contraddizioni (il cowboy, si diceva, è senza pistola, il samurai senza spada).
La trama è avviluppata, ma classica nel suo dipanarsi, inclusi i momenti di svolta.
Certo, come film non farà la storia del Cinema, non esalta cuore e spirito, né è particolarmente intellettuale. La colonna sonora è quasi inesistente, a tratti il ritmo scema, però... ipnotizza e ammalia. 
Invero, in alcuni passaggi la pellicola sembra un videogioco anni 80 (a metà tra Mortal Kombat e quello con la pistola per sparare ai gangster), con tanto di cattivi disposti sui vari piani del palazzo, battaglia finale e conta dei nemici sconfitti, più spesso prevale l'impostazione teatrale. Le inquadrature sono caleidoscopiche, coprono tutti gli angoli, la regia è fantasiosa, impregnata di cultura Pop. Desiderosa di cogliere ogni scena nella sua ampiezza, compresi i contorni e i secondi piani.
Alla lunga tutto ciò è un po' estenuante, ma, su piccola scala, risulta altresì fonte di godimento. Fino a che lo sviluppo della storia diviene schematico e riscattato solo dall'arte figurativa e dalla potenza coreografica.
Indubbiamente, Bunraku sarebbe stato più incisivo con una quarantina di minuti in meno, ma ho apprezzato la fusione tra film di Bruce Lee e Western di consumo, con un eroe orientale e uno occidentale, più il Barista... E il Circo. Quello, in effetti, non me lo aspettavo. 
Ognuno ha la sua parte di agnizioni, rivendicazioni ed epifanie e alla fine è persino facile trovare un tramonto per uscire di scena...

P.S.
Buon Bloomday a tutti!

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